Torino Jazz Festival 2023: seconda parte

di Lorenza Cattadori

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Biglietti esauriti, concerti sold-out e moltissimi giovani tra il pubblico: si iniziano a vedere i risultati di questo festival e il direttore artistico Stefano Zenni gira per strade sale e studi  con un’evidente soddisfazione. Alcuni tra gli eventi sono esclusivi, creati proprio per quest’occasione con l’intenzione di offrire ai fruitori la possibilità di conoscere percorsi musicali differenti e personalità come Shabaka Hutchins, Paal Nilssen-Love, Sarathy Korwar, Eve Risser o lo stesso Craig Taborn che in piano solo ha davvero entusiasmato il pubblico accorso al Conservatorio per applaudire una performance fantastica.

Craig Taborn

Mi contestano spesso il fatto che io scriva sempre ‘bene’ di qualunque artista o concerto, ma non si tratta di un’incapacità di discernimento quanto della consapevolezza verso l’impegno e l’amore che ogni musicista mette nel proprio lavoro, oltre allo studio e alla passione che lo porta verso quella strada: dunque non vorrei mai potermi permettere di stroncare alcunché. Piuttosto prendo la persona in disparte senza manifestare acremente il mio parere in modalità pubblica, oppure non ne scrivo affatto. In questo senso tengo però a precisare però che, in una rassegna tanto composita, non era possibile presenziare a tutti i concerti e dunque per tutti quelli che in queste mie pagine non sono stati contemplati il problema era solo rappresentato dal non potermi sdoppiare…
Di martedì 25 aprile potrete leggere un approfondimento su queste pagine a cura dei miei colleghi: nel pomeriggio il batterista Hamid Drake esprime il suo omaggio per Alice Coltrane Turiya al club torinese Hiroshima Mon Amour, le persone si accalcano tutte in piedi verso il palco per un concerto di suoni pazzeschi e profondi equilibri di innesti elettronici e soprattutto movenze danzanti con la strepitosa Ngoho Ange.

Steve Coleman
Steve Coleman
Jonathan Finlayson

La sera il Teatro Alfieri ospita un pubblico davvero eterogeneo, che lo riempie completamente per poter finalmente ascoltare il sax di Steve Coleman con il suo quartetto: bellissima la posizione dei musicisti, tutti sulla stessa linea visiva orizzontale e nemmeno la batteria è posizionata in secondo piano. La musica di Coleman è sempre potente e a volte mi sembra che il mio respiro abbia la stessa scansione ritmica.
Mercoledì 26 aprile inizia al Circolo dei Lettori con una conferenza dello studioso e docente Guido Michelone, intervistato dal musicologo Franco Bergoglio, che prende spunto dai suoi due libri “Il jazz e i mondi” e “Il jazz e l’Europa” per parlare di questo meraviglioso viaggio tra le culture e i suoni, nel secondo caso dall’Albania all’Europa. Bergoglio lo incalza, si parla pure del Vaticano e dell’Ucraina, con il famoso e frequentatissimo festival jazz di Leopoli e i trentadue club jazz presenti prima della guerra a Kiev. Con l’aiuto di contributi video Michelone riprende alcuni temi importanti trattati dalla critica jazz europea e mondiale; mostra al pubblico al pubblico un concerto del quintetto dell’Hot Club de France, con Django Reinhardt e Stéphane Grappelli, teorizzando che il primo jazz eminentemente europeo sia nato proprio in Francia, anche grazie all’apporto del critico Hugues Panassié (e Charles Delaunay, aggiungo, sebbene con approcci differenti). E poi Belgio, Gran Bretagna e un accenno a Fela Kuti. Pubblico davvero numeroso, che porge allo studioso molte domande nella parte finale della conferenza.

Foto di Marco Alessi

Sul concerto a cui ho assistito la sera al club Comala non posso che esprimermi con entusiasmo , mentre sul palco dei main concerts il contrabbassista Furio Di Castri presentava il suo splendido progetto su Frank Zappa (e avrei desiderato essere ubiqua). Amo le big-band, e questa Jazzomanzia diretta da Edoardo Pascale aveva sulla carta le caratteristiche giuste, ma non sapevo ancora quanto i dettagli di questa performance potessero accendermi. Realizzata in uno dei club torinesi più vivaci e informali, con un pubblico certo non avvezzo alla liturgia del pubblico jazz (e infatti non applaude agli assolo e nemmeno quando la band appare sul palco) e molto divertito dai musicisti – solitamente più casual – rigorosamente in completo nero, questa musica è perfetta, composta da brani originali nelle classiche strutture swing o ballad, se si esclude il pezzo A Mano Armata, ispirato alle colonne sonore realizzate da Franco Micalizzi per alcuni film di genere ‘poliziottesco’, dove alberga un sacco di bellissimo funky. Il pianista Sergio Di Gennaro sostituisce Luca Costanzo, infortunato, e il chitarrista Claudio Lodati si conferma uno strumentista di alto livello. Completano il quadro una pertinente e lucida sezione ritmica con Carlo Feltro al contrabbasso e Alessio Boschiazzo alla batteria, Claudio Bonadé, Simone Garino, Gilberto Maina, Nando Massimello, Luca Zennaro alle ance, Stefano Cocon, Igor Vigna, Dario Avagnina, Cesare Mecca a trombe e flicorni, Alberto Borio, Claudio Giunta, Alessio Colasurdo, Edoardo Filipozzi ai tromboni, Maurizio Mazzeo alla chitarra, Francesco Partipilo alle percussioni e il piccolo Nicola Pascale alla voce in uno dei brani che compongono anche il lavoro A Swindle Affair uscito per la Capogiro Records.  Assolo perfetti e sorridenti, e nella parte finale pure bravissimi ballerini in pista.
Un altro incontro di Jazz Talks apre la giornata del 27 aprile: allo Urban Lab si parla del jazz a Torino, ricordando l’eccezionale figura di Sergio Ramella, la persona a cui si deve l’organizzazione di tutti i concerti più interessanti in città: una stagione magnifica che è rimasta nei cuori e negli occhi del pubblico e a cui si deve sempre guardare per comprendere la rotta da perseguire. Qualche sera prima era stato premiato sul palco delle OGR uno studente particolarmente meritevole – il laureando in pianoforte jazz Fabrizio Leoni – con una borsa di studio in memoria proprio di Ramella e l’associazione AICS a cui Ramella apparteneva, e che si sta rendendo portavoce e fautore di quelle stesse iniziative, organizzerà a partire dall’11 maggio la rassegna Too Young To Jazz realizzata con la raccolta fondi del concerto per Ramella organizzato al Conservatorio il 21 gennaio, di cui Musica Jazz parlerà presto. Il giornalista Marco Basso, il presidente dell’AICS torinese Ezio Dema ed Elena Dellapiana dello Urban Lab (che modera il dibattito) dialogano sulle opportunità a Torino, “un luogo dove il jazz lo incontri anche se non lo cerchi” come sottolinea nell’introduzione la moderatrice.

