Soul Rebels: una brass band unica nel suo genere

Una brass band unica nel suo genere, che rielabora le hit del pop, dell’hip hop e del reggae trasformandole in una colonna sonora perfetta per la parata del Mardi Gras: l'intervista a Lumar LeBlanc

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soul rebels

Probabilmente non esiste nulla di più tradizionale, radicato e immutabile del jazz di New Orleans. Siamo abituati a pensarlo e ad ascoltarlo in un certo modo, e il massimo dell’evoluzione che siamo disposti a concedergli porta la firma di Louis Armstrong. È possibile traghettarlo nella contemporaneità in maniera intelligente ed efficace? A quanto pare sì: è quello che fanno i Soul Rebels, una brass band unica nel suo genere, che rielabora le hit del pop, dell’hip hop e del reggae trasformandole in una colonna sonora perfetta per la parata del Mardi Gras. Sulla carta potrebbe sembrare un azzardo, ma dopo aver assistito al loro concerto al Biko di Milano (un club intimo ma lungimirante, che regala sempre grandi soddisfazioni ai fan della musica nera in Italia) è impossibile non promuoverli a pieni voti, per l’incredibile energia che sprigionano e per l’abilità che dimostrano nel reinventarsi ad ogni brano. E a giudicare dalla lista di persone che hanno diviso il palco con loro, sono in molti a pensarla così: tra gli altri, Maceo Parker, Suzanne Vega, i Metallica, George Clinton, gli Alabama Shakes, gli Arcade Fire, perfino Marilyn Manson. Incontriamo dietro le quinte il bandleader nonché rullantista Lumar LeBlanc, per farci raccontare qualcosa in più sull’ensemble.

Quali sono le origini della band?
I Soul Rebels sono nati nel 1990 ma all’inizio ci chiamavamo Harold Dejan’s Young Olympia Brass Band, dal nome del nostro leader. Tutto è cambiato grazie a Cyril Neville, già membro degli storici gruppi funk The Meters e Neville Brothers. Nella band di Cyril suonavano anche alcuni di noi, aprendo i suoi concerti; le persone erano le stesse, ma la musica che facevamo con lui era molto diversa, più aggressiva. Devi sapere che la Young Olympia era votata al jazz classico di New Orleans: suonavamo roba tipo When The Saints Go Marching In oppure Lord, Lord, Lord. Con il nostro nuovo repertorio, invece, sfioravamo il funk, la musica urban, l’hip hop, il reggae… Così abbiamo deciso di battezzarci in un altro modo, per non infangare il buon nome e la tradizione dell’Olympia. Cyril ci disse che gli sembravamo dei ribelli del soul, non in senso negativo, ma perché stavamo rivoluzionando un genere: da allora ci facciamo chiamare così.

Infatti avete scelto un repertorio molto atipico per una brass band. Cosa pensano di voi i colleghi? Non vi considerano un po’ traditori della causa?
All’inizio, in effetti, è stata dura: ci accusavano di mancare di rispetto alla storia delle brass bands. Dicevano che non facevamo un buon servizio alla musica e alla città, che il nostro stile era sciatto. Non parlavano solo del nostro modo di suonare, ma anche dei nostri vestiti: continuavamo ad indossare il classico cappello nero da parata, ma in compenso le nostre divise erano una T-shirt nera, un paio di jeans di parecchie taglie troppo larghi e un bel paio di anfibi marca Timberland! Eravamo giovanissimi (quasi tutti freschi di liceo) e ci ispiravamo ai rappers: volevamo rappresentare il look dei nostri coetanei. Ma ora che siamo sopravvissuti alla prova del tempo e che i Soul Rebels esistono da decenni, la gente ha cominciato a capire il senso di quello che facciamo.

I Soul Rebels a Montreal, 2011 - foto Jeremy Smith
I Soul Rebels a Montreal, 2011 – foto Jeremy Smith

Con che criterio scegliete i vostri brani?
In realtà sono i brani a scegliere noi! Siamo in otto e ciascuno ha i suoi gusti. In alcuni progetti ci limitiamo a fondere in maniera molto naturale tutte le nostre influenze, come è successo quando abbiamo iniziato a collaborare con i Metallica, in altri dobbiamo studiare repertori completamente differenti. Ad esempio, nel 2015 abbiamo girato vari festival jazz con un dj set che univa la musica di New Orleans, il pop e la disco: abbiamo dovuto imparare brani degli Who, Elton John, Chicago… Quando invece possiamo scegliere liberamente, puntiamo su composizioni che abbiano già una ritmica potente, in cui possiamo inserire una buona linea di fiati e andare poi a implementare il basso. Ogni volta è una bella sfida, comunque.

