The Underflow – Padova, 25 gennaio 2020

di Giuseppe Vigna

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The Underflow
The Underflow (polaroid di Giuseppe Vigna)

Centro D’Arte degli Studenti dell’Università di Padova
Sala dei Giganti, Padova, 25 gennaio 2020

The Underflow
David Grubbs, chitarra, elettronica, voce
Mats Gustafsson, sax, flauto, elettronica
Rob Mazurek, tromba piccola, elettronica, percussioni, voce

È possibile, nel 2020, ascoltare un concerto che propone la musica più bella del mondo? O, forse meglio, è possibile ascoltare un concerto così ricco di informazioni, di riferimenti, di stimoli, di emozioni, da risultare un’esperienza irrinunciabile, qualcosa che realmente ha segnato e segnerà chi l’ha condivisa?

Mats Gustafsson (foto di Michele Giotto)
Mats Gustafsson (foto di Michele Giotto)

A Padova è accaduto sabato scorso, alla Sala dei Giganti, dove il trio The Underflow, che allinea il chitarrista e songwriter David Grubbs, il trombettista Rob Mazurek e il sassofonista Mats Gustafsson, ha aperto la nuova stagione di concerti del Centro d’Arte di Padova. Partiamo dalla fine, dal secondo bis, richiesto dagli applausi scroscianti di chi avrebbe voluto un concerto senza fine, ed ecco materializzarsi un grappolo di note, una breve melodia che si ripete come un loop nei modi cari al minimalismo sonoro storico di New York ma che, dopo un paio di giri, inizia a mostrare qualche frattura, qualche incertezza (quasi a richiamare il Roscoe Mitchell di Noonah), che prosegue in un’atmosfera sospesa, come in trance, e che inchioda alle poltrone gli ascoltatori, sbalorditi da tanta bellezza. «Era fantastico» dirà Gustafsson ai suoi colleghi in camerino alla  fine del concerto, «avremmo potuto continuare per altri cinquanta minuti», evidenziando quanto il processo sonoro che lo ha appena coinvolto sia avvenuto in diretta e quanto lui sia stupefatto, proprio come chi lo ha appena ascoltato.

Rob Mazurek (foto di Michele Giotto)
Rob Mazurek (foto di Michele Giotto)

È appena terminato un concerto ricco di colpi di scena: l’inaspettata citazione da Miles Davis e la sua It Never Entered My Mind per Rob Mazurek alla tromba piccola, di recente adottata al posto della cornetta, un Gustaffson sbalorditivamente lirico al flauto ad accompagnare Grubbs in una delle sue canzoni, e ancora Mazurek, ma non come trombettista o performer all’elettronica bensì come percussionista sui campanacci di legno, uno strumento per cui è ormai subito identificabile, proprio come quando suona la cornetta. «Sono campanacci messicani: mia madre ha costruito  la rete che li tiene insieme e ho iniziato a usarli nei dischi che ho inciso nel 2014 dopo la sua scomparsa, “Mother Ode” e “Return The Tides”. Suonarli è il mio modo per rimanere in contatto con lei» spiega Mazurek.

David Grubbs (foto di Michele Giotto)
David Grubbs (foto di Michele Giotto)

Lo statunitense Mazurek e l’europeo Gustafsson sono due delle menti più brillanti del jazz d’oggi. Entrambi prolifici, sono allo stesso tempo rigorosi, pronti a pubblicare su disco o a presentarsi dal vivo con un’idea sempre definita che pretende però totale adesione. The Underflow documenta così una loro preziosissima collaborazione sollecitata dalla presenza di un altro artista cruciale, il chicagoano, e ora trasferito a New York, David Grubbs. Prima leader dei Gastr Del Sol poi attivo come solista, Grubbs è stato uno dei generatori di quella scena delineatasi a Chicago negli anni Novanta, e che una felice intuizione giornalistica definì post rock. Grubbs vive all’interno della musica, è un ricercatore infaticabile, tanto pronto a lavorare con la forma-canzone in una concezione più aperta possibile e in grado di raccogliere al suo interno le sollecitazioni più diverse, quanto innamorato dell’improvvisazione istantanea, della musica che nasce in diretta sotto gli occhi di chi la ascolta. I Tortoise, Jim O’Rourke, Grubbs e i Gastr Del Sol, con il loro post-rock, hanno creato uno dei movimenti realmente significativi e più seminali e influenti degli ultimi trenta anni, e di questo è fermamente convinto proprio Mazurek. Agli inizi della sua carriera, il trombettista era uno scoppiettante virtuoso di hard bop che, da Chicago, ebbe successo al Fringe Festival di Edimburgo, dove incise i suoi primi due album, ma solo tornando negli Stati Uniti, quando iniziò a collaborare con la scena post rock, trovò la sua musica più autentica, scoprendo un approccio diverso che ignorava limiti e confini tra ambiti d’espressione.

David Grubbs è il collante all’interno degli Underflow. È lui che con le sue canzoni può offrire una struttura alla musica, ed è lui ad aver già collaborato con Gustafsson e Mazurek in numerose occasioni. Ogni concerto dei tre finisce così per essere la sintesi di una lunga serie di esperienze artistiche e umane, fatte di stima e di voglia di confronto, di ricerca di un linguaggio comune e condiviso. Così ogni esibizione è diversa dalle altre, nutrendosi dell’energia del momento e coinvolgendo nel processo creativo altri soggetti come i promoter, gli organizzatori.

The Underflow (foto di Michele Giotto)
The Underflow (foto di Michele Giotto)

Per questi ultimi i concerti non sono la merce usata per vendere altre merci, cioè cibo e bevande (legittimo, invece, per i gestori dei club che pagano i musicisti a loro spese, ma non certo per chi riceve contributi pubblici), ma sono il modo per confrontarsi con la realtà a riguardo del lavoro compiuto. Il che significa, da un lato, sostenere le musiche più vive e creative; e dall’altro, con importanza non certo minore, la formazione di un pubblico. Non è un caso che il concerto si sia svolto nella cornice del Centro d’Arte di Padova, nella magnifica Sala dei Giganti, e che il giorno prima i tre avessero suonato a Bologna, nell’ambito del festival Angelica. Entrambe le associazioni lavorano nella stessa direzione, e ogni concerto si trasforma in un’occasione di crescita e, alla fine, di gioia condivisa. A Padova gioiva anche Vassilis Filippakoupolos, produttore – assieme a John Corbett – dell’album di esordio degli Underflow. A lui si deve la pubblicazione della versione in vinile per la sua etichetta Underflow Records, e Underflow è anche chiamata ad Atene la sua galleria d’arte con incluso negozio di dischi, là dove Vassilis presenta un’audace stagione di appuntamenti new jazz. Di tanta musica essenziale, necessaria, la ripresa di The Season Reverse, pubblicata in origine sul disco «Camoufleur» dei Gastr del Sol (1998), è stata il colpo al cuore del concerto. Come allora, la tromba piccola di Mazurek che svetta all’interno del brano resta qualcosa di magico e di indimenticabile: così è stata la versione offerta a Padova, e chi c’era la ricorderà a lungo.

Vigna