Roberto Ottaviano

Il pomeriggio all’Aula Magna del Politecnico, dopo un Jazz Blitz alla Casa dell’Accoglienza di Torino “per portare gioia in un luogo dove solitamente non se ne trova molta” dice Zenni all’inizio del concerto, ecco arrivare il musicista dell’anno per il Top Jazz Roberto Ottaviano con il suo quartetto e un suono potente, concreto e ricchissimo. Pezzi che volano, costruiti magnificamente tra echi di Ornette, folklore africano, rigore e genio;  Zenni ha per lui parole appropriate sul suo suono e aggiunge una considerazione sui musicisti davvero indovinati che si porta accanto per decifrare la sua scrittura. Quando sembra che nel pezzo fili tutto liscio, arriva Marco Colonna con il clarinetto basso e il suo vigore sapiente, o il contrabbasso di Giovanni Maier che insieme al grande Zeno De Rossi alla batteria formano una sezione ritmica sfavillante e assolutamente funzionale al progetto, e la presenza di Alexander Hawkins al pianoforte contribuisce a creare una sensazione compiuta. Così la musica incede come un’onda, inevitabile e avvolgente, rotonda e assolutamente peculiare pur non prescindendo da alcuni stilemi della grande tradizione. Il bis (generosissimo) è richiesto a gran voce e Ottaviano ci premia scegliendo un brano composto dal pianista Karl Berger, scomparso lo scorso 9 aprile, ricordando il momento in cui ha suonato con lui.

Paal Nilssen-Love Circus: Juliana Venter, voce
Thomas Johansson, tromba
Signe Emmeluth, sax alto
Kalle Moberg, fisarmonica
Christian Meaas Svendsen, basso elettrico, contrabbasso
Paal Nilssen-Love, batteria, percussioni
Foto di Antonio Baiano

La sera alla Casa Teatro Ragazzi e Giovani, un’esplosione distonica di suoni e colori. La Norvegia è centro di enorme rilievo da cui provengono molti musicisti, e il concerto è in effetti stato organizzato in collaborazione con la Reale Ambasciata di Norvegia con sede a Roma. In questo caso il gruppo si è formato durante il periodo pandemico in risposta alla richiesta, fatta al batterista Paal Nilssen-Love, da parte del World Music Festival di Oslo sulla possibilità di costituire una band formata solamente da musicisti norvegesi. In primis possiamo dire che gliene siamo veramente grati. Il primo pezzo parte sommesso, con i colpi di gong e un tourbillon di piatti a cui si aggiunge un tapping sul contrabbasso di Christian Meaas Svendsen, una sordina piena d’aria dalla tromba di Thomas Johansson, stesso effetto per il sax alto di Signe Emmeluth, una nota tesissima e acuta dalla fisarmonica di Kalle Moberg (elemento inizialmente spiazzante, ma decisivo) e infine i mille suoni infiniti e sublimi della voce femminile Juliana Venter. Un concerto avvincente, tra momenti velocissimi e altri di introspezione e suoni lenti: dentro la struttura di questa musica prende vita un universo sonoro e tutte le rispettive formazioni dei singoli strumentisti (classico, etnico, jazz, contemporaneo…) emergono nella loro pienezza. In un momento davvero strabiliante la cantante imita i suoni riprodotti da qualcuno che giri la manopola di una radio: songs americane, frammenti di radiogiornali in varie lingue, canzoni popolari e persino tutti i crepitii e i burst noises, per poi precipitarsi con uno scatto inaspettato nella parte del palco più vicina al pubblico e iniziare a danzare con movenze afro. Un corpo vibrante, in tempesta ma con ironia, e noi quasi tutti a bocca aperta, con la paura di applaudire per non rompere l’incanto, come a sorridere quando pensiamo al solito ‘effetto larsen’ e invece è una bella nota tiratissima e voluta. Solo quando verso la fine il pezzo accelera in modalità inimmaginabili allora sì, ci lasciamo andare ed applaudiamo copiosamente quasi fossimo un ulteriore contributo sonoro. Passa quasi un’ora e mezza in un lampo, ma pretendiamo un bis che ci lascia andare via senza voce per le moltissime ‘urla jazz’ dedicate a questi straordinari musicisti, inteso letteralmente come  ‘fuori dall’ordinario’. (Fine seconda parte)
Lorenza Maria Cattadori