
Ravaldino in Monte (FO), Area Sismica, 3 novembre 2019
Un contrabbassista norvegese già affermato, membro del gruppo Atomic e del trio The Thing, assieme a Mats Gustafsson e Paal Nilssen-Love, per imperscrutabili motivi alla soglia dei quarant’anni decide di trasferirsi ad Austin nel Texas, dove presto riesce a costituire un nuovo gruppo estremamente combattivo con musicisti locali. Anche questo è un segno della globalizzazione! Un sintomo dell’annullamento delle distanze fisiche, come di quelle mentali e culturali. Il contrabbassista è ovviamente Ingebrigt Håker Flaten e la formazione si chiama The Young Mothers, attiva dal 2012 e completata dai texani Jawwaad alla tromba e canto, Stefan Gonzalez, alla batteria, vibrafono e voce, Jason Jackson, al sax tenore e baritono e il chitarrista Jonathan Horne, ai quali per ultimo si è aggiunto il batterista Frank Rosaly, proveniente da Chicago.

Nell’esclusiva italiana all’Area Sismica la compagine ha confermato l’immagine frastornante che si è creata fin dagli esordi. Già nel collettivo iniziale la funzione di ossatura portante svolta dal contrabbasso del leader e dalle batterie di Rosaly e Gonzalez è risultata talmente satura e pervadente da soffocare a tratti la pur vociante e frenetica front line.

Di seguito un intervento vocale di Gonzalez in completa solitudine, teatrale ed estremo, dalle abrasive esasperazioni heavy metal, ha avviato una sequenza in cui, fra spiccati temi melodici, riff ben scanditi e alterazioni timbriche, hanno avuto modo di mettersi in evidenza via via tutti gli altri membri del gruppo.

La pronuncia del tenore, dapprima illuminata da lirismi ayleriani, ha poi preso urlanti e grevi ruvidezze hardcore; la poket trumpet di Jawwaad ha inanellato farneticazioni relativamente leggiadre e limpide, solo in parte memori di Don Cherry, mentre la sua voce ha declamato testi cadenzati e insistiti, apportando un’evidente componente rap ed hip hop. La chitarra di Horne ha contribuito con un fraseggio serrato e visionario, di matrice rock, ma tutto sommato abbastanza generico. All’uso molto essenziale e marcato del vibrafono da parte di Gonzalez ha fatto riscontro il drumming di Rosaly, roboante e più elaborato, ma altrettanto netto e finalizzato. Il contrabbasso e il basso elettrico del leader hanno fornito un’ordita intelaiatura e una regia incalzante.

La formazione quindi, con la sua performance tesissima, senza momenti di cedimento, ci ha messo di fronte ad una musica trasversale, di non facile classificazione, in cui si potevano distinguere varie componenti strettamente intrecciate fra loro. Naturalmente non è mancata la presenza anche del free jazz, che però, pur corrosivo e ormai metabolizzato, ha lasciato ampio spazio a scabrezze più esplicite, a una ritualità collettiva e ad una perenne aggressività provenienti dall’ambito rock.

Una musica provocatoria e protestataria, mai accattivante, che ha introdotto a un’esperienza d’ascolto sempre intensa, quasi traumatica. Prendere o lasciare! Non è poco in quest’epoca in cui, anche in ambito jazz, si assiste a revival e revisionismi rassicuranti, in cui sembrano trionfare, anche fra i giovani, le edulcorate, riduttive e divulgative riproposizioni della BAM americana o dell’attuale pseudo-jazz inglese. In definitiva il quarantottenne contrabbassista scandinavo non si è smentito: alle forti, ineludibili esperienze europee, ha affiancato una proposta americana altrettanto determinata, quasi violenta.

Due parole infine merita la sede dell’evento. Area Sismica è un club, piccolo ma accogliente, isolato nella campagna a Sud di Forlì, gestito dall’omonima Associazione di promozione sociale senza fini di lucro. Giunta al trentesimo anno di programmazione, Area Sismica si è costruita una credibilità invidiabile, un’immagine ben caratterizzata che la rende nota a livello internazionale; basta sbirciare l’elenco degli eventi succedutisi negli anni per capire la qualità delle proposte, che alternano e integrano jazz ed elettronica, rock, musica improvvisata, musica contemporanea ed altro ancora.
Libero Farnè