Vincent Peirani: Non contano le definizioni ma la musica

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Vincent Peirani, dagli studi classici al jazz. Chi o cosa ti ha spinto verso questa direzione? Non ho scelto solo il jazz. L’ho voluto imparare diversi anni fa ma continuo a suonare anche musica classica, perché entrambi sono nel profondo del mio cuore. Con la classica scoprii le possibilità del mio strumento e lo stesso successe con il jazz qualche anno dopo. Mi colpì un disco di Bill Evans, «Turn Out The Stars», e chiesi ai miei amici: «Che musica è?». «È jazz!», mi risposero; quindi decisi di imparare quel linguaggio per me del tutto nuovo.

Nonostante tu sia giovane, hai già partecipato a oltre trenta dischi.
E spero che non sia finita! Tutti quegli album hanno un significato differente per me. Per esempio: «Gunung sebatu» con Vincent Lê Quang, Sylvain Luc e Serena Fisseau è speciale perché è stato il mio primo progetto registrato. Non ho preferenze tra tutti quei dischi ma ognuno per me rappresenta qualcosa di speciale.

Hai vinto il prestigioso Django d’or. Te lo aspettavi?
È stato un grande onore ricevere quel premio e ne sono molto orgoglioso, soprattutto per quello che rappresenta: l’Académie du jazz che premia un fisarmonicista è un risultato fantastico per lo strumento in sé. Molti anni fa buona parte degli appassionati non si sarebbero mai aspettati che la fisarmonica diventasse parte integrante di questa musica.

Michel Portal e Vincent Peirani Duo a FanoJazz 2015

Oggi come oggi è una fortuna per un musicista essere francese? Ci sono più opportunità che negli altri Paesi europei?
In Francia abbiamo alcuni vantaggi ma non so se possa essere una fortuna essere un musicista francese più che di altri Paesi. Mi sento fortunato perché in Francia suono parecchio: ci sono molti teatri, molti festival, club e altri luoghi dove sono numerose le occasioni per suonare e, soprattutto, il pubblico segue gli spettacoli.

La direzione del jazz francese è sostanzialmente diversa rispetto a quella di altri Paesi più direttamente influenzati dagli Stati Uniti.
Ci sono diverse correnti di pensiero e diverse scuole. Alcuni traggono ispirazione dalla musica statunitense e altri meno. Personalmente cerco di avere una mentalità aperta e sono contento di scoprire musiche provenienti da ogni dove: dall’America all’Asia. Non ho preferenze, perché ritengo che non debbano esserci confini.

Sembra però che la Francia sia più aperta alle collaborazioni con musicisti provenienti da altri Paesi, come la tua con Ulf Wakenius.
Iniziai a collaborare con musicisti al di fuori delle Francia quando cominciai a incidere per la Act. Conobbi Ulf grazie a Youn Sun Nah: con il bassista Simon Tailleu facevano parte del suo quartetto. Circa due anni fa, Ulf registrò un nuovo disco, «Vagabond», e mi chiese di suonarvi. Fu la mia prima collaborazione svedese. Dopo ebbi l’opportunità di suonare con Lars Danielsson, Nils Landgren e altri. Ci sono così tanti musicisti in giro che ci vuole già parecchio tempo per conoscere quelli del proprio Paese: figuriamoci quelli di altre nazioni! Abbiamo così tanti jazzisti in Francia che a volte ci si dimentica che siamo circondati da tanti altri bravissimi musicisti europei.

Eppure ci sono parecchi, soprattutto in Italia, che non reputano jazz la musica come la tua. Come rispondi?
Non mi preoccupo se la musica che suono sia jazz o no. So solo che nella mia musica c’è un bel po’ di improvvisazione, che è una specificità del jazz. Come dicevo, ascolto tanti generi di musica. Amo il jazz ed è importante per me: è una parte della mia vita ma oggi la stessa definizione è complessa, perché molto ampia. È come parlare della musica classica: di quale musica classica stiamo parlando? Opera, musica da camera, musica sinfonica, contemporanea? Lo stesso vale per il jazz. Non è importante la definizione ma la musica in sé.

vincent peiraniParliamo di «Thrill Box»: com’è nato il trio con Michael Wollny e Michel Benita?
Ero alla ricerca di un suono acustico per il disco. Conoscevo il lavoro di Benita, del quale sono un grande ammiratore. Sono stato fortunato, perché ha subito accettato di suonare con noi e anche di partire in tour. Non conoscevo Wollny e non avevo mai suonato con lui, se non per quattro minuti sul palco in occasione dell’Act Night. Ci conoscemmo proprio in quella circostanza e, prima di andare in scena, cercammo di decidere che brano suonare quella sera. Il problema era che non avevamo lo stesso repertorio e così dopo circa un quarto d’ora ci dicemmo: «Improvvisiamo!». Fu come se avessimo suonato insieme da sempre. Così ho voluto proseguire con lui questa avventura anche in «Thrill Box».

