«SOLO FLUTES»: INTERVISTA A MARK ALBAN LOTZ

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Il flautista olandese Mark Alban Lotz ha pubblicato di recente «Solo Flutes» (Loplop Records). Con lui parliamo di questo album, del suo passato e dei suoi progetti futuri.

Mark, la tua vita è piuttosto movimentata tra Thailandia, Uganda e Germania.

Mio padre Rainer E. Lotz era un ingegnere e lavorava per il ministero tedesco per gli aiuti in favore dei paesi del Terzo Mondo. E’ per questo motivo che ho vissuto tra Bangkok, Kampala e Bonn.

Quando hai incontrato il jazz?

Mio padre è autore di molti libri (principalmente discografie), collezionista e storico della musica jazz. Quindi, in casa si ascoltava sempre musica: da Louis Armstrong a Cecil Taylor! E’ anche un esperto del jazz sotto l’egida del nazismo, nonché della musica dell’inizio secolo. Il suo più recente lavoro è un eccezionale box contenente una collezione della musica degli entertainers neri europei prima del 1927. Il box è corredato da tre libri a colori: la casa discografica, a causa delle sue costose pubblicazioni, è quasi sull’orlo del fallimento! Potete trovare maggiori dettagli qui: http://www.black-europe.com  – http://www.zeit.de/2013/49/black-europe-schwarze-musik-in-europa-rainer-lotzhttps://www.youtube.com/watch?v=6vW2ecfFhx4

Perché hai scelto il flauto?

Ho iniziato a suonare la chitarra quando avevo quindici anni e vivevo a Bonn, ma fui mandato via dalla scuola di musica dopo solo un anno, perché ero troppo pigro…Quando vidi il concerto del mio “Super-Io” Michael Heupel: un fantastico flautista che mi ha ispirato così tanto da spingermi, quando avevo diciotto anni, a lavorare per un’intera estate in una conceria (un lavoro particolarmente duro) per guadagnare i soldi e acquistare il mio primo flauto. Ho iniziato come autodidatta; più tardi ho preso qualche lezione da Heupel e, in seguito, ho studiato un anno alla Music School Bad Godesberg.

Per te il jazz non è l’unica scelta: suoni dance, afro, house, componi musica per il teatro e tanto altro. Quali elementi deve avere la musica per convincerti a suonarla?

Deve piacermi! Poi, le cose succedono e basta. I miei rapporti con la musica afrocubana nascono durante la registrazione di un cd di Stefan Kruger, che era il mio batterista, e prendeva lezioni con il maestro cubano Javier Campos, che per un paio di settimane si fermò ad Amsterdam. Stefan mi disse: «Mark, dobbiamo fare assolutamente qualcosa con lui, sarebbe una grande opportunità». E l’ho fatto. Poi, complici sono stati molti incontri come quello con il deejay house Eric Cycle, con Anatol Steffanet o Raj Mohan. Quali sono le caratteristiche che la musica deve avere per convincermi? La mia risposta potrebbe essere la stessa di Duke Ellington: buona musica! Per lo più apprezzo l’autenticità, l’unicità, che penso siano caratteristiche fondamentali. Sono attratto dalla musica folk (quella bella), dall’improvvisazione e mi piace l’avventura. Ma, principalmente, la musica mi deve ispirare: per il resto è solo arrendersi, seguire il flusso.

Con il progetto Lotz Of Music hai costruito un ponte tra jazz e classica contemporanea. Pensi che siano due universi musicali così vicini?

Senza dubbio! Sono un musicista radicato nel jazz, ma ho anche completato gli studi in musica classica occidentale al conservatorio di Amsterdam, accanto alla musica indiana e cubana, seppur in misura minore. Io sono il risultato di tutte queste influenze. Ma non è una novità, perché vedo un sacco di musicisti oggigiorno che hanno orizzonti e interessi molto ampi. Penso che il jazz sia una musica fresca, vivace e spumeggiante: ci sono un sacco di idee nuove in circolazione. Molti giovani studiano jazz in conservatorio conseguendo eccellenti risultati e la loro creatività aumenta sempre di più. Con il progetto Lotz Of Music ho sempre fuso l’improvvisazione free, l’avanguardia con i suoni non occidentali. A me e i miei colleghi tutto ciò è sempre piaciuto. Un problema, però, è il marketing. La mia creatività vuole essere libera e per questo che ci siamo ritagliati  nell’attuale scena una splendida nicchia. Lotz Of Music, nel suo attuale assetto, potrebbe essere una delle band più bizzarre della storia, tenuto ben segreto. E’ un progetto che ha subito tanti cambiamenti e che ha fatto già tanto. Dall’improvvisazione assoluta all’hard bop, alla musica per il teatro e per i documentari, spettacoli multimediali, musica afrocubana, collaborazioni con Don Byron, Javier Campos Martinez, Sandip Battacharrya: un viaggio particolarmente stimolante.

