Facce da Tenco

Dal festival di Sanremo, come un tempo sarebbe stato impensabile, a dischi, libri e serate varie, cantautori di più o meno stretta osservanza al centro delle operazioni

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Ormai da un po’ di anni non è più un segreto che tra festival di Sanremo e Premio Tenco ci sia parecchio travaso (un tempo impensabile)e quest’anno più che mai, tanto che a fine festival il Club Tenco ha emesso un comunicato in cui salutava gli artisti passati anche nella sua rassegna, una quindicina. Se vogliamo, però, l’elemento clamoroso di quest’anno è che tre di essi siano finiti nella cinquina finale, un habitué (Simone Cristicchi, quinto), una scoperta (Lucio Corsi, secondo, che andrà all’Eurofestival e che al Tenco è passato nel 2021, colpendo, come scrivevamo, «per la nettezza dei suoi brani, mossi su coordinate da canzone d’autore storica (gloriosi giri dylaniani in primis) ma con una sua identità, anche squisitamente interpretativa») e una creatura (Brunori Sas, terzo, dal 2010). Le rispettive canzoni, tra l’altro, hanno serie possibilità di finire per contendersi la targa specifica al Tenco 2025, il prossimo ottobre.

Molte altre facce da Tenco si sono viste/sentite/lette in tempi recenti. Se parliamo di «tenchisti/sanremisti», il più longevo è John De Leo, che nello stesso anno (1999) batté entrambi i prosceni con Quintorigo (per tornare al Tenco da solo nel 2015). Il romagnolo è oggi sul mercato con un nuovo album, «Tomato peloso» (Tuk), irrorato dai suoi consuei pruriti avant, però stavolta in un curioso omaggio ai grandi del rock ’n’ roll (e non). Lavoro come sempre ricco di spunti, col padrone di casa, Paolo Fresu, ospite in Love Me Tender.

Giua al Tenco ci è stata invece nel 2018, dieci anni dopo Sanremo, e oggi se ne esce con un cd molto più tradizionale (nel senso bello del termine), «Retablos Live» (OrangeHome), in cui divide la firma in ditta con Riccardo Tesi: undici brani voce, chitarra e organetto, più tre strumentali, con dentro anche La musica che gira intorno di Fossati e Franziska di De André. Disco squisito, fragrante, elegantissimo, con la cantante ligure che si avvicina qua e là, interpretativamente, a Tosca (è un complimento), specie in certe screpolature.

Elio
Elio

Uno che è passato solo dal Tenco (giusto nel 2024) e che dubitiamo andrà mai al festival è Michele Gazich, cantautore/violinista (e altro) bresciano che in «Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea» (Moonlight) dà una volta di più prova della sua abilità nel far evaporare la canzone (come essenza/emblema), magicamente, esotericamente, quasi, con un aplomb e un’evocativa finezza che è merce quanto mai rara. Gli fa da unico pendant la sola Giovanna Famulari, voce, cello e melodica. Anche qui un brano di De André (e De Gregori): Oceano.

Fin dal 1998, e poi mai più, era stato al Tenco con le sue Storie Tese Elio (quattro invece i passaggi al festival), che sta girando i teatri (noi l’abbiamo captato al Civico di Tortona) con lo spettacolo Quando un musicista ride, dal titolo dell’omonimo brano di Jannacci, che ne è il protagonista (tra brani suoi e per/con Cochi e Renato) fin troppo a senso unico, con solo un paio di pezzi di Gaber e uno dei Gufi, laddove il focus avrebbe dovuto riguardare l’intera scena milanese, e già questo ci lascia un po’ interdetti, e più ancora la scelta dei brani (hai un bel dire «riscopriamo cose meno battute», se la rappresentatività non è adeguata), con un solo capolavoro per Jannacci (Giovanni telegrafista) e un Gaber decoroso (L’odore). Non c’era niente di meglio, pur sempre in ottica ridanciana? Che so, Luciano, La famiglia o Il Riccardo per Gaber, e millanta per Jannacci? Anche sul piano interpretativo, tutto è parso poi un po’ scolastico, privo di pathos. Di protocollo.

