PEIRANI E WAKENIUS: IMPROVVISAZIONE SENZA FRONTIERE

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Jazz club I Senzatempo, Avellino 18 gennaio 2014

Fu André Hodeir, compositore e musicologo, a proporre l’uguaglianza «fisarmonica=antijazz». E l’aerofono con mantice ne ha dovuta fare, di fatica, prima di ritagliarsi uno spazio – ancora risicato – nel jazz che conta.

Per fortuna vi è chi, come Vincent Peirani, non si preoccupa troppo di queste manfrine. Il suo nome è ancora poco noto in Italia; ma nel suo Paese natale, ovvero la Francia, e in buona parte d’Europa Vincent è chiamato a gran voce sia per i suoi lavori personali («Thrill Box» è l’ultimo album in ordine di tempo, pubblicato dalla Act che, a marzo 2014, farà uscire anche il suo nuovo disco) sia al fianco di Michel Portal, Lars Danielsson, Louis Sclavis, Henri Texier, solo per citarne alcuni. In totale, il fisarmonicista di Nizza ha messo le dita al servizio di oltre trentacinque produzioni musicali.

Una maggiore notorietà l’ha finora goduta Ulf Wakenius, chitarrista svedese di pregio e pronto a dialogare in qualsiasi dialetto, pur mantenendo alto un marchio di fabbrica già impresso da quando arricchiva il sound del quartetto di Oscar Peterson.

Peirani aveva già collaborato con Wakenius, da ultimo in «Vagabond» del chitarrista svedese e in «Lento» di Youn Sun Nah. Faccia a faccia, a incrociare tasti e corde, non è facile vederli. La rara occasione, nell’unica data per il Sud Italia, è capitata ad Avellino, nel club I Senzatempo che, grazie al lavoro di Luciano Moscati, ha creato un cartellone ricco di fresche novità.

Entrambi hanno una gran voglia di suonare e per Wakenius è già stata una sofferenza interrompere il soundcheck: avrebbe continuato ad infinitum. Scambio di sguardi e intese sottaciute, l’uno guarda le mani dell’altro ma solo inizialmente, giusto il tempo di mettere in moto una telepatia che arriva già al secondo chorus di Vagabond,  brano che apre il concerto. Le note fuggono da uno strumento all’altro rincorrendosi tra ritmo e melodia, e Peirani ne approfitta per improvvisare magistralmente sulla linea armonica. Si alternano composizioni di entrambi, a eccezione di Dance For Victor «dell’amico Philip Catherine», dice Wakenius, dove i contrappunti, i glissando, i diminuendo e i crescendo si impastano perfettamente creando un lirico unisono. 56 33 e Miniature sono due composizioni di Peirani in cui risuona tutto il bello della Francia, le note pesate, lunghe e accorate che accarezzano ma sanno anche stordire lo spettatore, così come quando alla fisarmonica Vincent affianca l’accordina. Batte il tempo a piedi nudi e s’inarca dall’alto dei suoi due metri e passa di altezza, accarezzando i tasti come il volo di una farfalla. La melodia viene sgretolata in favore di un dialogo serrato tra i due, sempre più compenetrati. La chitarra Godin dello svedese è messa sotto torchio dall’incessante maestria negli arpeggi, nelle scale pentatoniche, nello sviluppo dei motivi melodici, nel fraseggio ritmico e nel décalage, che risuona limpidamente negli arabeschi mediorientali di Momento Magico  e Istanbul.

Pubblico in piedi ad applaudire: i bis si sono sprecati. E anche quando, dal pubblico, una vocina affatto timida ha chiesto Oblivion, Peirani è riuscito a stupire accennando le prime quattro note della magnifica composizione di Astor Piazzolla.

A Ayroldi

foto di Pio Francavilla