Bernstein/Gatto/Lanzoni Organ Trio a Empoli per Firenze Jazz Festival

La sostenibile leggerezza dell'organ trio

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Empoli, Collegiata di Sant’Andrea

16 settembre

Il termine organ trio richiama quella florida stagione del soul jazz permeata di swing, senso del blues e amore per il groove caratteristici di varie formazioni che avevano messo in evidenza e valorizzato il connubio tra chitarra e organo Hammond. Tra queste, il trio di Jimmy Smith con Kenny Burrell, il trio di Wes Montgomery con Melvin Rhyne o i gruppi in cui il giovane George Benson aveva collaborato con organisti del calibro di Jack McDuff e Lonnie Liston Smith.

Curato da Empoli Jazz, inserito nel quadro del programma del Firenze Jazz Festival e ospitato nel piccolo, suggestivo scrigno del chiostro della Collegiata di Sant’Andrea, il concerto del trio formato da Peter Bernstein, Roberto Gatto e Alessandro Lanzoni ha offerto spunti di riflessione sul legame con la tradizione jazzistica in virtù dei molteplici riferimenti presenti nel repertorio proposto, contenente standards del Songbook, composizioni di figure storiche del jazz e brani originali del chitarrista americano.

Bernstein, Gatto e Lanzoni – Foto di Sanzio Fusconi

Negli anni Novanta il giovane Bernstein (classe 1967) aveva fatto parte del trio e del quintetto dell’organista Melvin Rhyne. Tuttavia, l’assetto di questa formazione ricalca quello del trio che Bernstein ha condiviso a lungo con l’organista Larry Goldings e il batterista Bill Stewart, e vi si avvicina parecchio per linguaggio armonico, ritmico e melodico.

Ormai compiuto e consolidato, lo stile elegante e fluido di Bernstein ha inglobato elementi di Wes Montgomery per la pulizia del fraseggio e di Jim Hall per la raffinatezza della tessitura armonica. Però, reca soprattutto l’impronta di Ted Dunbar, suo primo e principale maestro, protagonista di innumerevoli incisioni con Frank Foster e di importanti contributi a «Me, Myself An Eye» e «Something Like a Bird» di Charles Mingus; «Svengali» di Gil Evans; «Asante» di McCoy Tyner; «Ego» di Tony Williams.

Peter Bernstein – Foto di Sanzio Fusconi

Che l’impianto armonico sia tonale o modale, con la sua chitarra Zeidler Archtop – dotata di grande qualità acustica – Bernstein vi innesta sagaci progressioni e fraseggi nitidamente articolati, mantenendo un groove costante e generoso. Sotto questo aspetto, è sostenuto efficacemente da Gatto, che dispensa swing, agili figurazioni e sottigliezze ritmiche. Per parte sua Lanzoni (ben conosciuto come squisito pianista), qui è impegnato all’organo Nord 2CD che – anche grazie all’impiego della pedaliera e dei drawbar, i cursori per il controllo delle armoniche fondamentali – emula abbastanza credibilmente il suono dello storico Hammond B3. Il contributo di Lanzoni risulta senz’altro più incisivo sui tempi veloci, meno inventivo altrove.

Roberto Gatto – Foto di Sanzio Fusconi

L’azione del trio si rivela compatta e coesa, raggiungendo esiti particolarmente produttivi nelle versioni di Straight Street di John Coltrane (tratta dall’album Prestige del 1957 «Coltrane») e Hi-Fly di Randy Weston, nonché in Hidden Pockets di Bernstein, brano giocato su un up tempo contagioso, fertile terreno per l’improvvisazione. Le esecuzioni rispettano spesso lo schema canonico introduzione – esposizione del tema – assolo – ripresa del tema – scambi finali di quattro battute con botta e risposta. Oltre al magistero chitarristico di Bernstein, spiccano l’affiatamento del trio e la sostanza del repertorio, molto apprezzati da un pubblico attento e appassionato.

Alessandro Lanzoni – Foto di Sanzio Fusconi

Enzo Boddi

Foto di Sanzio Fusconi

 

 

 

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