Firenze, Brillante – Nuovo Teatro Lippi
27 marzo
Con il recente «A New Day», pubblicato per la ECM, Giovanni Guidi ha ampliato le prospettive della propria poetica stabilendo una proficua collaborazione col sassofonista americano James Brandon Lewis. Così facendo, è passato dalla dimensione più intimistica del piano trio (assetto consolidato da anni, completato dal contrabbassista Thomas Morgan e dal batterista João Lobo) a quella del quartetto, terreno sul quale espandere con maggior libertà idee compositive e prassi esecutiva.
Nella sua esibizione fiorentina – svoltasi nell’ambito della rassegna presso il circolo periferico Brillante, promossa dal Music Pool – il pianista folignate ha messo in mostra un approccio ancor più disinibito del solito: certamente svincolato da stilemi e manierismi, decisamente più aperto alla libera improvvisazione. Da un lato, nelle sue composizioni Guidi non rinuncia al proverbiale lirismo che caratterizza sia i momenti più raccolti, che certe vibranti progressioni corali. Dall’altro, in questo contesto sembra prediligere la costruzione di possenti e torrenziali collettivi sostenuti dal contrabbassista Joe Rehmer (subentrato al posto dell’annunciato Morgan) con rocciosi pedali e da Lobo con figurazioni cangianti e irregolari, sia su tempo libero che sul terreno modale.
Le esecuzioni danno luogo a un flusso prodotto quasi sempre senza soluzione di continuità. Spesso sconfinano in aree atonali, evocando perfino il free. In questo ambito Guidi ama esplorare singoli nuclei (che siano armonici o melodici) o semplici centri tonali. Poi li espande e li dilata, fino a proiettarli in una dimensione aleatoria e ricca di dissonanze con l’ausilio di frenetiche escursioni sulla tastiera e martellanti clusters. In questo processo di progressivo accumulo di cellule si inserisce efficacemente il tenore di Brandon Lewis. Il timbro è scuro e corposo; il fraseggio, da rotondo e articolato, si fa sfrangiato, spigoloso e torrenziale ad un tempo, spingendo il sassofonista di Buffalo ad attingere a timbriche taglienti e abrasive. Dalla sua voce trapelano il substrato sanguigno del blues, insieme all’eredità e all’afflato del gospel. Al tempo stesso, emergono anche echi e influenze – debitamente assimilati – di storici protagonisti e interpreti dello strumento: l’irruenza impetuosa di Sonny Rollins; la capacità di Dewey Redman di penetrare in profondità nei risvolti armonici; l’impatto dirompente di Archie Shepp e Pharoah Sanders.
Nei frangenti in cui si allenta la tensione generata dall’azione collettiva spiccano l’ascolto reciproco, l’attenzione agli equilibri dinamici, il recupero occasionale di segmenti melodici dal disegno nitido, come ad esempio in una ballad che per alcuni versi può richiamare il versante popular della poetica di Keith Jarrett e del trio Bad Plus. In conclusione, il pubblico convenuto al Brillante ha potuto apprezzare un quartetto coeso, dalla concezione ben definita, dal quale è auspicabile aspettarsi ulteriori e stimolanti prove.
Enzo Boddi
Foto cortesia di Music Pool