Quali sono le caratteristiche fondamentali di una vera brass band, secondo te?
Di sicuro ci sono alcuni aspetti tecnici da cui non si può prescindere, per esempio il fatto di suonare in acustico, con una robusta sezione fiati. Anche la divisione delle percussioni è fondamentale: nelle brass band cassa e rullante vengono suonati separatamente da due musicisti diversi. È una mentalità antica, facciamo le cose con il tipo di strumenti che erano disponibili nell’Ottocento. Ovviamente apprezziamo le gioie della modernità e tutti gli strumenti elettrici, che comunque cerchiamo di includere in qualche modo ogni tanto, ma resta comunque uno stile molto vicino alle radici della musica nera, e se ci pensi è pazzesco che riesca ancora oggi a trasmettere così tanta energia. Le persone cercano qualcosa di diverso, di autentico, e le brass bands possono fornirglielo: il nostro pubblico vive un’esperienza in stile Ritorno al futuro.

soul rebelsE non solo il pubblico, perché siete molto richiesti anche dai colleghi: i Soul Rebels hanno accompagnato dal vivo una lunga lista di artisti di ogni genere, il cui unico comun denominatore è la fama planetaria…
La cosa ci onora ma siamo felici di collaborare con chiunque, che sia famoso o meno e indipendentemente dal genere musicale. Quando ci troviamo a condividere il palco con qualcuno, non fa differenza se si tratta dei Metallica, di Robert Plant, di Kanye West o di Snoop Dogg: tra di noi corre sempre un’energia particolare, unica nel suo genere e irripetibile, perciò hanno tutti un posto speciale nei nostri cuori.
Ogni situazione è diversa: ad esempio, abbiamo preparato un grosso concerto insieme al rapper Joey Bada$$. Non è la prima volta che suoniamo con lui, ma stavolta sarà al Voodoo Festival di New Orleans e siamo molto emozionati all’idea. Ci stiamo preparando con ore e ore di prove, anche perché ogni artista (soprattutto i rappers) ha un modo tutto suo di interpretare il concetto di swing o di seguire il tempo, perciò c’è un grande lavoro di adattamento da parte nostra per prepararci a questi grandi show. Comunque non disdegniamo neanche i concerti in club più piccoli, come quello di stasera: suoniamo sempre con la stessa passione, qualunque sia la vastità della platea che ci troviamo davanti.

A proposito di New Orleans, dopo l’uragano Katrina buona parte dei musicisti che risiedevano lì si sono trasferiti altrove e non sono mai più tornati. Come ne ha risentito la scena della città?
È stato molto difficile rimettersi in piedi. Noi stessi abbiamo perso due membri della band a causa di questa migrazione: il batterista jazz e urban Smokey Johnson e Joseph Torregano, un artista molto legato alla tradizione che suonava il clarinetto e il sassofono. Dopo Katrina, anche se oggi la situazione si è normalizzata, purtroppo si è perso un po’ lo spirito della nostra musica. A livello commerciale forse ci sono perfino più locali di prima in cui suonare, ma una volta era tutto molto più autentico e spontaneo. Esistevano pochi club, che sostenevano artisti che vivevano lì da sempre, e anche gli spettatori erano molto più stanziali. Oggi, invece, ci sono molti più musicisti che arrivano da fuori e costruiscono la loro carriera a New Orleans, rivolgendosi a un pubblico esterno alla città. Non è necessariamente un male, ma per quelli di noi che sono nati e cresciuti da queste parti è stato difficile abituarsi alla situazione. Siamo felici e onorati che così tante persone abbiano scelto di far parte del futuro di New Orleans e le accogliamo volentieri, ma è stato un bel cambiamento.

Qual è la musica che rappresenta il vero spirito della città, secondo te?
È impossibile fare una sintesi, ma provo a fare qualche nome di musicista contemporaneo che bisogna assolutamente ascoltare per capire New Orleans. Il geniale Trombone Shorty; brass bands come The Truth, Free Agents o Dirty Dozen; Jon Batiste, che si sta facendo notare anche sulla scena internazionale; Mannie Fresh, un produttore hip hop che ha sempre vissuto qui prima di Katrina; Tonya Boyd-Cannon, che ha partecipato al talent show The Voice portando alta la bandiera della città… Sono tutti artisti che cercano di farsi strada nel mercato discografico con generi diversi, ma mantenendo saldamente le loro radici nella tradizione sonora della Louisiana.

soul rebelsTornando ai Soul Rebels, l’ultimo vostro album risale al 2012, ben quattro anni fa: c’è qualcosa di nuovo che bolle in pentola?
Passiamo buona parte del nostro tempo libero in studio, buttando giù idee e arrangiamenti. Stiamo già raccogliendo del nuovo materiale – per esempio, parte dei brani che suoneremo con Joey Bada$$ finiranno nel nostro prossimo album – ma prima di concretizzare preferiamo trovare il contratto discografico giusto per noi. Al momento stiamo trattando con una casa discografica molto importante e vedremo come andrà a finire: purtroppo il mercato in questo momento va a rilento, quindi non è semplice per chi fa musica di nicchia come noi. Preferiamo concentrarci sui tour, per ora, visto che quelli vanno molto bene.

 

 

 

Marta «Blumi» Tripodi