Rumori nell’Isola, Ventotene

Dal 5 al 7 settembre si è tenuta a Ventotene la diciottesima edizione del festival con la direzione artistica di Maria Pia De Vito.

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Rumori nell’isola.
Ventotene, 5-7 settembre 2019

Sgomberiamo subito il campo dai dubbi: questo festival che si svolge coprendo la coda dell’estate, non è da saldi di fine stagione. Tutt’altro, perché Maria Pia De Vito, maître à penser dell’iniziativa, ha concepito la rassegna come una bella vetrina per giovani musicisti. E questa è una fantastica novità, vista la «parata di stelle» che, d’estate in maggior misura, affolla i cartelloni dei festival italici. La musicista napoletana in questa avventura non è sola (come potrebbe essere diversamente), perché ha due poliedrici organizzatori e promotori (da diciotto edizioni) pronti a risolvere, con abnegazione e il sorriso sulle labbra, ogni questione e problema: Giovanna Silvestri e Angelo Romano, con anche i sodali dell’omonima associazione Rumori nell’isola. Questo festival non è di quelli con i lustrini luccicanti di ospiti internazionali, bensì è un festival così come si faceva un tempo: con buona volontà e impegno costante. Ciò non significa che sia un festival balneare, perché la qualità e la modernità ne sono i pilastri.
Giovani in proscenio: progetti belli da ascoltare e da vedere, perché l’impegno che queste ragazze e ragazzi profondono sottolinea tutto il loro amore per la musica. Poi, a partire da quest’anno, Maria Pia De Vito e sodali hanno voluto anche dare impulso all’attività formativa con alcune importanti – e particolarmente seguite – attività formative seminariali tenute dalla stessa musicista partenopea sul tema: Voce, corpo e improvvisazione, nonché dal chitarrista nativo dell’Honduras, naturalizzato brasiliano, Roberto Taufic (la chitarra tra il Brasile, il jazz e la world music); oltre a un interessante workshop sull’autopromozione del musicista a cura di Fiorenza Gherardi De Candei.


Tre giornate di musica che hanno abbracciato la meravigliosa isola pontina, i suoi numerosi turisti e gli abitanti del luogo. L’esordio è il 5 settembre con una terna di voci belle, fresche e interessanti. Si parte con la songwriter Eleonora Bianchini, un vero talento capace di coniugare la tradizione cantautoriale angloamericana con il jazz venato di soul; il tutto contenuto nel suo album «Surya» (Filibusta Records, 2018). La voce e la chitarra della Bianchini sono corroborate da tre eccellenti giovani leoni della scena jazzistica nazionale: Seby Burgio al pianoforte, Luigi Masciari alla chitarra, Marco Siniscalco al basso elettrico e Alessandro Marzi alla batteria, che hanno dato forza e vigore al lessico musicale contemporaneo della cantante e compositrice umbra. Da Everything a Now, Bianchini ha ricordato a tutti quanto siano importanti le radici culturali. E tale assunto lo ha affermato a chiara voce ne La pentola sul fuoco e Nuvole, quest’ultimo con le belle note scolpite da Franco Ventura.
L’annunciato set di Laura Lala non si è tenuto per indisposizione della cantante palermitana.
Tocca a Oona Rea chiudere la prima giornata di Rumori nell’isola. E lo fa con piglio personale e pronunciata professionalità, a dispetto della giovanissima età. Al suo fianco lo stesso quadrumvirato di musicisti, con Masciari che firma a quattro mani le composizioni con la Rea. Il suo è l’antitesi del sound commerciale, pur rimanendo con i piedi ben saldi nella tradizione della canzone italiana. Già Paradox ci fa capire come alla freschezza espositiva, a un range vocale ad ampio spettro, si accompagni un telaio musicale non banale. Session, Fun ma anche Pensieri sparsi mettono insieme il sound roccioso, più di matrice britannica che statunitense, con la gentilezza melodica.
L’overture della seconda serata della kermesse spetta a Roberto Taufic. Il chitarrista sciorina un repertorio fatto di classici della musica popolare brasiliana, come Desafinado,  Na Baixa do sapateiro, Chovendo na roseira, ma anche di brani attinti a un canzoniere più vasto, tanto da ricomprendere sia Henry Mancini (Moon River), che Chopin (Nocturne n.2), così come Thelonious Monk (Round Midnight). Taufic, in solipsistica esibizione, calamita l’attenzione del pubblico toccando le corde con magistrale professionalità, dettando il ritmo anche implicito e mescolando, sapientemente, insieme i pattern ritmici del samba e della bossa nova con influenza classiche, contemporanee e swing. E tanto anche quando mette sul ricco piatto due brani a sua firma: O mar nos teus olhos e Valsinha pra Duda, dimostrando quanta attenzione alle sfumature ci sia anche nella sua personale prosodia.


