Yaron Gottfried: «Mi sono sempre occupato di jazz e di classica e grazie a tutto questo mi sento più realizzato»

Figlio di Dan Gottfried, Yaron è un acclamato direttore d'orchestra e anch'egli eccellente compositore e pianista.

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Maestro Gottfried, lei è pianista, compositore e direttore d’orchestra. Quale ritiene sia l’attività che più le si confà?
Trovo difficile scegliere solo una di queste, perché tutte fanno di me ciò che sono come musicista. I miei impegni sono principalmente dedicati alla direzione d’orchestra, ma se devo scegliere qual è la principale attività, direi la composizione, perché è la via più pura per esprimere le mie idee a lungo termine.

Suo padre è il famoso pianista e compositore Dan Gottfried, quindi da giovane avrà ascoltato tanto jazz. Però, a un certo punto, ha preferito la musica classica. Cosa è successo?
Ho ascoltato tantissimo jazz quando ero giovane, anche perché ero circondato da molti musicisti che suonavano con mio padre, ma la mia preparazione è fondamentalmente classica. In un certo momento della mia vita, ero fortemente interessato al jazz e la mia attenzione  si era focalizzata sullo stile di Keith Jarrett. I grandi lavori classici hanno un particolare significato intellettuale ed emotivo per me. Mi fu chiaro che stavo combinando le due discipline, occupandomi di jazz e di classica. E, in realtà, occupandomi di entrambe mi realizzo meglio in ragione delle reciproche influenze di questi due linguaggi.

Comunque, molte sue composizioni risentono delle influenze del jazz.
Dipende da quale tipo di lavoro mi sto occupando. Molti dei miei lavori non sono in relazione con il jazz: hanno una matrice che viene definita musica contemporanea; dall’altra parte, ho all’attivo un gran numero di lavori dedicati alla fusione tra classica e jazz che sono stati scritti per trio jazz e orchestra. Molti di questi si basano su opere classiche composte nuovamente, riformulate, ricostruite e orchestrate in maniera tale da assumere una nuova veste. Ho scritto The Well Tempered Unbalanced Piano, che è la mia versione dei Preludi e delle Fughe di Bach; Capital Jazz Suites basato sulle prime danze barocche, e molti altri ancora. Il mio esempio penso sia Pictures At An Exhibition Remake, originalmente di Mussorgsky. Ho preso l’intero lavoro del compositore russo e l’ho riscritto con molte nuove sezioni dandogli una nuova forma. E, per fortuna, è stato già eseguito molte volte.

A tal proposito, quali criteri ha utilizzato nel ridisegnare il lavoro di Mussorgsky?
Devo dire che, per scrivere lavori di questo tipo, devi padroneggiare il linguaggio jazzistico ed essere capace di improvvisare e, al contempo, conoscere a fondo il mondo della classica. Per me, l’aspetto più importante è stato di portare una nuova e fresca prospettiva del lavoro di Mussorgsky e, al contempo, mantenere il carattere originario dei quadri. Un altro importante aspetto è dato dal fatto che il trio ha delle parti di improvvisazione, cosicché la musica non è influenzata dal jazz, ma è jazz eseguito da jazzisti. Invece, la musica per l’orchestra definisce il sentimento e racconta la storia. Per questo lavoro ho creato una galleria di stili: swing, latin, mediorientale, free jazz, influenze di musica ebraica e altre ancora. Così facendo, è diventato una sorta di viaggio e tutti gli amanti della musica possono divertirsi, non solo chi ama il jazz o la musica classica. L’ho già eseguito con una quindicina di orchestra e, ora, sto guardandomi intorno.

Lei pensa che Mussorgsky fosse, comunque, già disposto verso il jazz? Lo chiedo in ragione del fatto che anche altri jazzisti si sono cimentati con l’opera del compositore russo.
Penso che, vista la varietà di idee di questo lavoro, sia perfetto per un approccio sperimentale. Non ho ascoltato rielaborazioni come la mia. La mia esperienza, però, mi dice che la maggior parte dei jazzisti non vorrebbe lavorare con questo tipo di materiale.

