Udin&Jazz, prima parte

247
Holland-Potter-Hussain, foto Angelo Salvin

Teatro Palamostre, Udine, 2-3 luglio

Recuperando i fasti del recente passato, la 28esima di Udin&Jazz – sotto il significativo titolo Take A Jazz Break – ha allestito un ricco programma teso a evidenziare le differenti tendenze del jazz contemporaneo. Un obiettivo ampiamente testimoniato dal nucleo principale della manifestazione, concentrato tra il 2 e il 5 luglio.

Dario Carnovale Trio, foto Angelo Salvin

Prima serata dedicata a declinazioni diverse della dimensione del trio. Classico quello del pianista siciliano Dario Carnovale, affiancato da Simone Serafini al contrabbasso e Klemens Marktl alla batteria. Classico, intenso del senso di un’interpretazione aggiornata di certi elementi della tradizione jazzistica. Carnovale è un pianista di estrazione classica, dotato di un tocco nitido e di un fraseggio fluido (seppur a tratti caratterizzato da qualche ridondanza), ma al tempo stesso provvisto di un ampio vocabolario. Uno dei punti di riferimento irrinunciabili appare Bill Evans, come dimostra una versione molto intimista di Someday My Prince Will Come, ricca di dinamiche soffuse Peraltro, Carnovale sa scavare a fondo nel tessuto armonico: la sua versione di In Your Own Sweet Way di Dave Brubeck ne è una prova lampante. Dal suo approccio emergono anche scattanti linee di matrice parkeriana, rimandi alla poetica di Ornette Coleman con inevitabili richiami a Paul Bley, unitamente al gusto per il contrappunto e alla propensione per passaggi informali su tempo libero.

Dave Holland, foto Angelo Salvin

Ben altra concezione del trio è quella proposta da CrossCurrents, formato da Dave Holland e Chris Potter (accomunati da un lungo sodalizio) insieme allo specialista di tabla Zakir Hussain, in passato collaboratore di John McLaughlin e Jan Garbarek. Il trio opera efficacemente alla ricerca di un equilibrio tra Occidente e Oriente – documentato dall’apporto compositivo di tutti i membri – sulla base di impianti modali che attingono tanto al linguaggio jazzistico maturato negli ultimi sessant’anni, quanto all’enorme patrimonio della musica classica indiana, alla sua disciplina rigorosa e ai suoi principi matematici. In questo contesto Holland funge da ago della bilancia col suo fraseggio fluido, plastico, dalla configurazione quasi scultorea, enunciato con ricchezza di felici intuizioni melodiche, che diventa fonte di una feconda dialettica con le figurazioni di Hussain. Il maestro indiano non solo alimenta il tessuto ritmico con infallibile precisione, ma vi introduce un’ampia gamma dinamica e coloristica. A un soprano timbricamente e linguisticamente più affine a un oboe orientale come lo shenai, Potter contrappone un tenore dalla pronuncia limpida, che si increspa leggermente sugli acuti e sui sovracuti, e dal fraseggio fittamente articolato, attentamente ponderato, con cui esplora i risvolti reconditi emergenti dal tessuto modale delle composizioni. Per quanto ancora suscettibile di ampi margini di sviluppo, la musica di CrossCurrents nulla concede al virtuosismo inteso come palestra di tecnicismi, né tantomeno all’etnico (o pseudo tale) divenuto tendenza e moda.

Zakir Hussain, foto Angelo Salvin
Norma Winstone Quartet, foto Angelo Salvin

La seconda serata ha messo l’accento su aspetti disparati della vocalità. L’ultimo lavoro di Norma Winstone per la ECM, «Descansado» (dall’eponima composizione di Armando Trovajoli per la colonna sonora di Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica) si basa sulla rielaborazione accurata di temi associati a celebri pellicole. A molti di questi la vocalist inglese ha aggiunto dei testi provvisti di una squisita musicalità, forte del consolidato sodalizio con Glauco Venier (piano) e Klaus Gesing (clarinetto basso e sax soprano), qui integrato dall’apporto ritmico e coloristico del percussionista Helge Andreas Norbakken. In questo legame tra musica e immagini (o meglio, le loro reminiscenze) Winstone esalta il potere icastico e comunicativo della parola, proponendosi come autentica storyteller, narratrice, e valorizzando il termine popular nella sua più nobile accezione. La maturità interpretativa, il timbro nitido a dispetto dell’età, la maestria nel plasmare il fraseggio cogliendo le più sottili sfumature, l’abilità nel dosare l’emissione e le pause nobilitano i tratti intimisti di Michel Legrand (His Eyes, Her Eyes e Vivre sa vie), sviscerano le valenze melodiche di Rota (Amarcord e What Is A Youth?), Morricone (Malena) e Bacalov (Il postino), ma anche Bernard Herrmann (Theme From Taxi Driver). La capacità di elaborare melodie vocali senza parole, arricchite da brevi inserti scat e acrobazie ritmiche, trova terreno fertile in Lisbon Story dei Madredeus, dall’omonimo film di Wenders, Meryton Town Hall, da Pride And Prejudice, e The Gaelic Reels, dalla colonna di Rob Roy, entrambe caratterizzate da serrati dialoghi voce-soprano. Al tempo stesso, il raffinato gioco di squadra e la trasposizione in una tonalità distante parafrasa adeguatamente Everybody’s Talking (il tema conduttore di Uomo da marciapiede) restituendogli nuova vita. Un’autentica lezione di stile, offerta con garbo e la giusta dose di understatement.

Norma Winstone-Glauco Venier, foto Angelo Salvin
Youn Sun Nah-Ulf Wakenius, foto Angelo Salvin

Nel solido legame artistico col chitarrista Ulf Wakenius Youn Sun Nah ha individuato una soluzione efficace per definire un nuovo repertorio di standards, nonché una formula di intelligente intrattenimento. Con strabiliante tecnica vocale la vocalist coreana articola serrati fraseggi all’unisono con la chitarra e costruisce, seppur con qualche ridondanza, spericolati percorsi in Momento magico e Breakfast In Baghdad, entrambe firmate da Wakenius. Quindi produce repentini cambi di registro e salti di ottava, accompagnati da mugolii, squittii e rantoli con un controllo implacabile delle dinamiche, per poi salire sugli acuti e i sovracuti con facilità disarmante, come testimoniano le versioni di Jockey Full Of Bourbon di Tom Waits e Enter Sandman dei Metallica. Al tempo stesso, sa esprimere delicati valori melodici con una vasta gamma di nuances. Ne danno prova lampante Avec le temps di Leo Ferré, un canto tradizionale coreano e un’accorata interpretazione, in forma di vera e propria preghiera, di Hallelujah di Leonard Cohen. Inutile porsi il problema dei contenuti jazzistici: qui prevale la libertà di trattare materiali diversi con un approccio stilistico coerente.

Enzo Boddi

Youn Sun Nah, foto Angelo Salvin