
3.3.2017, Consolato di Svizzera Palazzo Trevisan degli Ulivi, Venezia
Partendo dal presupposto che la bellezza di un luogo riverbera la bellezza di ciò che contiene, al mio arrivo a Venezia e al Palazzo le aspettative per il concerto in programma per “New Echoes – Rassegna di Musica Svizzera a Venezia” erano decisamente alte e il duo Sylvie Courvoisier al pianoforte e Mark Feldman al violino le ha ampiamente soddisfatte.

Ho raggiunto Palazzo Trevisan degli Ulivi con un vaporetto che lentamente ha attraversato il Canal Grande, in una giornata di sole splendente riflesso sulle facciate dei palazzi che si affacciano sul canale e in una Venezia insolitamente quasi vuota e silenziosa. La fermata era a Campo della Carità all’altezza delle Gallerie dell’Accademia, in un’atmosfera metafisica di spazi vuoti e di attesa.
Il concerto è stato ospitato nel salone del Consolato tra preziosi stucchi e vetri veneziani che per la serata si è trasformato in un jazz club accogliente ed informale, gremito di un pubblico eterogeneo per età ma uniforme nell’attenzione all’ascolto.

Courvoisier e Feldman, coppia non solo artistica ma anche nella vita, sono tra i protagonisti della esuberante scena sperimentale newyorkese e ben rappresentano il jazz contemporaneo. Le loro collaborazioni individuali o in duo sono innumerevoli e tra i progetti di questi ultimi anni ricordiamo quelli con Michael Brecker, John Abercrombie, Tim Berne, Uri Caine, Dave Douglas, John Zorn ed Evan Parker, per collocarli stilisticamente.
Il programma del concerto annunciato era composto quasi esclusivamente da brani della Courvoisier che apre il primo brano pizzicando le corde del pianoforte per passare a tocchi veloci, leggeri ed aerei che corrono lungo tutta la tastiera e accennano accordi in dialogo con i suoni larghi, profondi ma ugualmente dinamici del violino. L’intesa interpretativa è immediata e saldata dall’attacco del tema in unisono che proseguirà con toni più intimi velocemente abbandonati in un crescendo di ritmo serrato e teso.
Fin dall’inizio vien così delineata la linea esecutiva e compositiva del concerto con grandi virtuosismi tecnici slegati da un bisogno di protagonismo ma ancorati a desideri e concetti espressi con audacia, passione e urgenza.
L’assonanza tra i due strumenti viene ricercata con molteplici sfumature usando il pizzicato, il vibrato e la tecnica percussiva pur con accenti più rivolti alla sperimentazione e all’improvvisazione che all’interpretazione classica.
Il secondo brano For Alice, dedicato alla Coltrane, è una composizione dalle dinamiche velocissime e con un assolo di pianoforte centrale che tratteggia il tema con toni più profondi melodici e poetici per poi esser ripreso dal violino che lo frammenta e moltiplica e infine tornare sui tasti del pianoforte, quasi sussurrato, in una successione ininterrotta di scambi.

Mentre ascolto assimilo la loro musica allo stile impressionista che con pennellate apparentemente scomposte costruisce l’immagine voluta, in uno stile rivisitato con ardore, rigore e una visione che abbraccia sia la musica classica che le avanguardie.
Il pezzo successivo Time go out, sempre di Courvoisier ed alla prima esecuzione in pubblico, ha tempi più lenti colori più scuri e un cuore poetico con un forte potere evocativo.
Il duo è simbiotico più nei contenuti che nelle forme e nelle espressioni, Couvoisier ha un approccio più libero, sciolto seducente e sfaccettato mentre Feldman, e lo evidenzia nell’unico brano di sua composizione Five Sense Of Keen, ha più rigore, forza esecutiva ed evocativa che raggiunge un lirismo inatteso e coinvolgente.
Il bis richiesto con un applauso caloroso chiude il concerto, avvincente e persuasivo come potevo aspettarmi da due talenti di tal calibro.
Monica Carretta