A guardarsi bene intorno, di autenticità ce ne è in circolazione. E la creatività delle giovani leve italiane non è seconda a nessuna. Prova ne è Valentina Rossi Attinge dal suo ottimo lavoro discografico – in coppia con la fisarmonicista Valentina Cesarini«Recuerdo». Qui è in coppia con Roberto Taufic, che non ha barriere di genere e accompagna alla perfezione la Rossi che fa proprie le armonie di Carlos Gardel (El dia que me querias) e di Astor Piazzolla (Oblivion) ammantandole con la sua agile voce, di particolare intensità, impressionista anche nell’interpretazione. 
In scena per il secondo set il duo Sikè, al secolo Vittoria D’Angelo e Giuseppe Creazzo. Un progetto che mette insieme l’originalità compositiva contemporanea con i canti (cunti) della tradizione siciliana. E lo fanno, seppur in pillole, con un medley ad alta tensione emotiva, affiancando Comu l’unna (di Vincenzo Curreri) e Terra ca nun senti (di Alberto Piazza), grazie anche al raffinato arpeggiare di Taufic e all’allentamento dai vincoli formali che le due voci sottolineano padroneggiando intonazione e ritmica vocale. Ciliegina sulla torta, l’intervento della De Vito con l’impeccabile interpretazione di Retrato em branco y preto.


Il 7 settembre è il giorno conclusivo, e il festival si fa spazio anche al mattino con un concerto in spiaggia che mette insieme curiosi dell’ultima ora e aficionados della prima ora. A incantare la platea c’è una delle belle creature musicali di Maria Pia De Vito, l’ensemble Burnogualà qui in edizione ridotta, ma rinforzato dai partecipanti alle masterclass-workshop. Nell’antro di una conca naturale a cielo aperto, con il mare a fare da controcanto e la conduction della direttora artistica (che ha aperto la performance con Bye Bye Blackbird), con Roberto Taufic a dispensare chitarristiche note, si sono succeduti alcuni solisti che hanno realmente emozionato il pubblico. Ilaria Giampietri con I sogni della notte, un toccante brano a sua firma: in realtà il suo esordio come autrice. Danilo Cucurullo che ha interpretato con magnifico portamento Il porto, a mesma musica, (di Ermanno Dodaro, Massimo Venturiello e adattamento delle parti in portoghese di Maria Anadon); Frank Aghedu che ha declinato il suo personale verbo autoriale con Il golfo degli aranci; Mary De Leo che ha fatto proprio l’elegante vocabolario armonico di Ivan Lins con A gente merece ser feliz.


Poi, tocca a due Moresche scelte dall’album live dell’ensemble Burnogualà, arricchiti da interventi improvvisati da parte di tutti gli allievi dei corsi, per poi chiudersi con un apporto corale di tutti, pubblico compreso al quale era stata messa a disposizione una panoplia di piccoli strumenti a percussione.
Il clima di festa si sposta alla sera, lì dove il palco accoglie prima altre due giovani musiciste che inchiodano il sempre attento pubblico alla sedia. Entrambe accompagnate da alcune rising star del jazz italiano: Enrico Zanisi, Jacopo Ferrazza e Alessandro Marzi. Apre Elena Paparusso, con due bei brani a sua firma (Dark August e Inner Nature), tra jazz, soul e indie, tutto ciò saldamente tenuto insieme dalle ampie modulazioni vocali della cantante. Di seguito, a solcare le vie del limpido cielo di Ventotene c’è la voce «africana» di Marta Colombo, che si accompagna alla mbira facendo risplendere di dinamica teatralità di Come Ye di Nina Simone e Work Song di Nat Adderley, addomesticandole entrambe alle caratteristiche morfologiche del canto tribale africano con una superba interpretazione cristallizzata nella sua potente voce.  


L’attesissimo terzo, e conclusivo, set è per Maria Pia De Vito, che declina un repertorio vasto e non aduso partendo da I Mean You Monk, passando per Peter Gabriel con Here Comes The Flood fino alla sua amatissima Joni Mitchell con God Must Be A Boogie Man e A Case Of You,ma toccando anche Bud Powell, Ivano Fossati per chiudere con Turnaround di Ornette Coleman. Un viaggio all’interno della storia della musica contemporanea che la De Vito conosce perfettamente e che diventa nelle sue mani argilla pura, pronta per essere forgiata dalla sua inventiva, dal suo incedere naturalmente ritmico, dalla sua grazia e scioltezza interpretativa.
Un festival da sottolineare per l’originalità, per i luoghi e per la passione: merce sempre più rara anche nel mondo della musica.
Alceste Ayroldi

Ph: Alessio Castagna