
Andiamo in ordine di apparizione, secondo quanto abbiamo potuto seguire, data la quantità di proposte, anche concomitanti. Il sassofonista tenore finlandese Pauli Lyytinen è stato presentato, come già detto, al concerto di apertura della manifestazione, in qualità di responsabile dell’incontro tra Euregio Collective e The Nordic Connection. Il suo lavoro in quel contesto non ci ha impressionato, tenendo conto a sua discolpa dello scarso tempo per preparare un incontro che coinvolgeva diciotto musicisti provenienti da aree diverse. Non abbiamo potuto ascoltare Lyytinen nelle proprie creazioni e nemmeno nel lavoro che ha chiuso il festival, in quota al rifugio Comici del Sassolungo, denominato Dolobeats, che coinvolgeva sette batteristi provenienti da Svezia, Finlandia, Norvegia, Austria, e l’elettronica del norvegese Andreas Stensland Løwe. Un lavoro che ha incontrato l’approvazione di pubblico e addetti ai lavori. Lo abbiamo ascoltato invece nel connubio con la vocalist svedese Anni Elif Egecioglu, in un lavoro dedicato alla poetessa modernista Edith Södergran, caratterizzato da utilizzo diffuso di un’elettronica coloristica e dalla voce diafana, distesa su ampie campiture, in cui i sax di Lyytinen si adeguavano a tale trasparenza tipica dell’estetica nordica, spesso fine a se stessa.
Di tutt’altra impostazione la voce della estone Kadri Voorand, una performer dalla personalità poliedrica, che riesce a coniugare nella sua proposta la canzone e il jazz contemporaneo, il soul e la tradizione folklorica nordica, senza perdere il filo logico della propria esibizione, accompagnata dal contrabbasso di Mihkel Mälgand, nella quale mette in luce qualità di attrice, di violinista, tastierista e manipolatrice elettronica.
Restando nell’area estone, su un piano ancora diverso si pone la sassofonista Maria Faust, che opera in Danimarca. La Faust ha presentato il proprio lavoro Sacrum Facere: musica di intensa ispirazione spirituale, composta in filigrana per un organico con quattro ance (tra cui il clarinetto di Francesco Bigoni), tuba, tromba, pianoforte (Emanuele Mainscalco) e la tastiera tradizionale kannel, che nel contesto notturno incantato di una cava di porfido, dall’acustica eccellente, ha affascinato gli spettatori.

Tra i concerti più significativi poniamo anche quello che ha visto in scena al Museion di Bolzano il trombettista Verneri Pohjola e il batterista Mika Kallio, entrambi finlandesi, protagonisti di un set intenso e interamente improvvisato, nel quale si potevano ravvisare elementi timbrici ed espressivi vicini a Bill Dixon, peraltro non consapevoli secondo lo stesso Pohjola. Il trombettista si è esibito pure alla testa di un proprio quintetto compatto e ben articolato, nel quale presentava la musica di forte evocazione nordica di suo padre, il bassista e compositore Pekka. Sempre al Museion, una band allargata di giovani era condotta sugli itinerari avventurosi dell’improvvisazione dal veterano solista di tuba Per-Åke Holmlander.
Nel festival, in una sezione al Club Sudwerk di Bolzano programmata a tarda notte, ha fatto pure la sua apparizione l’abrasivo baritonista svedese Mats Gustafsson, nel contesto arroventato e dalla rocciosa ritmica rock del nucleo ritmico di Fire!, con Johan Berthling al basso elettrico e Andreas Werliin alla batteria, che sosteneva in questo caso l’interessante vocalist Mariam Wallentin, dal temperamento astratto e provocatorio. L’unica, insieme alla Voorand, che tra le tante voci ascoltate non percorresse itinerari sognanti, ispirati a un fiabesco e levigato folklore nordico. Una scena nordica, dunque, che si conferma in bilico tra suoni idilliaci, stesi su ampie melodie e masse sonore, e tendenze più veementi. Anche nell’uso dell’elettronica si registra tale orientamento: talvolta utilizzata come acquerello che farcisce, altrove portata al limite dell’udibile, come nel caso del finlandese Teemu Korpipää nel trio Immediate Music.
Giuseppe Segala

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