Facce da Tenco a zonzo per Milano, ancora, in due libri. Il primo è Strà Milano (Vololibero), toponomastica e canzone meneghina, con tutti i nomi che potete immaginare e una trattazione coinvolgente, spesso imprevedibile. Ne sono autori Alessio Lega, che al Tenco è di casa, e Giangilberto Monti, i quali si sono spartiti il ruolo di ciceroni svolgendolo su binari convergenti ma diversi, per impostazione, senza mai perdere il bandolo della pur intricata matassa. L’altro libro è Un armadio di canzoni (Interlinea), in cui Claudio Sanfilippo (la cui faccia al Tenco non vediamo da troppo tempo, e sarebbe decisamente ora) fissa in tutta una serie di racconti, per lo più brevi (persino fulminei, nella forma, felicemente immaginifica, complice), le coordinate di una venticinquina di canzoni, ascoltabili inquadrando il relativo QR Code. Molte le fragranze del libro, fcon Marietto e Stile libero (dove entra in gioco Mina), e poi Senzabrera, El Pepe, Pantdattlio, ecc. ecc.      

Lega e Sanfilippo sarebbero potuti/dovuti entrare nel lotto degli artisti presenti alla casa di Quartiere di Alessandria domenica 23 febbraio per Ezieide 2.0, ma per motivi diversi non ce l’hanno fatta. Di cosa si è trattato? Di una mostra (a cura di Stefano Giraldi) e una mega-kermesse musicale nel primo anniversario della morte di Ezio Poli, socio e habitué del Tenco, che dal 2009 al 2023 ha dato vita a una realtà più unica che rara come L’isola ritrovata, da cui è passato realmente metà cantautorato non solo italiano in un clima di amicizia, affetto e partecipazione che ha fatto sì che, nel momento in cui sono partite le «convocazioni», le adesioni siano state tantissime: una trentina di artisti di suono e parola, per oltre venti esibizioni, più un liberi tutti finale (per non escludere nessuno, si era fissato il limite di due brani a testa) di cui diremo.

Diciamo intanto dei singoli, in primis Gian Piero Alloisio, che all’Isola non era mai venuto ma stavolta ha voluto esserci, invitando sul palco per il secondo dei suoi pezzi, Venezia, prestato a Guccini, lo storico chitarrista di quest’ultimo, Juan Carlos Flaco Biondini, che ha poi eseguito, da solo, Il vecchio e il bambino e Cielito lindo. Sì, perché c’era gente arrivata da lontano: Traversetolo, Firenze, Bologna, e poi Genova, Milano, Torino, Vercelli, Pavia, Ivrea, Ovada e tutto il circondario dell’Alessandrino. C’erano molti dei figli prediletti di Ezio Poli, che nei tardi anni Cinquanta nella Primavera dell’Alessandria Calcio fu compagno, a centrocampo, di un certo Gianni Rivera (Federico Sirianni, Fabrizio Zanotti, Max Manfredi, Stefano Marelli, Mirco Menna, Carlo Pestelli) e poi ancora Lorenzo Riccardi (che si è portato dietro un cd, «Una notte a Milano»), Paolo Gerbella, Fabio Caucino (che si è portato dietro un libro, Educato vs. educante, Voglino Editrice), Andrea Tarquini (con due pezzi di Stefano Rosso, di cui è stato il chitarrista), Fabrizio Consoli, Carlotta Sillano, Paolo Pasi, Beatrice Campisi e svariati altri. Ognuno ha detto la sua in un clima di grande emozione e partecipazione, finché una «convocazione» cumulativa finale ha riunito un po’ di artisti (tiratardi) in una sorta di session simpaticamente alla fiora, con fil rouge modugnesco e incastri estemporanei quanto bizzarri fra canzone e canzone (per esempio Champagne su El portava i scarp del tennis…).Nel totale, c’erano in scena Voltarelli e Manfredi alle voci, Flaco, Menna e Tarquini, voce e chitarra, Marco Spiccio, pino elettrico, Federico Bagnasco, contrabbasso, e Gianni Nesto, cajon, per un tuttinpista in gloria che ha mandato a casa appagati anche i più incalliti nottambuli. E pare che non finirà qui…          

 

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