Particolarmente interessante è il progetto IstanPool, che congiunge la musica turca con l’improvvisazione.

Ho visitato per la prima volta Istanbul dodici anni e ci ritorno quando possibile. Sono rimasto affascinato dalla magia della città, che è ricca di storia e iniziarono subito dei vibranti rapporti con i musicisti del luogo. La mia prima collaborazione fu nel 2002 al Nardis jazz club con il chitarrista e cantante Bora Çeliker. Poi, concerti con il chitarrista Önder Focan, con il mio quartetto, con l’arpista Meriç Dönük, con Sibel Kose, Fatih Ahiskali; ho tenuto dei workshops alla Yildiz University. Nel 2005 ho incontrato il compositore e bassista Kamil Erdem e con il suo quartetto siamo stati in tour in Olanda e Turchia e abbiamo pubblicato un cd «Odd Tango» con la casa discografica turca Ak Müzik. Nel 2010 ho avuto «carta bianca» al Guitar Cafe e lì ho incontrato alcuni improvvisatori free. Così, con loro, ho registrato due dischi che hanno ricevuto parecchia attenzione su scala internazionale. In particolare, ho legato bene con Korhan Erel, musicista che improvvisa con il computer, e con lui abbiamo formato un duo aperto a degli ospiti come Wolter Wierbos, Eric Boeren e, così, abbiamo iniziato il progetto IstanPool: una collaborazione tra un artista olandese e uno turco.

«Solo Flutes»: era arrivato il tempo di misurarti in solitudine con il tuo strumento.

In verità, ho avuto l’incarico e ho dovuto farlo! E’ la più alta e difficile delle prove ed ero un po’ spaventato. Perché i precedenti erano imbarazzanti: Anthony Braxton, Sonny Rollins (credo un solo brano), Steve Lacy, Coleman Hawkins, Peter Kowalt, senza parlare dell’eredità dei grandi compositori della musica classica occidentale e i loro fantastici interpreti. Naturalmente, io non sono bravo come tutti loro, ma ho un sacco di fantasia, umorismo e amore per il flauto e un piccolo bagaglio nel fare musica. E al primo posto c’è sempre la musica, non lo strumento.

Qual è la differenza tra suonare da solo e con la band?

La cosa più difficile è che da solo devo essere in grado di suonare! Scherzi a parte, è che quando si suona da solo si deve essere in forma.

Come hai preparato il tuo flauto?

Un paio di segreti: in alcuni brani ho sostituito il piede del flauto con un tappo di sughero. In altri brani ho posizionato la carta della sigaretta sotto la chiave del flauto. Quando si apre il buco creo un effetto kazoo che si avvicina al suono di una chitarra elettrica distorta.

Hai privilegiato l’improvvisazione o la scrittura?

Alcuni brani sono interamente scritti, come Whisper Alap, Pvc Mantra, mentre altri sono in parte scritti e in parte improvvisati, come Albert Speaks, Whole Steps. Altre sono composizioni ragionate.

Tu hai studiato con musicisti del calibro di James Newton, Lew Tabackin, Buddy Colette, Bobby Watson. Quanto hanno influenzato la tua musica?

Parecchio: è difficile spiegarlo. Comunque, penso che Michael Heupel, anche se per poche lezioni, Jos Zwanenburg e Ferdinand Povel (il mio insegnante al conservatorio di Hilversum) hanno lasciato il segno più profondo nella mia visione della musica. Ma tutti i miei insegnanti e colleghi sono importanti.

Cosa è scritto nella tua agenda?

Innanzitutto un nuovo trio M-M-M con il pianista e cantante Marieke Snijders e il bassista Marco van Os. Musica che attraverserà il pop jazz e il bizarre country. Sempre divertente e anche un po’ magica. Sfortunatamente a causa della crisi economica ci sono state meno date, meno festival, meno soldi, attività e finanziamenti. Non accetto compromessi nella musica, così non mi adeguo alle richieste dell’industria discografica. La prossima cosa che devo terminare è il mio secondo album con il cantante senegalese Omar Ka: «A Fula’s Call», registrato in Senegal, Germania e Olanda, che attraversa la Fula Music. Maggiori informazioni sulle mie attività si possono trovare sul sito www.lotzofmusic.com

Alceste Ayroldi