RAVI COLTRANE A Cremona Jazz

213

RAVI COLTRANE A CREMONA JAZZ

di Lorenza Cattadori

Per una moltitudine di corrette motivazioni, Cremona viene definita «Città della Musica» e tutto ciò inizia sin dai cartelli toponomastici che ne definiscono i confini. Di conseguenza, intitolare questo festival Cremona Jazz ha già in sé qualcosa di programmatico.

Percorrendo le strade, una campagna di convincente impatto grafico narra un programma breve ma costruito ad arte per il luogo che ospita i concerti, ossia quel gioiello di perfezione acustica che è l’Auditorium del Violino: legni pregiati, musicisti al centro della scena con il pubblico coinvolto tutt’intorno a farne parte, un vero omaggio all’amore per la musica nella magnificamente riqualifcata Piazza Marconi.

E così il riferimento cittadino per la grande musica classica cede, per qualche settimana, il posto alle fluide asperità di un suono che ci appartiene molto più di quanto razionalmente ognuno di noi sia disposto ad ammettere, e in effetti anche gli affezionati abbonati di rassegne blasonate come il Festival Stradivari hanno dimostrato, sabato sera al primo appuntamento, di saper apprezzare. Di sapersi lasciare andare, anche.

Ravi Coltrane, Dezron Douglas e Brandee Younger.  Foto di Danilo Codazzi.
Ravi Coltrane, Dezron Douglas e Brandee Younger.
Foto di Danilo Codazzi.

Sabato l’organizzazione del festival, diretta da Gianni Azzali con la supervisione artistica di Ana Vera Texeira, ci ha narrato di una formazione definita ad hoc per l’ambiente che la ospitava, dove la voglia di avere in cartellone un nome altisonante come Ravi Coltrane si è stemperata nella scelta, da parte di quest’ultimo, di rinunciare alle sonorità squillanti e tese del suo quartetto – e soprattutto all’immenso Johnathan Blake alla batteria – trattenendo come sezione ritmica soltanto il fido contrabbassista Dezron Douglas, perfetto anche in questo contesto.

Il colpo geniale di Coltrane è stato creare per la performance in Auditorium un trio acustico inserendo un’arpista all’interno della formazione. Brandee Younger è stata allieva di Alice Coltrane (madre di Ravi) cui è dedicato il concerto, e apporta una dolcezza e una sorta di affabulazione magica con la voce del proprio strumento. All’ascolto il suo contrappunto non risulta mai ridondante, seppure a scapito di un po’ di swing e di un ricorso pressoché sistematico a strutture blues, tranne nel bellissimo arrangiamento del brano di Stevie Wonder If It’s Magic (e già l’uso dell’arpa era stato sperimentato con successo nella versione originale).

Su Ravi Coltrane, che non avevamo mai visto dal vivo, ci era capitato di ascoltare tutto e il contrario di tutto. Sin dai tempi della Jazz Machine di Elvin Jones, dove Ravi tra l’altro si misurava con uno strumentista come Sonny Fortune, le frasi ricorrenti erano improntate a un: «Eh, ma con quel nome…», «Ci vuole del coraggio», «Bravino ma acerbo»… Il ragazzo si farà, in pratica.

Senza timore di smentite, il ragazzo è diventato un musicista rigoroso, con una timbrica piena di colori, strutture perfette e un buon grado di sensibilità. Emozione, anche, per chi lo ha visto dall’anello appena sopra il palco con la stessa postura del padre, lo stesso vezzo di aprire leggermente i piedi, lo stesso modo di imbracciare (o forse abbracciare) il sassofono. Il pubblico, rapito, dà l’impressione di non perdersi un passaggio, chi ha paura di interrompere con applausi il termine degli assolo viene travolto dal resto del parterre, e gli applausi arrivano puntuali, copiosi, confortanti a mitigare un po’ di timore reverenziale da tempio della musica.

Chi ben comincia, in ogni caso, è solo all’inizio: giovedì 28 saranno in scena Paolo Fresu con il sodale Uri Caine, mentre l’8 maggio i Take 6 incanteranno di certo il pubblico con il proprio, ma creativo, canto a cappella per finire con la fisarmonica di Richard Galliano, molto amato in questa città, che riproporrà tutti i pezzi più celebri oltre (si spera) a qualcosa di inedito.

Prima di ogni concerto si terrà alle 18:30 nel dehor del bar incastonato nell’Auditorium e chiamato «Chiave di Bacco» un «Aperijazz» che ha in sé la giusta finalità di presentare artisti prevalentemente del territorio. Quello di sabato pomeriggio è stato uno splendore: all’interno di un quartetto firmato da Jimmy Villotti, mai così sciolto e in forma, si sono avvicendati alcuni tra gli strumentisti di cui vorremmo veramente sentir parlare molto più spesso. In primis il sassofonista Mauro Slaviero, a proprio agio sia nelle ballad che nei pezzi più articolati e con un gusto davvero lucente, ma anche un contrabbassista veramente abbacinante come Paolo Badiini, coadiuvato dal batterista Paolo Mozzoni. L’8 maggio vi suonerà anche il collaudato quintetto The Bridge, e anche in questo caso potremo ascoltare alcuni bravi musicisti che fanno di questa «Città della Musica» un posto dove vorremmo sempre più opportunità di questa levatura.

Lorenza Cattadori