Tempo Reale Festival – Suono Vivo

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Otomo Yoshihide e Chris Pitsiokos, foto Alexander Corciulo

Firenze, Limonaia di Villa Strozzi

25 maggio: Zumtrio

30 maggio: Otomo Yoshihide – Chris Pitsiokos

 

Superato il decimo anno di vita, Tempo Reale Festival – la rassegna curata dall’omonimo centro di produzione, ricerca e didattica fondato da Luciano Berio nel 1987 – ha ulteriormente ampliato lo spettro della propria indagine. Suono Vivo era il titolo di questa edizione, volta a sottolineare un rapporto sempre più diretto tra uomo e tecnologia, tra esecutori e un pubblico variegato, consolidato, aperto e immune da atteggiamenti ingessati o intellettualoidi, nel quale da anni figurano molti giovani. Le cinque serate in programma tra il 18 e il 30 maggio hanno ospitato undici esibizioni. Tra queste vanno segnalate le due più orientate al rapporto con l’improvvisazione.

Coordinato dalla regia di Francesco Giomi, responsabile di Tempo Reale, Zumtrio è un gruppo di recente costituzione che propone una sintesi tra componenti elettronica e audio-tattile basata sull’equilibrio tra tracce prestabilite e improvvisazione. Un processo reso possibile dall’assoluto dominio esercitato da Giomi sulle fonti sonore (nella fattispecie sintetizzatori e radio), dall’apporto di un batterista jazz – ma con studi di percussioni classiche alle spalle – come Stefano Rapicavoli e dall’approccio poliedrico di Francesco Canavese, specialista di elettronica e membro del team di Tempo Reale, ma anche chitarrista di estrazione jazzistica poi convertitosi alla sperimentazione. Il flusso creato da Giomi trae origine dalla manipolazione delle frequenze radio e si arricchisce di impulsi e frequenze generati dai sintetizzatori, producendo un terreno fertile per l’interazione ritmica di Rapicavoli, frastagliata ma mai debordante e ricca di colori ricavati da un set di piccole percussioni. In questa dialettica si inserisce Canavese, disseminando il percorso di frammenti acuminati come schegge con una formidabile varietà di timbri e dinamiche ottenuti grazie all’efficace uso della pedaliera e al controllo meticoloso dei volumi. La sua ricerca sembra compendiare le intuizioni sviluppate da innovatori dello strumento quali Elliott Sharp, David Torn, Marc Ducret, Thurston Moore e Otomo Yoshihide.

Zumtrio, foto The Factory

Proprio Otomo si è ripresentato dopo parecchi anni al pubblico fiorentino con il giovane sassofonista americano Chris Pitsiokos in un set – organizzato in coproduzione con Fabbrica Europa – comprendente due brevi solo separati e un’estesa performance in duo. Nelle mani dello sperimentatore giapponese una chitarra e una coppia di giradischi assumono una natura e una valenza ben diverse dagli usi correnti. Piuttosto, diventano armi affilate e, al tempo stesso, elementi di disturbo che sconvolgono e ribaltano ruoli e processi di percezione convenzionali, proponendo agli ascoltatori una sfida continua. Il frequente uso di oggettistica (che sia un diapason o il bordo di un long playing) per sfregare o percuotere le corde trasforma la chitarra in una sorgente di suoni aggriccianti, lancinanti e corrosivi. Al contempo l’impiego dei giradischi non prevede la tecnica abituale dello scratching, ma semplicemente l’assemblaggio di sequenze percussive e segnali in codice. Interagire con un simile guastatore sonoro non è dunque semplice.

Otomo Yoshihide, foto Alexander Corciulo

Il 28enne Pitsiokos supera brillantemente la prova con impressionante padronanza di registri e dinamiche, uso efficace della respirazione circolare, studio meticoloso dei sovracuti e dei suoni parassiti, suoni stoppati nell’ancia nei passaggi più percussivi e ammirevole pulizia di fraseggio. A suo favore depone la variegata attività sulla scena newyorkese (a fianco, tra gli altri, di Nate Wooley, Joe Morris, Peter Evans e Tyshawn Sorey). Volendo cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe sostenere che gran parte di quella ricerca sonora era stata condotta con esiti stupefacenti già nei primi anni Settanta da Roscoe Mitchell e Anthony Braxton. Oppure, che a tratti il suo approccio al contralto evoca – particolarmente sugli acuti – il Marshall Allen dei tempi d’oro della Sun Ra Arkestra. O ancora, che molti di questi insegnamenti sono stati ripresi più tardi da John Zorn e approfonditi da Tim Berne. Tuttavia, val bene la pena di sottolineare che, con la sua sorprendente maturità, Pitsiokos rappresenta la continuità di quelle esperienze, calata in una contemporaneità che si confronta sia con i segmenti più disinibiti della musica accademica che con le frange più avanzate del rock indipendente.

Enzo Boddi

Chris Pitsiokos, foto Alexander Corciulo