Torino Jazz Festival 2025 – Seconda Parte

In questa seconda parte ci concentriamo sugli eventi degli ultimi tre giorni del Torino Jazz Festival 2025, dopo l’accurato racconto della prima metà firmato da Lorenza Cattadori.

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Il TJF è ormai da decenni una delle tappe più attese della stagione concertistica italiana. Per una settimana, Torino si lascia attraversare da ritmi più o meno sincopati, accogliendo un pubblico numeroso e affezionato che ogni anno anima con entusiasmo i luoghi del festival.

Prima dell’inizio ufficiale della rassegna, ci siamo concessi una scappata all’Off Topic di via Pallavicino, il 22 aprile, per assistere al concerto di Enzo Zirilli con il suo Zirobop, gruppo nato e cresciuto a Londra dieci anni fa e tuttora in costante evoluzione. La formazione schierava Alessandro Chiappetta alla chitarra, in perfetto dialogo con Rob Luft – vincitore del Top Jazz 2024 come miglior nuovo talento internazionale e musicista dal futuro promettente – e Misha Mullov-Abbado al contrabbasso. Il repertorio, ampio e trasversale, spaziava con naturalezza da Steve Swallow a Pino Daniele (fatto conoscere da Zirilli ai colleghi britannici e subito molto apprezzato), mantenendo però un’identità sonora chiara e coerente lungo l’intero set.

Torino Jazz Festival Enzo Zirilli
Enzo Zirilli Foto Fiorenza Gherardi De Candei

Durante l’intervallo, in un clima disteso e cordiale, abbiamo avuto l’occasione di consegnare a Luft una copia della rivista che celebra la sua recente vittoria al nostro referendum. Con grande sorpresa abbiamo scoperto che parla un ottimo italiano, appreso a Londra grazie alla frequentazione con numerosi colleghi del Bel Paese. Ci siamo lasciati con la promessa di realizzare presto un’intervista per Musica Jazz, che saremo lieti di proporvi nei prossimi mesi.

Enzo Zirilli
Enzo Zirilli & Zirobop Foto Fiorenza Gherardi De Candei

Passano una manciata di giorni e ci ritroviamo di nuovo nel capoluogo piemontese per assistere alla coda della rassegna. Il primo concerto in programma era quello dei Koro, quintetto di ottoni atipico per la presenza del sassofono, affidato a Cristiano Arcelli, anche direttore musicale del progetto. Accanto a lui: Mirco Rubegni (sostituto di Fulvio Sigurtà) alla tromba, Massimo Morganti al trombone, Giovanni Hoffer al corno francese e Glauco Benedetti alla tuba. Il programma era interamente dedicato a Kurt Weill, con estratti da L’opera da tre soldi e da altre composizioni più o meno note. Un repertorio ormai distante cronologicamente ma riletto per l’occasione con gusto e freschezza, valorizzato in particolare dalla solida architettura ritmica garantita da Hoffer e Benedetti. Per il bis finale è stato eseguito un brano di Monk (al quale è stato interamente dedicato il disco in uscita per la Caligola Records di Claudio Donà) ad impreziosire ulteriormente un’esibizione piacevole e ben congeniata.

Cristiano Arcelli
Cristiano Arcelli Foto Colibrì Vision
Torino Jazz Festival Koro
Koro Foto Colibrì Vision

Successivamente ci spostiamo al Teatro Colosseo per assistere all’esibizione di Lakecia Benjamin con il suo Phoenix Reimagined. Personalmente non avevo mai ascoltato quest’artista che negli ultimi tempi si sta facendo largo nelle programmazioni dei maggiori festival internazionali, per cui la curiosità era tanta. La quarantaduenne sassofonista originaria di New York (allieva di personaggi illustri quali Gary Bartz, Billy Harper e Buster Williams), si è presentata a Torino con il suo nuovo quartetto e ha dato vita ad uno show energico e per certi versi inusuale. Vestita in abiti ammiccanti (lei stessa ha dichiarato in passato che finché si è vestita “normalmente” ha fatto fatica a farsi notare), la Benjamin è salita sul palco sfoggiando un atteggiamento spavaldo e disinvolto, alimentando lo show con continue interazioni con il pubblico. Non sono mancate uscite piuttosto discutibili: dalle nomination ai Grammy presentate come legittimazione assoluta, ai cliché sul cibo italiano, fino alla battuta sull’eventualità di sposare un europeo per ottenere un passaporto “migliore”. Un uso della parola che ha avuto due effetti: coinvolgere il pubblico generalista del Teatro Colosseo, che si è sentito al centro di una performance viva e non di routine ma anche porre l’accento più sulla forma che sulla sostanza. La Benjamin è musicista preparata, ma al netto degli orpelli retorici e delle mise sgargianti, il contenuto musicale è apparso poco incisivo. Il suo invito ad “allacciare le cinture” prima della propria versione di My Favorite Things ci è parso abbastanza autoreferenziale e iperbolico. Dopo un avvio energico, il concerto ha perso slancio lasciandoci piuttosto delusi.

