
Premio Massimo Urbani 2019 – Camerino, Rocca Borgesca, 29 giugno
Il Premio Internazionale Massimo Urbani non sarebbe esistito senza l’entusiasmo e il lavoro indefesso di Paolo Piangiarelli, che lo fondò nel 1996 ad Urbisaglia e che oggi non è purtroppo in grado di presenziarlo per motivi di salute. Non è certo un caso poi se un premio destinato ai giovani solisti jazz di oggi porta il nome di quello che probabilmente è stato il più autentico, istintivo e vulcanico improvvisatore italiano. Dal 2004 il Premio si è spostato a Camerino, dove si è consolidato grazie all’organizzazione dell’Associazione culturale Musicamdo e al supporto del Comune e dell’Università della storica città in provincia di Macerata.
La sera del 29 giugno le condizioni ambientali e metereologiche non avrebbero potuto essere migliori nel parco della Rocca Borgesca, all’estremità Sud del centro storico ancora inaccessibile per i postumi del terremoto. I finalisti della ventitreesima edizione della manifestazione sono approdati alla finale di Camerino dopo aver superato le semifinali tenutesi in primavera in tre jazz club di Roma, Torino e nelle vicinanze di Lecce. Come in altre edizioni il livello tecnico-artistico dei partecipanti si è rivelato decisamente elevato, anche se quest’anno l’età media dei dieci concorrenti selezionati (in realtà nove, in quanto uno non si è presentato) era forse un po’ superiore, compresa fra i ventuno e i trentaquattro anni, escluso il sedicenne contraltista Andrea Cardone di Chieti. A quest’ultimo, dal fraseggio già ricercato e forbito, è stato giustamente assegnata la borsa di studio che gli permetterà di partecipare ai corsi di Nuoro Jazz, mentre quella del Fara Music Summer School è andata a Federica Lorusso, pianista barese di ventitré anni, dotata di un’austera solidità.

Prima di passare ai vincitori degli altri premi, è il caso di soffermarci sulla giuria, presieduta quest’anno per la prima volta da Francesco Cafiso, che il Premio lo vinse nel 2001 a soli dodici anni. “C’è talento e studio dietro ad ogni concorrente. – ha affermato il sassofonista siciliano – Il Premio è incontro e confronto; il fatto di esserci e di stare a contatto con altri musicisti è di per sé molto importante. Va vissuto perciò come un punto di partenza… la strada è lunga, infinita, per tutti noi che abbiamo deciso di fare musica”. La giuria era completata da Daniele Massimi, presidente di Musicamdo Jazz, Simone Graziano, in veste di presidente dell’Associazione Musicisti Italiani di Jazz, Maurizio Urbani, sassofonista e fratello di Massimo, e dai tre musicisti che hanno accompagnato i concorrenti nell’interpretazione dei due brani da loro stessi scelti: Andrea Pozza, Gabriele Pesaresi e Massimo Manzi.

Il primo premio è stato assegnato a Elias Lapia, contraltista sardo di ventitré anni che studia in Olanda al conservatorio de L’Aia e che ha profuso un linguaggio essenziale e tonico, dal sound acido. Lapia ha ottenuto anche il premio Nuovo Imaie, che prevede suoi concerti in otto festival nei prossimi dodici mesi. Al secondo posto, ex aequo, si sono classificati Vittorio Cuculo, irruente sassofonista romano venticinquenne, e il milanese Federico Calcagno di ventiquattro anni. Quest’ultimo, che si è aggiudicato anche l’ambìto Premio della Critica, ha suonato il clarinetto basso, esibendo un’espressività personale, intessuta di variate ripetizioni vagamente minimaliste. A completare la triade dei vincitori l’ascolano Mattia Parissi, il cui pianismo ha confermato una costruzione rigorosa. Il Premio del pubblico infine è andato ad Antonio D’Agata, chitarrista di Campobasso ventottenne, mentre la votazione sui social ha gratificato Simona Trentacoste, talentosa cantante palermitana. Sembrerebbe che tutti i meritevoli abbiano ottenuto il giusto riconoscimento, eppure va citato anche l’unico partecipante che, pur essendo altrettanto meritevole, è rimasto a bocca asciutta: il tenorista toscano Matteo Zecchi, dal fraseggio staccato e fluido.
Libero Farnè