Tigran Hamasyan, PianOstuni 14 luglio 2017

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Tigran Hamasyan

Chiostro di San Francesco, Ostuni – 14 luglio 2017

Gentile e umile come pochi ce ne sono in circolazione. Raccolto nel suo pensiero musicale, nella sua espressione compositiva e nel suo fraseggio sicuro, Tigran Hamasyan ha un credito con il grande pubblico pugliese: quello della sua notorietà; la stessa che in altri paesi – ma anche in altre zone di Italia – è riconosciuta tanto da affollare recipienti belli grandi e che lo obbligano anche a più soste nello stesso sito. In Puglia, la sua fama fa fatica in favore di altri colleghi di strumento che macinano sempre lo stesso verbo, con qualche modifica nell’inflessione dialettale. La sfida ostunese, però, è ben riuscita, nonostante Giove Pluvio avesse dato segnali di guerra, rinfrescando il chiostro di palazzo San Francesco e, probabilmente, scoraggiando altri astanti, magari curiosi di meglio comprendere gli affreschi multimediali del giovane pianista armeno. La seconda edizione di PianOstuni non poteva avere migliore inizio, rassegna organizzata e promossa dal sodalizio Bass Culture e finanziata dall’illuminata amministrazione comunale ostunese, mercé l’assessore al turismo, marketing territoriale, eventi e cultura Niki Maffei.

Tigran Hamasyan è solo, con il suo pianoforte una piccola fortezza elettronica che utilizza con parsimonia per contestualizzare la sua musica. E con la sua voce: limpida, acuta come una lancia di guerra, calda e appassionata nel vocalizzare e arabescare le sue melodie. Declama il suo ultimo lavoro discografico «An Ancient Observer» da pochissimo pubblicato dalla Nonesuch, anche in vinile. Il sintetizzatore gli consente di riprodurre anche l’organo che irradia New Baroque (seconda e prima parte), con la voce a fare da contraltare al ruvido suono, piallato dal pianoforte che intona armonie barocche. Le microvariazioni, i microintervalli su pedali, ostinato, tipici della produzione minimalista, timbri e impasti sonori che percorrono nuove vie si alternano a fughe e romantici arpeggi, così anche a sovrapposizioni e intervalli più arditi, come accade in Fides tua. Hamasyan fonde sonorità, non solo quella armena, con l’improvvisazione di matrice jazzistica, fagocita la musica classica, tanto da creare nuove immagini sonore: una nuova concezione di fusion, anche per la sua cantabilità. Prova ne è The Cave Of Rebirth o Egyptian Poet, dove i registri bassi del pianoforte troneggiano per far da contraltare al canto luminoso. Il fuoco che arde in Tigran è tale da trasfigurarne il volto, da alterare le sue delicate sembianze. E si tocca con mano nello stravolgimento di tempi e di volumi di Markos And Markos, con il suo incedere marciante che avrebbe fatto comodo al realismo espressionista di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. L’encore è sorprendente, perché prende per mano Frank Churchill con la sua Someday My Prince Will Come (che non figura nell’album) e l’affetta con garbo, restituendole, poi, le antiche vesti.

Ovazione del pubblico, che tra l’altro annoverava anche un buon numero di musicisti: e questo la dice lunga sull’indubbio valore e la genialità di Tigran Hamasyan.

Alceste Ayroldi