Roberto De Nittis: Dada

di Alceste Ayroldi

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Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)
Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)

Il debutto da leader di Roberto De Nittis, pianista e compositore foggiano, rivela un talento multiforme che non teme di assumersi rischi ma sceglie di andare controcorrente

Roberto, ti senti un po’ dadaista?
Mi sento abbastanza dadaista, anche se non riesco a raggiungere i livelli di puro dadaismo della nostra società moderna.

E cosa significa, nel 2019, essere dadaista?
Nel 2019 succede che donne e uomini riempiono i centri estetici per diventare più neri possibile e allo stesso tempo ritorna il becero pensiero razzista che dimentica il significato di accoglienza. Succede che tutto è il contrario di tutto e il dadaista non si sente più dadaista, così si trasforma in alchimista per mescolare gli ingredienti alla ricerca di una nuova realtà che prenda sul serio le risate.

Un disco dove non c’è uno strumento decente! Scherzi a parte, perché hai voluto utilizzare diversi strumenti giocattolo?
È vero, non c’è uno strumento decente, ed è il motivo principale per cui la sfida è stata ardua ma allo stesso tempo più che stimolante. Attraverso l’utilizzo di queste sonorità ho voluto dare vita ad una vera e propria micro-orchestra di tutto rispetto, con la quale è stato possibile generare mondi sonori inaspettati e affidarle il compito che di solito svolgono gli strumenti «da adulti».

Nel tuo disco c’è un confluire di musiche diverse: tradizione jazzistica, dixieland, Broadway ma anche rock, spruzzate di classica contemporanea e, soprattutto, tanta ironia. L’avevi pensato in questi termini o è venuto fuori diversamente?
È una processione allegorica, una sintesi tra spiritualità apollinea e dionisiaca, un’illustrazione nata dalle esperienze di vita e di studi che mi caratterizzano.

Roberto De Nittis
Roberto De Nittis

Citi anche Šostakovič. È un musicista che senti a te vicino non solo musicalmente, ma anche per le sue vicissitudini politiche?
Conobbi la Jazz Suite n. 1 op. 38 di Šostakovič in un concerto organizzato dal conservatorio Umberto Giordano di Foggia circa quindici anni fa. Rimasi colpito dalla provocazione che questa composizione manifesta, oltre che dalla sua bellezza. Ho approfondito quindi la conoscenza del compositore della Sinfonia n° 5, un apparente allineamento ai dettami della musica sovietica che cela in realtà una parodia della musica di regime.

Dada
Roberto De Nittis «Dada»

Vorresti dirci qualcosa di ogni brano?
Andiamo in ordine di apparizione. L’alchimista, a mia firma, è un insieme di essenze sonore con al suo interno un reggae stravinskiano; Jinrikisha (di Zoe Pia) gioca sulle cinque note che caratterizzano lo spiritual e la musica orientale; Tartaruga (di Gianfranco Cossu) è uno zoom sull’individuo e sul suo contrasto alla paura; Lingua di Menelik (del sottoscritto) sta sul filo del rasoio tra astuzia e potere; Dada, altra mia composizione, è il manifesto che sfocia nel gioco vocale delle proto-parole; Oneiroi, brano firmato da me, sono gli dèi minori generati da Notte con la straordinaria partecipazione di mia figlia Naima a soli tre mesi di vita; Always True To You In My Fashion (di Cole Porter) racconta l’alterazione paradossale del concetto di fedeltà; Istanbul (Not Costantinople) l’ho recuperata dalla versione di Nina Simone, ed è una novelty song dei primi anni Cinquanta dallo spiccato carattere umoristico; Ambaradan, firmata da Zoe Pia, racconta l’origine del termine e la goffaggine del colonialismo; La menade danzante l’ho scritta io e raffigura la ribelle delle donne di Dioniso; invece, a riguardo della Jazz Suite n. 1 op. 38 di Šostakovič mi piace citare quel che disse il maestro russo: «Mi ricordo che certi colleghi altamente esperti mi avvisarono che orchestrare per il jazz è qualcosa di veramente speciale, ma non mi spaventai».

Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)
Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)

Hai assemblato un gruppo di star. Come è nato questo gruppo?
In tutte le orchestre che si rispettino ci sono le audizioni, quindi anche nella Micro-jazz Orchestra la selezione è avvenuta attraverso duri parametri, primo tra tutti l’entusiasmo per il progetto e una spiccata fragranza di creatività, individuale e di gruppo, con un importante retrogusto di umiltà. E quindi sono stati «selezionati» Zoe Pia, Glauco Benedetti, Sebastian Mannutza, Davide Tardozzi, Marcello Benetti, Vincenzo Vasi e, come ospite d’eccezione, Ada Montellanico.

Una parentesi a parte meritano le opere pittoriche che arredano la copertina del libretto e del cd. Ce ne vorresti parlare?
Nel momento in cui mi sono ritrovato a pensare all’aspetto grafico di «Dada», ho creduto che ci volesse il tocco di un artigiano delle immagini. Grazie a un’incredibile congiunzione astrale mi sono ricordato che un mio compagno delle superiori, Carmine Bellucci, aveva da sempre dimostrato una grande predilezione per le illustrazioni. Così, dopo averlo cercato sul web, ho scoperto che la sua passione lo ha portato a realizzare opere in tutto il mondo. La sua scelta dei colori e delle forme potevano quindi raccontare al meglio il mio progetto. Cosi l’ho contattato e lasciato libero di interpretare la musica di «Dada».

Chi ha cambiato la tua prospettiva musicale?
Nell’estate del 2010 entrò nella mia vita Francis Poulenc, con il suo Concerto per pianoforte e orchestra che eseguii da solista con l’orchestra sinfonica del Conservatorio. L’utilizzo dell’armonia e dell’orchestrazione del compositore francese innescò in me da quel momento una curiosità mai più tramontata, che mi portò a voler conoscere da vicino altri pianeti musicali.

Cosa già sai di un tuo lavoro quando cominci a scriverlo?
Quando comincio a scrivere un brano immagino da subito il suo carattere, e da lì mi appare una sequenza armonica e allo stesso tempo una melodia che scrivo, rigorosamente su carta, in qualsiasi luogo mi trovi.

Roberto De Nittis (foto di Cristina Boldrin)

Roberto, tu sei pugliese ma hai lasciato la tua terra. Quali sono i motivi di questa scelta?
La voglia di crescere e di confrontarmi con altre realtà musicali, conoscere nuovi ambienti e nuove mentalità. La molla la fece scattare Marco Tamburini, il quale mi invitò a seguirlo a Rovigo per il biennio di jazz dopo che mi ero diplomato in pianoforte classico e in pianoforte jazz a Foggia. Comunque non sento di avere lasciato la mia terra ma di viverla un po’ più da lontano, tanto che è in cantiere un impegnativo lavoro con orchestra sinfonica per rendere omaggio al mio concittadino Umberto Giordano.

Ti è mai venuta la voglia di lasciare l’Italia?
In realtà no: si mangia così bene che altrove rischierei di perdere la linea!

Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)
Roberto De Nittis (foto di Andrea Verzola)

Diceva Albert Einstein: «Il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti». E tu hai delle fonti che vuoi nascondere?
Si, ma non le nascondo a te. Sono tre le persone che considero fonti di ispirazione, e che quindi hanno dato benzina alla mia creatività: Zoe Pia, Mauro Ottolini e Steven Bernstein. Steven, tra l’altro, è l’autore delle liner notes.

Cosa è scritto nell’agenda di Roberto De Nittis?
La pubblicazione dei video di «Dada», la pianificazione dei concerti in tutti i pianeti e degli appuntamenti per la salvaguardia della risata.

Alceste Ayroldi

[da Musica Jazz, settembre 2019]