La personale concezione del Tempo di Rosalia De Souza

Dopo nove anni di silenzio discografico, esce il 16 maggio «Tempo» il nuovo disco della cantante brasiliana, per la Nau Records e prodotto da Gianni Barone e Peppino Ciraci, che sarà presentato il 18 maggio al teatro Paisiello di Lecce e il 24 maggio all’auditorium Parco della Musica di Roma.

2412
Rosalia De Souza foto di Ida Santoro

Rosalia, sono passati quasi dieci anni dal tuo ultimo lavoro discografico. Nel frattempo, cosa è successo e cosa ti ha spinto a pubblicare proprio ora?
Nove anni di riflessioni, di ricerca, di concerti e collaborazioni, che mi hanno aiutato ad arrivare alla conclusione che bisogna andare oltre i propri limiti. E questo ovviamente mi ha portato a farlo ora.

Rispetto a «Garota Moderna», «Garota Diferente», ma anche «D’improvviso», sembra che siano cambiate molte cose. Soprattutto nell’impostazione del brano. Hai voluto abbandonare la strada «elettronica» preferendo quella acustica?
Se mi permetti di dirtelo, manca un album nella lista, «Brasil Precisa Balançar», prodotto da Roberto Menescal con la partecipazione di Marcos Valle e registrato completamente a Rio De Janeiro nonché distribuito con molto successo dalla Universal in Giappone. È comprensibile che non lo si conosca molto in Italia. Tornando alla domanda, l’elettronica non è mai stata una scelta personale. Garota Moderna e Garota Diferente sono lo stesso album; il secondo è un remix del primo fatto da diversi dj del settore. D’improvviso invece è stato completamente acustico così come, prima di lui, il mancante della lista. Non ho mai utilizzato supporti elettronici nei miei live, dando unicamente priorità ad un ensemble di musicisti professionisti, capaci di ricreare la stessa atmosfera dei miei album, senza aver necessità di altro se non dei propri strumenti.

Già da subito si sente che hai voluto recuperare la tradizione, quella della musica popolare brasiliana, anche al di là della bossanova. Pensi che le altre musiche brasiliane siano state messe in secondo piano in questi ultimi anni?
Al contrario. La tradizionale musica brasiliana è stata messa da parte per la diversità di stili che il nostro paese contiene. Abbiamo visto cosa è stato capace di fare negli ultimi anni la musica commerciale brasiliana in giro per il mondo. Questo ha sicuramente danneggiato la visione mondiale della nostra musica ma ancora di più le nuove generazioni, che hanno dimenticato il valore della nostra musica popolare e tradizionale.

Artcover: Gianfranco Grosso

Parliamo più nel dettaglio di «Tempo» e, in particolare, vorremmo partire dal titolo. Perché Tempo?
Il tempo segna, risponde, delinea. Il tempo è sempre stato un argomento da filosofi e religiosi. Mi piace molto un aforisma di Sant’Agostino che dice che «Il tempo è un istante inesistente di separazione tra passato e futuro». Il tempo passato tra il mio ieri e il mio domani è il mio «Tempo», oggi.  Mi sembra davvero perfetto per spiegare ciò che provo rispetto al passato e il futuro.

Si potrebbe dire che hai cambiato tutto, anche nella scelta dei tuoi compagni di viaggio. Ci parleresti di loro e dei motivi per cui hai voluto la loro collaborazione?
Diciamo che le scelte non sono scelte ma percorsi intersecati, cosa accaduta alcuni anni fa. Antonio de Luise, Aldo Vigorito, Sandro Deidda e Dario Congedo, mi accompagnano ormai da molti anni e sono una mia sicurezza. Conoscono i miei punti di forza e meno forza, esprimono personalità con  i loro strumenti, hanno una voce, ognuno di loro, che dialoga perfettamente con la mia. Abbiamo lo stesso desiderio di conoscenza e condivisione di questa. Umberto Petrin è entrato in un secondo momento ma non è meno importante degli altri. Il suo piano mi ha «bucato» il petto!  Principalmente per il ruolo di compositore delle musiche per i miei testi. Lui è stato il più grande regalo che mi potevano fare.  Questa è davvero la prima volta che ho scelto tutti i musicisti per il mio album e ne sono molto felice. Persone belle e musicisti fantastici.

E’ un disco riflessivo, che pone molti problemi e domande all’attenzione di tutti, come le riflessioni filosofiche de La città del nulla. Quali sono queste città?
Tutte quelle città in cui, da straniero, immigrato o emigrato, arrivi pieno di sogni, di entusiasmo e dopo un po’ ti rendi conto che è tutto un circo, che è tutto un inganno, che nulla ti sarà concesso perché sei fuori dal loro contesto, sei fuori dalla loro mentalità e non accetteranno mai la tua diversità. Allora si chiude un sipario, unica cosa tangibile, ‘ad una musica che ormai non suona’: questa frase vuole dire che la creatività e gli intenti di quel sognatore straniero muoiono, perché non hanno riscontro. Questa è una perdita per tutti.