Parliamo di Blindness. Cosa ha ispirato questa sua opera?
E’ il titolo di un libro di José Saramago che racconta del tracollo di una società ipotetica provocato da un’improvvisa cecità bianca, che mette in moto una crisi che sfocia anche in atti violenti e mostra come tutto possa deteriorarsi, distruggersi velocemente. Ho deciso di comporre alcuni episodi musicali basati su alcune parti di quest’opera letteraria, senza cercare di raccontarne gli accadimenti in essa contenuti, ma riproducendo le mie personali impressioni su alcuni eventi narrati nel libro. Quando viene rappresentata, c’è un attore che legge alcuni paragrafi prima di ogni movimento. Il lavoro si compone di quattro movimenti ed è scritto per orchestra sinfonica. Il flauto assume un ruolo significativo, perché rappresenta l’unica donna, in questa realtà distopica irreale, che ha ancora la possibilità di vedere e cerca di condurre un gruppo di persone verso la fuga da questo orrore.

 Maestro, ritiene che il jazz e la musica classica siano così distanti?
Ci sono diverse differenze tra le due. In primo luogo per via della struttura della forma delle idee musicali. Una sinfonia classica, normalmente, è parecchio più lunga e si sviluppa in modo differente rispetto ai brani jazz, che sono – per lo più – relativamente brevi e, dopo la presentazione del brano, sono caratterizzati dall’improvvisazione. I compositori classici sono principalmente influenzati e affascinati dallo swing del jazz e dalle scale del blues, e hanno iniziato a incorporarli nei loro lavori. Debussy, per esempio, è stato il primo a portare il ragtime nella sua opera; Ravel nel suo concerto per pianoforte e orchestra; naturalmente anche Gershwin che, probabilmente, è stato il primo compositore che  ha messo insieme con successo i due linguaggi. Poi, ci sono tanti altri grandi compositori, come Copland, Bernstein, per esempio.

Chi sono i jazzisti che preferisce?
Bill Evans, Keith Jarrett, Oscar Peterson sono i miei pianisti favoriti. Amo Michael Brecker e, naturalmente, John Coltrane. Uno dei miei arrangiatori preferiti è Oliver Nelson.

Ha contezza della scena jazzistica israeliana? Ci vorrebbe consigliare qualche musicista interessante?
Ci sono molti giovani talenti che stanno facendo molto bene in tutto il mondo; per esempio il trombettista Avishai Cohen e il sassofonista Eli Degibri.

Maestro Gottfried, quali sono i requisiti per essere un buon direttore d’orchestra?
Deve avere una consistente e precisa visione del lavoro che deve dirigere; deve avere un forte carisma, potere e conoscenza per poter convincere un’orchestra di professionisti a suonare nel modo da lui imposto: è una questione psicologica. Poi, deve essere molto attento e sensibile, con un buon orecchio e, naturalmente, deve avere una buona tecnica che consenta di esprimere al meglio le proprie idee. E questo è solo l’inizio…

Quali sono i suoi progetti futuri?
Sto lavorando sul alcuni nuovi progetti: una serie di brani per soprano e trio classico basati sui testi scritti dalle mie zie, che probabilmente si aggiungeranno, nel prossimo anno, al repertorio di Einat Aronstein e il Trio Appasionata. Sto lavorando a una nuova sinfonia «fanfara», che sarà eseguita all’Israeli Music Festival. Sto ampliando Nocturne per tromba. Poi, sto lavorando per alcuni arrangiamenti per conto di una compagnia di danza e un’orchestra sinfonica. Come direttore d’orchestra, ho una stagione piuttosto piena di progetti eccitanti. A parte il mio ritorno al Maggio Musicale, esperienza straordinaria, sarò parecchio impegnato con la Jerusalem Symphony, Israeli Opera Symphony con la quale eseguirò il mio concerto per chitarra elettrica e orchestra, con la Israel Chamber Orchestra, con la quale eseguirò il Doppio concerto per due violini. Insomma, un period parecchio intenso.
Alceste Ayroldi