Tempo Reale Trenta, 28 – 30 maggio, Firenze

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Francesco Giomi a Tempo Reale Trenta - foto Jennifer Bauer.
Francesco Giomi a Tempo Reale Trenta - foto Jennifer Bauer.

Limonaia di Villa Strozzi (Firenze), 28-30 maggio 2017

A trent’anni dalla sua fondazione per mano di Luciano Berio, Tempo Reale ha allestito una rassegna che, tra il 20 e il 30 maggio, ha documentato efficacemente gli intimi legami tra il maestro ligure e altri compositori della sua epoca, nonché le produzioni di alcuni musicisti contemporanei che idealmente ne perseguono, cercando di svilupparli, gli insegnamenti. In tale ottica si inquadravano tanto le musiche di Morton Subotnick e Steve Reich eseguite dall’Ensemble 900 del Conservatorio della Svizzera Italiana, quanto la presenza di sperimentatori quali Oren Ambarchi, Letizia Renzini, Christian Zanesi e l’ensemble Temporoom.

Con felice intuizione, Tempo Reale ha coinvolto il pianista Fabrizio Ottaviucci, musicista di raro rigore e molto defilato dalla scena, per un programma tanto vario quanto incisivo, aperto da cinque delle dodici Stanze composte da Osvaldo Coluccino tra il 2010 e il 2011, e già frequentate da Alfonso Alberti e Ciro Longobardi.  Tre di esse (la terza, la quinta e la dodicesima) sono state eseguite in prima assoluta. Sequenze spartane, distillate goccia a goccia, in cui giocano un ruolo di primaria importanza la dilatazione temporale, gli spazi e gli intervalli tra le note, le altezze e le dinamiche.

For Cornelius, dedicato da Alvin Curran a Cornelius Cardew dopo la morte, propone fortissimi contrasti. Si apre con una sezione su un 3/4 riecheggiante il valzer, molto tonale e melodica; prosegue con una lunghissima progressione martellante, basata su un crescendo ripetitivo portato al limite dello stordimento tipico della trance, che richiede all’esecutore una concentrazione feroce e anche un notevole sforzo fisico. Tanto furore sfocia in un breve movimento conclusivo, che poggia su accordi solenni, degno requiem per l’amico scomparso.

I Keyboard Studies 1 & 2 di Terry Riley prendono vita dall’interazione in tempo reale tra l’esecutore e il suo alter ego registrato digitalmente, in un gioco di ripetizione, sovrapposizione, incastro e moltiplicazione di cellule generate da uno stesso nucleo.

Tempo Reale Trenta a Firenze, maggio 2017
Tempo Reale Trenta a Firenze, maggio 2017

Raramente si assiste a reazioni tanto entusiastiche ad un concerto di musica contemporanea, tanto da richiedere non uno, ma addirittura due bis: l’elegiaca In A Landscape di John Cage e una sequenza di clusters dello stesso Curran.

Era giusto e inevitabile ripercorrere poi alcune tappe decisive della produzione di Berio. Più evento sonoro che concerto, Nuovamente Berio ha offerto – sotto l’impeccabile regia di Francesco Giomi, direttore di Tempo Reale – ulteriori spunti di riflessione sulle intuizioni anticipatrici del compositore nel duplice ambito della ricerca elettronica e vocale.

Momenti (1960) si suddivide in cinque fasi generate da novantatré onde sinusoidali, dalle cui combinazioni trae origine un flusso mai uguale paragonabile alla ricerca delle frequenze radiofoniche.

Il pionieristico I colori della luce (1963) è un’elaborazione di suoni elettronici sincronizzati con il video eponimo di Bruno Munari e Marcello Piccardo, geniale indagine sui fenomeni cromatici prodotti dalla luce.

Chant parallèles (1975), altra creazione elettronica su nastro magnetico, nasce da un bordone ipnotico su cui si innestano frammenti, “disturbi”, impulsi e sequenze, dando luogo – in una dialettica sempre più serrata – ad un contrasto proficuo con la fissità del bordone stesso.

La vocalità prorompente di Cathy Berberian, elaborata in chiave elettroacustica su nastro magnetico, emerge da Thema (1958) che – prendendo spunto da estratti da Ulysses di James Joyce – si focalizza sulla valenza squisitamente musicale di fonemi e sillabe, poi filtrati, modificati ed espansi dall’elettronica.

Ancor più potente e rivoluzionario è l’impiego della voce di Berberian, anche qui trasposta su nastro magnetico e integrata dall’elettronica, in Visage (1961). La voce emette sospiri, gemiti, singhiozzi, cede il passo al pianto e alle risate, alterna italiano, dialetto napoletano, inglese ed ebraico in un caleidoscopio di scomposizione e decomposizione linguistica. La voce, intesa anche filosoficamente nel senso del greco phoné, si riduce (o meglio, si trasforma) allo stato di suono puro.

Un analogo criterio, seppur dilatato e moltiplicato per cinque, si applica ad A-ronne (1974), fitta trama fatta di incroci, sovrapposizioni e processi dialettici tra cinque voci e altrettante lingue: latino, italiano, tedesco, inglese e francese. Il testo di Edoardo Sanguineti è composto da una citazione dall’incipit del Vangelo di Giovanni (in principio erat Verbum), da brevi versi di Dante e T.S. Eliot, dalle prime frasi del Manifesto del Partito Comunista e da frammenti di un saggio di Roland Barthes. La loro sistematica destrutturazione e ciclica ripetizione, alternata a recitativo, canto e armonie vocali, finisce per costruire un intreccio labirintico e affascinante in cui il verbo (inteso come parola) si fa suono.

Vale la pena di registrare, infine, come il puntuale e scrupoloso lavoro degli operatori di Tempo Reale sia riuscito a costruire negli anni uno zoccolo duro di pubblico, in parte composto (valore aggiunto di non poco conto) da giovani.

Enzo Boddi

Francesco Giomi  a Tempo Reale Trenta, maggio 2017 Firenze
Francesco Giomi a Tempo Reale Trenta, maggio 2017 Firenze