In Só para você parli della bossanova come se si fosse estinta, o quasi. Pensi ci sia una crisi di valori culturali anche in Brasile, tanto da far dimenticare anche la più recente tradizione?
Sì, onestamente. Bene e male di un popolo giovane. La contemporaneità sta prendendo mano troppo in fretta, e nella fretta di crescere si lascia da parte ciò che ha permesso al nostro paese di essere riconosciuto in tutto il mondo. La nostra musica, in particolare la bossa nova, è un patrimonio inestimabile. Essere fuori dal mio paese mi dà la possibilità di farla vivere. Ed io faccio del mio meglio.

Poi, troviamo una dedica a Chico Buarque de Hollanda con la tua personale e sentita interpretazione di O que será. Cosa rappresenta per te Chico Buarque?
Rappresenta moltissimo. Dalla politica all’amore ha saputo usare le parole come pochi. Rappresenta anche l’intelletto, la pacatezza, la vibrazione energetica. Lui non ha bisogno di dire molto per spiegare tanto e nel suo modo di dire tanto spiega oltre… è difficile trovare definizioni per qualcuno  che rappresenta per me un mito. I suoi occhi poi, sono di una assenza presenza ineguagliabile.

Undici brani: ce ne è uno al quale sei particolarmente legata?
Sì. Particolarmente Io e Te. Ma in realtà tutti quanti i brani. O perché sono mie storie personali  o perché storie vissute di traverso, tramite racconti di altri, comunque vicini a me.

Le musiche del disco sono firmate da vari compositori. Come sei entrata in contatto con loro?
Mishael Levron ci siamo incontrati a Roma tanti anni fa ma pur essendo distanti, ha contribuito con grande amicizia a questo mio percorso. Dario Congedo è il mio batterista, il contatto è presto fatto. Salvatore Peppino Ciraci mi ha contattato per una collaborazione e guarda che fine abbiamo fatto! Umberto Petrin mi è stato presentato da Giovanni Barone, il mio produttore, che ha sempre creduto che ci sarebbe stata intesa fra noi, prima ancora di presentarci.

Mentre i testi recano quasi tutti la tua firma. Cosa o chi ti ha ispirato?
Tutti, tranne quella di Chico Buarque. Dovrei andare nel dettaglio e diventa un po’ lungo. In generale mi ispira la vita. La mia, e l’osservazione di quella degli altri. A volte basta sapere qualcosa di qualcuno e la mente elabora, cercando di capire i percorsi per cui quella storia sia arrivata fino a me o perché ha avuto risvolti imprevedibili. Insomma il perché delle cose.

Rosalia De Souza
Foto di Ida Santoro

Rosalia, vivi in Italia da diverso tempo. Innanzitutto, il fatto di vivere in Italia ha cambiato la tua impostazione musicale?
Diciamo in onestà, che ha impostato la mia musicalità originaria. Non l’ha cambiata ma l’ha valorizzata.

In secondo luogo, perché hai scelto di rimanere qui?
Anche qui dovrei andare nel dettaglio; posso dirti che ho motivi famigliari importanti nonché professionali.

Qual è il tuo background artistico e quando hai pensato di fare della musica la tua professione?
La mia formazione musicale parte da quando avevo quattro anni di età da Roberto Carlos a Gigliola Cinquetti, da Peppino di Capri a Burt Bacharat, da Elis a Elizeth Cardoso, da Alcione a Simone, da Brahms a Pink Floyd, da Pino Daniele a Renaissance, da Mingus a Ella e Armstrong e Etta e Billie e Nina e… tanta musica bella, potrei dire, ma sicuramente mi è sfuggito qualcosa! Ho pensato di avere qualcosa da dire in musica e di vivere per questa soltanto a ventinove anni.

Quali sono stati i passaggi che reputi fondamentali nella tua vita artistica?
Il primo arrivare in Italia, poi le dette ‘gavette’ ai bar, il canto da camera, la ricerca delle parole, la curiosità, la mia instancabile positività verso la vita. Gli incontri certamente. Al posto giusto al momento giusto.

Hai qualche rammarico? Qualcosa che non avresti voluto fare?
Non aver preso questa strada prima, cioè non aver creduto prima. Sì, qualcosa sì. Avrei fatto a meno di tante delusioni ma forse non sarei la persona che sono oggi.

Chi vorresti ringraziare e chi, invece, preferiresti dimenticare?
Vorrei ringraziare i miei genitori e preferirei dimenticare le brutte persone che ho trovato sulla mia strada.

Ora, sarai presa e impegnata a promuovere il tuo album in uscita a brevissimo. Quali sono i prossimi appuntamenti?
Il 18 maggio al teatro Paisiello di Lecce, il 24 Maggio all’auditorium Parco della Musica di Roma, il 28 giugno al Caserta Jazz Festival, il 19 agosto al Roccella Jazz Festival ed il 13 ottobre al teatro Cilea di Reggio Calabria.

Disco a parte, cosa altro bolle in pentola?
Chissà. Il tempo dirà.

Alceste Ayroldi

Le foto di Rosalia De Souza sono di Ida Santoro