Stefano Bollani: «Questo disco è il frutto della mia voglia di immergermi totalmente nel mondo delle percussioni.»

di Pietro Scaramuzzo - foto di Valentina Cenni

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Stefano Bollani - foto di Valentina Cenni

L’esordio discografico, per Stefano Bollani, di una nuova, personale etichetta; il ritorno in Brasile a incidere, dopo dieci anni, con gli stessi musicisti di «Carioca»; la collaborazione con Caetano Veloso e João Bosco.

Squadra che vince non si cambia, deve aver pensato Stefano Bollani quando ha iniziato a ragionare sul suo nuovo disco, «Que Bom», da poco uscito per la neonata etichetta Alobar. E in effetti, per questo nuovo lavoro in salsa brasiliana, la squadra, quella di «Carioca», è stata solo in parte rimaneggiata. L’unica variazione la si osserva sul fronte delle percussioni, con l’aggiunta di Thiago da Serrinha. La scelta è oculata, poiché alla base del progetto non vi era l’idea di proporre una sterile replica di «Carioca» ma quella di sfruttare i tipici patterns percussivi brasiliani per sviluppare nuove composizioni. L’intensa settimana di registrazione a Rio de Janeiro ha fruttato così ben sedici brani, quasi tutti a firma del pianista. Fanno eccezione soltanto Michelangelo Antonioni, che Caetano Veloso incise nel 2000 nel disco «Noites do Norte», e Nação, di João Bosco. Il risultato è un lavoro che sa adattarsi tanto alle temperature subtropicali quanto a quelle mediterranee, un disco che ha molto di musica brasiliana ma che non rimane prigioniero dello stereotipo.

Perché, a dieci anni da «Carioca», hai deciso di dedicare un nuovo disco al Brasile?
La vera domanda è perché non l’ho fatto prima. Dopotutto, come dici tu, sono già passati dieci anni da «Carioca». Mi sembra incredibile. A ogni modo, quando ho iniziato a pensare a questo lavoro, volevo registrare dei brani composti da me ma che avessero le sonorità di «Carioca». Così sono andato in Brasile a cercare gli stessi musicisti di allora, cui si è aggiunto solo Thiago da Serrinha alle percussioni. In questo senso credo che «Que Bom» sia il frutto della mia voglia di immergermi totalmente nel mondo delle percussioni.

Secondo te com’è cambiato il Brasile da «Carioca» a oggi?
Durante gli anni sono tornato in Brasile altre volte e la cosa che piú balza all’occhio è il continuo fermento in cui vive la musica brasiliana. Per il resto, durante le registrazioni del disco in Brasile sono rimasto praticamente in studio per l’intera settimana di lavoro, quindi, dire che sono stato a Rio de Janeiro è un azzardo.

Stefano Bollani - foto di Valentina Cenni

«Que Bom» è fatto per lo più di materiale inedito. L’hai composto basandoti su una falsariga brasiliana o hai spaziato tra più stili?
Il tema che mi interessava, più che il Brasile, erano le percussioni. Per questo motivo, quando ho scritto i brani ho immaginato come base una sorta di treno percussivo. Le percussioni brasiliane sono straordinarie e mi hanno permesso di ottenere esattamente
ciò che desideravo: un pianoforte che melodizza su quello che definisco un tappeto volante di percussioni.

Scrivi ancora la musica a mano sullo spartito. Ti capita di incontrare musicisti che non sappiano leggere la musica?
Generalmente scrivo cose molto semplici che i musicisti finiscono per imparare a orecchio, anche perché i musicisti che non leggono – e ce ne sono anche di insospettabili – in realtà hanno sviluppato un orecchio raffinatissimo. Per farti un esempio, ho suonato anni fa con Antonello Salis e lui imparava le parti a orecchio. La differenza tra lui e un altro del gruppo era che, se dovevamo suonare sei mesi dopo, chi leggeva la musica aveva bisogno dello spartito, mentre Antonello ricordava il pezzo a memoria.

Quel che mi incuriosisce molto di questo disco sono i titoli. Penso a Uomini e polli o al Gabbiano ischitano. Come nascono queste definizioni per così dire inusuali?
Guarda, i titoli sono volutamente aperti perché non vorrei influenzare l’ascoltatore. Se qualcuno ascolta uno dei brani del disco e cambia direzione rispetto a quella da me tracciata, mi va benissimo così. I titoli non sono altro che le mie suggestioni. Per quel che riguarda il Gabbiano ischitano devo dire che si tratta effettivamente di un animale interessante che fa un verso notevole cui mi sono ispirato. Mentre Uomini e polli è il titolo di un film del mio regista preferito, che si chiama Anders Thomas Jensen.

Stefano Bollani

Tempo fa mi raccontavi del tuo sogno di fare un album con Caetano. Non ce l’hai ancora fatta ma sei riuscito a far cantare a Veloso due brani in italiano. Come sono andate le cose?
Con Caetano la cosa è stata molto carina. In realtà doveva cantare tutt’altro; ma quando è arrivato in studio ha trovato il testo che avevo scritto la sera prima per il brano La nebbia a Napoli. A lui è piaciuto e l’abbiamo registrato. A quel punto ha detto: ma perché non registriamo anche il mio brano Michelangelo Antonioni che ho scritto direttamente in italiano? E così nel disco c’è Caetano Veloso che canta in italiano!

È stato difficile per Caetano lavorare con la lingua italiana?
No, in realtà gli ho insegnato il brano ma c’è voluto molto poco perché Caetano ha capito tutto all’istante. L’unica parola che non è riuscito a capire è stata «frottole». Non si può biasimarlo, è una parola difficile. A ogni modo, per tornare al discorso di prima, non so se Caetano legge la musica ma credo sia un altro caso di un musicista che impara molto velocemente a orecchio.

Ricordo che era un tuo sogno da tempo, anche se tu pensavi più a un disco con Caetano che canta interamente in italiano.
Il disco sarebbe stato molto più complicato. Intanto così abbiamo già due brani con Caetano che canta in italiano. Poi chissà? Magari in futuro l’idea del disco riesce a concretizzarsi.

Stefano Bollani

Un altro ospite importante è João Bosco. In che modo le vostre strade si sono incrociate?
João Bosco lo conoscevo di persona ma non avevo mai avuto l’occasione di suonarci assieme. Visto che eravamo entrambi a Rio de Janeiro ho colto l’occasione per invitarlo a
partecipare al disco. A lui ho chiesto esplicitamente di suonare il suo brano Nação perché mi piace moltissimo.

Come credi che i musicisti brasiliani abbiano digerito la tua musica?
Dovresti chiederlo a loro. Per fortuna, però, posso dirti che questi musicisti non si pongono minimamente il problema della provenienza dell’uno o dell’altro brano.

Pubblicare un disco, più che un punto d’arrivo, è un punto di partenza. Il lavoro grosso arriva dopo. Quindi, che cosa dobbiamo aspettarci da Stefano Bollani per il futuro?
Intanto questo è il primo disco pubblicato dalla mia neonata etichetta discografica. Cosa aspettarsi non lo so neanche io. Posso dirti che ora questo progetto deve funzionare dal vivo. Quando uscirà questa intervista saremo già partiti con una serie di concerti in Sud America e in Europa, e poi in agosto andremo in Brasile.

Pietro Scaramuzzo

[da Musica Jazz, agosto 2018]