Torino Jazz Festival Lakecia Benjamin
Lakecia Benjamin Foto Colibrì Vision
Lakecia Benjamin
Lakecia Benjamin “Phoenix Reimagined” Foto Colibrì Vision

In contemporanea presso lo Snodo delle OGR, andava in scena un altro interessante evento di cui abbiamo assistito solo al bis conclusivo (anche se con il senno di poi sarebbe valsa la pena di assistere a tutto il concerto). Si trattava del gruppo di Ettore Fioravanti, storico batterista romano e colonna dorsale di moltissimi gruppi imprescindibili del jazz italiano. La formazione veniva completata da Danilo Tarso, Achille Succi e Furio Di Castri mentre l’ospite speciale di questo progetto era Markus Stockhausen, reduce da una seduta di registrazione in provincia di Piacenza per la Dark Companion di Max Marchini. Da quel poco che abbiamo potuto sentire possiamo solo augurarci che si creino ulteriori occasioni di ascolto per questo gruppo.

Il giorno successivo, il primo appuntamento era fissato per le 16:00 presso l’Università degli Studi di Torino, a pochi passi dalla Mole Antonelliana. In programma, una conferenza di preparazione all’evento clou del festival: il concerto di chiusura di Jason Moran, previsto per il 30 aprile e dedicato all’eroica figura di James Reese Europe, pioniere dimenticato della musica jazz.

Grazie al racconto puntuale e informato del professor Francesco Martinelli, il pubblico – composto in larga parte da studenti – ha potuto riscoprire la vicenda artistica e umana di Europe, bandleader attivo nei primi due decenni del ’900 tra New York e i campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale.

L’importanza di James Reese Europe non risiede tanto nella sua produzione discografica – scarsa in quantità e penalizzata dalle limitazioni tecniche delle incisioni dell’epoca – quanto nel ruolo storico e simbolico che ricoprì. Partecipò attivamente alle operazioni militari dell’esercito statunitense in Europa, sia come sottotenente istruttore che come direttore d’orchestra. Sopravvissuto a un’intossicazione da gas, tornò in scena guidando una banda composta interamente da musicisti afroamericani, con cui si esibì per le truppe americane, francesi e inglesi, ma anche per la popolazione civile francese, portando sollievo e orgoglio attraverso la musica. La sua carriera si concluse tragicamente nel 1919 a causa di una coltellata inferta dal batterista della sua orchestra, Herbert Wright, al culmine di un litigio avvenuto per futili motivi (Wright, una volta uscito di prigione riprese la propria attività lavorativa, impartendo, fra le altre cose, le prime lezioni di batteria ad un giovanissimo Roy Haynes).

Torino Jazz Festival
Francesco Martinelli all’Università di Torino

Sebbene Eubie Blake lo considerasse “il Martin Luther King del jazz”, fu presto dimenticato dai più. Non da Randy Weston che introdusse la sua figura a Moran, chiamato in questa occasione a reimmaginarne il repertorio in chiave contemporanea. Ma torneremo a parlare del concerto di Moran in seguito.

Conclusa la conferenza su James Reese Europe, ci siamo spostati nuovamente al Teatro Colosseo per assistere a Flamenco Criollo, recital ideato dal pianista e compositore Aruán Ortiz per la Flamenco Biënnale Nederland nel 2021. Si tratta di un progetto di ampio respiro, concepito come un’indagine profonda sul patrimonio culturale e musicale cubano, arricchito dalla presenza scenica di cantanti e danzatrici di flamenco, a completamento di un ensemble incentrato sulle percussioni.

Aruan Ortiz
Aruan Ortiz Flamenco Criollo Foto Colibrì Vision

La storia musicale cubana affonda le sue radici nei tempi della tratta atlantica degli schiavi, fondendo tradizioni apparentemente distanti: dalla cultura gitana del sud della Spagna ai poliritmi dell’Africa occidentale. Il risultato è un linguaggio sonoro unico, non riproducibile altrove. Ortiz si appropria di questa eredità e la rielabora secondo una visione personale, dando corpo a una sintesi inedita in cui l’elemento visivo diventa parte integrante della costruzione musicale. Le sequenze coreografiche delle danzatrici diventano strutture ritmiche vere e proprie, su cui Ortiz innesta materiali sonori con grande originalità ed efficacia espressiva.