Tra gli ospiti c’è Michel Portal. Hai voluto sfidare il suo bandoneón?
Portal è uno dei miei beniamini. Ho l’opportunità di suonare in duo con lui da anni e per me è sempre una splendida lezione. Avevo scritto per lui B&H, dedicato a due musicisti con i quali collabora molto: Bojan Z e Henri Texier. E gli ho detto: «Ho scritto questo brano per te senza pensare a te». Anche Temps pour Michel P è dedicato a lui: è un valzer tradizionale francese. A dire il vero, è stato Michel a scegliere il titolo e il buffo è che molte persone pensano che sia dedicato a Michel Petrucciani! Mi piace abbinare la fisarmonica al bandoneón: alcune volte neppure io riesco a capire da chi provenga un certo suono.

Nella scaletta spicca Waltz For Jb di Mehldau.
Ho scoperto quel brano l’estate prima di registrare «Thrill Box». Su Youtube c’era il video di un concerto di Mehldau in piano solo al Vienna Jazz Festival. Mi sono semplicemente innamorato di questa composizione e l’ho trascritta, secondo il mio personale pensiero. In seguito, ho pensato che l’avrei potuta usare per il trio, mantenendo la struttura del brano ma cercando di darne una nuova versione.

vincent peiraniE il tuo disco «Belle époque»?
«Belle époque» è in duo con il sassofonista Emile Parisien: abbiamo mescolato composizioni e brani attinti dal repertorio di Bechet, Ellington, Irving. Il direttore della Act, Siggi Loch, ci ha chiesto di incidere questo progetto e anche di inserire alcuni brani di Bechet, che inizialmente non avevamo previsto, anche perché Emile nel progetto suona solo il sax soprano. In realtà Loch avrebbe voluto un vero e proprio omaggio a Sidney Bechet ma per farlo avremmo avuto bi- sogno di più tempo. Quando abbiamo scaricato le sue composizioni erano più o meno centocinquanta pagine! Così in un paio di mesi abbiamo ascoltato la musica di Bechet per cercare alcuni brani che potessero andare bene per il nostro repertorio. Quindi abbiamo fatto una selezione anche tra quelli che compose per altri musicisti e abbiamo cercato di creare un nuovo suono, adatto per il duo. È stata un’esperienza formativa e positiva, che ci ha entusiasmato.

 

Musicalmente a cosa fai riferimento? Cosa ti ispira di più?
Le persone con cui suono. Scrivo musica per le persone, non per gli strumenti. E per me fa una grande differenza.

Però la melodia è per te fondamentale.
Per me è importante la danza: che il brano sia ballabile. Suono canzoni: credo che sia questo il legame con la melodia. Ho sempre quell’idea in mente: la canzone. E canto sempre durante la giornata: nella mia testa o per davvero.

Alcuni scrivono, anche nelle presentazioni dei tuoi concerti, che sei «sulle orme di Richard Galliano». È vero?
Non saprei; se così dicono, non posso che apprezzarlo. Galliano è il riferimento per la fisarmonica nel jazz. Ma al momento per me è più importante concentrarmi sul mio lavoro e continuare a cercare un mio linguaggio personale, naturalmente ispirato da molti grandi musicisti.

Come reputi la scena jazzistica italiana? C’è qualcuno con il quale vorresti collaborare?
Non la conosco molto bene ma ci sono molti musicisti italiani che vivono a Parigi. C’è come una Little Italy qui: Francesco Bearzatti, Federico Casagrande, Aldo Romano, Riccardo Del Fra, Mauro Gargano e molti altri. Suono con alcuni di loro ed è sempre meraviglioso. Ho registrato con il nuovo progetto di Casagrande con Vincent Courtois e Michele Rabbia per la CamJazz. Vorrei conoscere Antonello Salis e Stefano Bollani, per esempio: amo il loro universo musicale.

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Emile Parisien e Vincent Peirani

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Innanzitutto suonare tanto in duo con Emile! Poi sto già lavorando al mio prossimo progetto: un quintetto che si chiama Living Being e dà spazio al mio lato elettrico, per così dire, con Emile ai sassofoni ed effetti elettronici, Tony Paeleman al Fender Rhodes ed effetti, Julien Herné al basso elettrico e Yoann Serra alla batteria.

 Alceste Ayroldi