Transylvanian Dance: Lucian Ban & Mat Maneri al PARC di Firenze

L'improvvisazione nel segno di Bartók

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Firenze, PARC

11 maggio

Inserito nell’ambito della rassegna Mixité – Suoni e voci di culture antiche e attuali, curata da Toscana Produzione Musica, il concerto del pianista rumeno Lucian Ban e del violista americano Mat Maneri ha confermato – se ancora ce ne fosse bisogno – la statura e la personalità di due musicisti originali e rigorosi al tempo stesso, legati da una collaborazione ormai quindicennale.

Il concerto è stato dedicato alla riproposizione di buona parte del repertorio di «Transylvanian Dance», pubblicato l’anno scorso da ECM. Nel sodalizio con Maneri e, in particolare, per la realizzazione di questo lavoro, Ban ha concentrato la propria ricerca e focalizzato la propria poetica sulla tradizione della natia Transilvania. Nella fattispecie, «Transylvanian Dance» trae spunti e stimoli dal vastissimo repertorio di canti popolari raccolti sul campo dal compositore ed etnomusicologo ungherese Béla Bartók attraverso l’instancabile lavoro di registrazione, trascrizione e analisi con il quale arrivò a catalogare ben 3600 brani. Com’è noto, a quel repertorio avrebbe poi attinto per realizzare alcune delle sue composizioni.

Come Ban e Maneri hanno opportunamente sottolineato in sede di presentazione, i temi da loro rivisitati celano nella loro apparente semplicità una sorta di codice segreto e una profondità che di volta in volta consentono di sviluppare l’improvvisazione secondo modalità differenti. Non a caso, entrambi i musicisti amano definirli brani che ci parlano.

Allo scopo di esplicitare al meglio lo scopo di questa ricerca, l’esibizione del duo era corredata da frammenti delle registrazioni originali effettuate da Bartók con un fonografo, nonché da immagini delle trascrizioni, foto scattate e brevi filmati ripresi dal compositore stesso durate i suoi soggiorni in Transilvania.

Le improvvisazioni di Ban e Maneri scaturiscono dalla ripresa o dall’accenno ai frammenti melodici dei temi popolari, per poi dilatarsi e inoltrarsi in percorsi molto aperti e multidirezionali, contrassegnati da una pulsazione ritmica articolata su tempi dispari, come del resto è tipico delle musiche balcaniche.

Ban produce figure ipnotiche, iterative e spesso costruite sul registro grave, a volte ricavandone un suono ovattato tramite la pressione sulla cordiera dello strumento. In altri frangenti, tempesta la tastiera con martellanti blocchi accordali, occasionali clusters e dissonanze. In poche parole, rifugge da ogni virtuosismo. Da questo approccio emergono sia legami atavici con le danze tradizionali della propria terra che con la poetica dello stesso Bartók.

Per parte sua, Maneri possiede nelle proprie corde una naturale propensione per il confronto con le musiche del mondo, sia per il suo interesse per forme delle tradizioni indiana e coreana, che per gli insegnamenti del padre Joe, formidabile clarinettista, sassofonista e compositore che a lungo si era dedicato all’esplorazione dei legami tra jazz, improvvisazione non idiomatica e musiche etniche. Del resto, nel suono raschiante e nel fraseggio essenziale e sfrangiato della sua viola Maneri ha sempre cercato di trasporre un linguaggio di ispirazione sassofonistica, introducendovi anche una ricerca microtonale.

Dalla loro feconda dialettica trapelano empatia, elevato livello di ascolto reciproco (specie nel controllo delle dinamiche) e un evidente piacere di fare musica. Al tempo stesso, la loro azione dimostra – in piena sintonia con l’opera di Bartók- quanto in certe circostanze siano sterili certe distinzioni tra colto e popolare.

Enzo Boddi

Foto di Giuseppe Flavio Pagano

 

 

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