Works

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Ci si metta l’anima in pace: non si parla né di jazz né di jazzisti. Trevisan scrive in jazz, così come detto nella quarta di copertina. Il testo è l’autobiografia lavorativa dei suoi innumerevoli impieghi (dal geometra al portiere di notte, passando per operaio, magazziniere, gelataio e altro) scritta con fluidità nei passaggi e nel descrivere le relazioni data da una punteggiatura breathless che la rende sonora; così come nei momenti più grevi Trevisan sa rendere lievi i segreti del disegno tecnico, dei cuscinetti a sfera, della malta o dei componibili di una cucina, buttandosi a capofitto nel discorso con la frenesia del bopper di razza.

Il suo fraseggio dipinge vivide immagini dell’anima dei personaggi in cui si è imbattuto con dovizia e rapidità e sfodera il meglio della sua penna nel descrivere alcuni datori di lavoro in ghiotti acquerelli. La musica arriva lateralmente, sia perché l’Autore si dilettava con la batteria in una band di funk che per le citazioni, quando nel mezzo del cammino il suo walkman suona Keith Jarrett. Trevisan prende il lettore e lo catapulta, con ritmi serrati, nel suo universo: staccare la lettura è difficile, così come lo sarebbe stoppare un bel disco di jazz.

Vitaliano Trevisan. Einaudi, Torino 2016. Pagine 651; euro 22

Alceste Ayroldi