William Parker e Hamid Drake: A Love, Naked

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Hamid Drake e William Parker
William Parker e Hamid Drake - foto Ken Weiss

Fabbrica Europa, Stazione Leopolda (Firenze), 14 maggio

Commissionato da Fabbrica Europa a William Parker e Hamid Drake nel cinquantesimo anniversario della morte di John Coltrane, A Love, Naked si discosta parecchio (se non addirittura completamente) dalle convenzioni e dal rituale degli omaggi “alla memoria”. Chi si aspettava una parafrasi o, semplicemente, dei riferimenti o delle allusioni alla storica suite «A Love Supreme» del 1964, sarà rimasto spiazzato o perfino deluso. E in quanto ad aspettative, era enorme la curiosità di vedere come questi due giganti dell’avanguardia afroamericana avrebbero affrontato il compito, magari riducendo all’osso e “denudando” da par loro la materia, come del resto sembrava suggerire il titolo.

In realtà, la lunga performance – un’improvvisazione di circa un’ora e mezza, senza soluzione di continuità – ha proposto spunti di riflessione disparati, ma sostanzialmente differenti. L’introduzione in chiave (pseudo)etnica poteva almeno idealmente riallacciarsi a opere minori di Coltrane quali «Om» o «Kulu se mama». Tali erano le associazioni evocate dall’abbinamento tra flicorno e sonagli, o tra shakuhachi (il flauto di bambù giapponese) e tamburo a cornice, la cui incessante azione era spesso accompagnata da Drake con vocalizzi. Una pratica esecutiva che da un lato riecheggiava riti sciamanici e un’Africa atavica; dall’altro, richiamava nettamente la poetica perseguita da Don Cherry sia nella sua «Relativity Suite» che insieme a Colin Walcott e Naná Vasconcelos nel trio CoDoNa. Una deduzione, questa, ancor più avvalorata dai fatti quando Parker – accantonati i flauti etnici – passava all’oboe cinese, in uno scambio serrato (a tratti basato sullo schema chiamata-risposta) con il tamburo a cornice.

Esaurita la fin troppo lunga parentesi etnica, il concerto è salito di livello e di intensità quando Parker e Drake hanno ripreso possesso dei propri strumenti, costruendo una sequenza pulsante e ondeggiante come l’alternanza tra alta e bassa marea, fatta di fitte progressioni, controtempi e fratture dislocate in punti strategici. Una volta di più vale la pena di sottolineare come la poderosa cavata e il mulinare incessante di Parker costituiscano un compendio di elementi riconducibili alla lezione di Fred Hopkins, Reggie Workman, Charles Mingus e Wilbur Ware. Né si può negare che le costruzioni poliritmiche, intimamente africane, e l’inappuntabile drive di Drake derivino da Ed Blackwell, ma debbano anche qualcosa a Elvin Jones e Max Roach.

Inatteso ma al tempo stesso benefico si è rivelato, a metà percorso, l’apporto di Pasquale Mirra. Forte di precedenti collaborazioni con lo stesso Drake, della frequentazione di altri musicisti dell’avanguardia afroamericana e dell’esplorazione di territori ad essa affini nel duo Groove & Move (con il trombettista Gabriele Mitelli), il vibrafonista si è inserito con naturalezza nell’inarrestabile flusso ritmico, innervandolo con nuovi impulsi e uno scarno tessuto modale, e arricchendolo di figurazioni colorite e asciutte. Anche in questo contesto, emergeva distintamente la matrice di Karl Berger, storico collaboratore di Don Cherry ai tempi di «Togetherness», «Symphony For Improvisers» e «Eternal Rhythm».

L’unico grosso limite strutturale, nell’interazione complessivamente godibile del trio, va individuato nel ricorso sistematico alla scala dorica e nella reiterazione insistita di certe figure. Solo verso la fine, e solo in alcuni fugaci passaggi, si potevano cogliere frammenti dell’ostinato che costituiva il nucleo di Acknowledgment, il primo movimento di «A Love Supreme». A detta dei musicisti, lo spirito di Coltrane aleggiava sull’operazione. Senza voler mettere in discussione la loro buona fede, è lecito nutrire più di qualche dubbio al riguardo, in virtù della cifra stilistica e della poetica dei protagonisti stessi. Sarebbe magari opportuno auspicare che da questo evento scaturisse un vero progetto, che coinvolgesse Mirra, vibrafonista di statura internazionale, o altri musicisti.

Enzo Boddi