«QUERIDA». INTERVISTA A FRANCESCA LEONE

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E’ da poco uscito «Querida» il nuovo lavoro discografico (edizioni Fo(u)r ) di Francesca Leone. Ne parliamo con lei.

Francesca, ancora una volta si attesta il tuo amore per la bossa nova. Come e quando nasce?

Il mio amore per la bossa nova nasce grazie  al mio papà che mi ha cresciuta a pane, jazz, bossa nova e Bruno Martino. Da giovane era un cantante confidenziale, poi avvocato… Ho, quindi, sempre ascoltato Sergio Mendes, João Gilberto, Astrud Gilberto e Jobim. All’inizio li trovavo noiosi, poi un giorno di nascosto ho preso i dischi di papà e li ho ascoltati e me ne sono innamorata!

Nello sconfinato mare della bossa nova, quale criterio hai utilizzato nella scelta dei brani di «Querida»?

Non ho utilizzato nessun criterio in particolare. Come sempre, ascoltando tanta musica e avendo tanti cd, ne rispolvero qualcuno e mi vengono alla memoria brani che mi piacerebbe cantare: et voilà!

Avrai dovuto fare delle rinunce per ragioni di spazio sul cd. A quale brano hai rinunciato a malincuore?

In realtà non ho rinunciato a nessun brano per questo cd: ero contenta e convinta di quelli scelti. Forse, tra un po’ me ne verranno altri in mente. Per un prossimo disco!

L’unico brano originale, firmato da te e da Guido Di Leone, è proprio Querida, che porta una dedica particolare.

Una sera eravamo a casa verso le due di notte e Guido (Di Leone, mio compagno di vita oltre che d’arte) mi ha spedito a letto dicendo: «Devo scrivere un brano».  Il giorno dopo era pronto, dopo poche ore ho aggiunto il testo. Tutto pensato ed ideato per la nostra piccola Laura nata nel settembre 2013. La nostra querida che vuol dire cara, tesoro, il cui testo parla del suo modo di essere e delle cosine che fa.

«Querida» è il prosieguo – completamento di «Com Os Violões»?

No. Sono due progetti differenti: l’uno è in quintetto e l’altro è con l’orchestra e in quest’ultimo c’è molta più samba.

Sei passata dall’interpretare la bossa nova in quintetto a un’orchestra. Quali sono state le principali differenze ed eventuali difficoltà che hai ravvisato?

Inevitabilmente cantare in quintetto è più «divertente» nel senso che mi sento più libera. Con l’orchestra si è sempre un po’ vincolati all’arrangiamento, nel mio caso felicemente vincolata agli arrangiamenti del bravissimo Maestro Vito Andrea Morra.

A proposito, possiamo parlare della Pocket Orchestra: come è nata, chi sono i tuoi sodali?

La Pocket Orchestra nasce da un’idea di Guido Di Leone, chitarrista e ideatore della scuola di musica barese Il Pentagramma di Bari. In realtà io me ne sono appropriata per realizzare il sogno di poter cantare con una orchestra. Il collettivo è composto da giovani promesse del jazz pugliese: Mike Rubini al sassofono contralto, Francesco Lomangino al sassofono tenore e flauto, Alberto Di Leone alla tromba, Vito Andrea Morra trombone e arrangiamenti, Guido Di Leone alla chitarra, Gianluca Fraccalvieri al basso acustico, Fabio delle Foglie alla batteria e nel disco abbiamo due special guest: Enzo Falco alle percussioni e il coro di samba da me diretto tra le mura de Il Pentagramma: Pentasamba.

Nel progettare questo disco, avevi in mente qualcosa in particolare: un riferimento al passato, a un particolare suono?

Nel progettare questo disco ho semplicemente realizzato il mio piacere e il mio intento di cantare con una orchestra, ispirandomi ad un disco di Elis Regina del 1966: «Elis». Adoro il suono classico della bossa nova degli anni Sessanta Sono un po’ «antica», me lo dicono sempre i miei amici, anche per come mi vesto, oltre che per i miei gusti musicali che non oltrepassano gli anni Sessanta!

Canti in inglese e in portoghese. Quale delle due lingue, per metrica e pronuncia, è più difficile da rispettare nella struttura musicale dei brani?

La bossa nova e il samba li preferisco in portoghese, la loro lingua madre. Penso che l’inglese sia meno omogeneo, più accentato, in questo stile, dunque, se vogliamo più «difficile».

Per te la tradizione è fondamentale. Pensi che il jazz – o la bossa nova – siano riconducibili solo al passato, oppure c’è qualche nuovo autore – interprete che ti affascina?

Sicuramente il jazz e la bossa nova sono generi del passato, perché nascono nel passato. Al momento il panorama della musica brasiliana non collima molto con i miei gusti classici. Una nuova interprete nella scena brasiliana che mi piace è Maria Rita, che non a caso è il proseguo di mamma Elis. Per quanto riguarda il jazz mi piace molto Michele Hendricks, figlia del grande Jon, con la quale ho avuto il piacere di studiare; Roberta Gambarini, italiana ma americana d’adozione; il pianista Brad Mehldau; il chitarrista Peter Bernstein; il batterista Bill Stewart.

Svolgi anche attività didattica. Qual è il tuo primo consiglio che rivolgi a chi si avvicina al canto?

Ho il piacere e la fortuna di insegnare in una delle più prestigiose scuole di musica del Sud Italia, Il Pentagramma, ormai da anni e il primo consiglio che do ai miei allievi è di usare la tecnica vocale in maniera funzionale: ci serve per avere cura delle corde vocali ma se non abbiamo il cuore, il feeling e se non cantiamo con sincerità è meglio non intraprendere questo splendido cammino!

I giovani non si avvicinano con facilità al jazz. A tuo avviso, quali sono i motivi di questa resistenza?

Penso che i giovani non si avvicinino al jazz perché non lo conoscono. Pensano che sia una musica vecchia e complicata. Se ci fossero dei bombardamenti di jazz per radio (così come viene fatto per la musica commerciale) sarebbero tutti jazzisti! E pensare che molti standard provengono dai musical di Broadway, dalla musica popolare americana. Erano le loro canzonette. I giovani forse non hanno la sensibilità di distinguere tra musica composta con i giusti criteri, e musica scritta per vendere…

Francesca, qual è il brano che salveresti dalla fine del mondo e perché?

Questa domanda è troppo difficile! Uno è troppo poco! Se proprio devo, il mio standard preferito, quello che canto da vent’anni e che non mi stanco mai di cantare: But Not For Me di George Gershwin. Ha una struttura classica, da trentadue battute, tratto dal musical Crazy For You. Una splendida versione di Chet Baker è spesso oggetto di studio per i miei allievi: impossibile non conoscere l’assolo vocale di Chet! Mi piace questo brano, perché: non lo so.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi impegni futuri?

Ho in mente un altro disco stavolta di jazz. Alterno sempre i miei due amori. Impegni futuri i concerti con «Querida» in giro per l’Italia.

Alceste Ayroldi