Se il recente piano solo presentato a Bergamo Jazz ci aveva affascinato senza convincere del tutto, qui ogni dubbio è stato fugato: Flamenco Criollo si è rivelato un lavoro solido, originale e ben calibrato. Non stupisce che Ortiz sia ormai uno dei pianisti di riferimento per James Brandon Lewis, con il quale ha già condiviso diversi album e palcoscenici. In definitiva, un altro nome da tenere d’occhio nel panorama del jazz contemporaneo.

Aruan Ortiz
Aruan Ortiz Foto Colibrì Vision

L’epilogo del Torino Jazz Festival era previsto per mercoledì 30 aprile, in coincidenza con la Giornata Internazionale del Jazz, istituita dall’UNESCO nel 2011. Anche Torino ha celebrato la ricorrenza con una programmazione speciale, inaugurata al Teatro Juvarra dal quartetto guidato dal percussionista senegalese Dudù Kouate, da tempo residente in Italia. Al suo fianco, Simon Sieger (pianoforte, flauti autocostruiti, percussioni, voce), Zeynep Ayse Hatipoglu (violoncello) e Alan Keary (basso elettrico e violino).

Kouate e Sieger sono noti soprattutto per le loro collaborazioni con l’ultima incarnazione dell’Art Ensemble of Chicago, quella che ha dato vita a «We Are On The Edge» e «The Sixth Decade – From Paris to Paris». E anche sul palco torinese si sono dimostrati protagonisti assoluti. Kouate, seduto a terra con un set percussivo non convenzionale, ha evocato atmosfere sciamaniche e sonorità profondamente radicate nella tradizione musicale africana, coinvolgendo attivamente il pubblico in alcuni passaggi. Di grande impatto anche l’apporto di Sieger, che, sebbene non si sia specializzato in uno strumento in particolare, rimane musicista trasversale, capace di muoversi con disinvoltura tra pianoforte, flauti, voce e – non in questa occasione, ma presente nel suo arsenale – anche al trombone. Il risultato è stato un impasto sonoro originale, punteggiato da sfumature esotiche e poco consuete nel panorama jazzistico contemporaneo. Un set breve ma intenso, capace di aprire la giornata conclusiva del festival con una nota di sorprendente libertà espressiva.

Torino Jazz Festival Dudu Kouate
Dudù Kouate Foto Colibrì Vision
Dudu Kouate
Dudù Kouate Quartet Foto Colibrì Vision

L’ultimo atto del TJF si è consumato alle 21 all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, spazio capace di accogliere circa 1700 spettatori: non era affatto scontato riempirlo per il concerto di Jason Moran, nome ben noto agli appassionati ma ancora poco familiare al grande pubblico. E invece: sold out, e scommessa vinta. Ma ciò che più conta è che ci siamo trovati di fronte ad un’opera di straordinaria intensità emotiva, capace di parlare a più generazioni, mettendo al centro la sostanza più che la forma, al contrario di ciò che è accaduto nel concerto della Benjamin.

Torino Jazz Festival Jason Moran
Jason Moran & Bandwagon Trio + TJF All-Stars

Moran, che nel 2023 aveva pubblicato «From the Dancehall to the Battlefield», ha riproposto in esclusiva europea per il 2025 questo stesso progetto, affiancando al suo collaudato Bandwagon trio una selezione dei migliori musicisti italiani in circolazione: Giovanni Falzone, Tony Cattano, Mauro Ottolini, Nico Gori, Achille Succi, Pasquale Iannarella e Glauco Benedetti. Il repertorio, oltre a due brani originali, era composto da musiche scritte tra il 1912 e il 1919 prevalentemente da James Reese Europe e W.C. Handy, completamente rielaborate in chiave contemporanea. Da sottolineare una fantastica versione di Ghosts di Albert Ayler affidata al tenore di Iannarella, tradotta con pertinenza – così come per molte altre partiture – in sequenze video dal regista Wolfgang Schernhammer, autore di un lavoro convincente e valore aggiunto della performance.

Jason Moran
Jason Moran Foto Colibrì Vision

 

Come il suo mentore Jaki Byard, Moran – salito sul palco in abiti militareschi, in omaggio a Europe – scompone e ricompone la storia del jazz con il suo pianoforte, attraversando epoche e stili diversi con originalità e senza alcun revisionismo di maniera. Il risultato è una musica viva e dinamica, che – a distanza di più di un secolo – sa ancora emozionare. Moran suggella così un’edizione del festival più che positiva e, all’età di 50 anni, trova la definitiva consacrazione come artista a tutto tondo, in grado di far convivere musica e arte figurativa (che siano quadri, installazioni o sequenze di filmati come in questo caso) ai massimi vertici della loro espressione.

Torino Jazz Festival Jason Moran
Jason Moran raccoglie a sè i musicisti in un momento intimo del concerto Foto Colibrì Vision
Jason Moran
Il saluto al pubblico di Jason Moran e la sua band Foto Colibrì Vision
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