«OUTSIDE THE CAVE» LUCA PIETROPAOLI (2/2)

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Fresco di stampa il suo primo lavoro «Outside The Cave» (Nau Records), un percorso solitario che vede Luca Pietropaoli cimentarsi con un bel numero di strumenti e macchinari elettronici vari.

Questa è la seconda parte dell’intervista.

Di musiche se ne ascoltano tante nel tuo lavoro, compreso un raga indiano e una metrica pakistana. Sei alla ricerca di una sonorità in particolare?

Sono alla ricerca di una sonorità personale ed originale. Questo è il centro della questione, il cuore pulsante della mia attività musicale, specie come solista. In questa ricerca, cerco spunti e riferimenti senza nessuna preclusione geografica e temporale. Mi rendo altresì conto che, nonostante la produzione artistica umana sia vasta, per inevitabili barriere culturali si rimane spesso confinati entro determinati perimetri. Con ricerca musicale si intende quindi anche rintracciare attivamente, ascoltare attentamente, studiare e interiorizzare quanto possibile le nuove fonti. Se dovessi individuare il punto di forza della rete informatica globale, lo cercherei proprio nella possibilità di rendere più agevole scavalcare quelle barriere.

Una musica che, per molti versi, è anche ballabile. Era un obiettivo voluto, oppure è venuto fuori in corso d’opera?

Era un obiettivo voluto. Un parametro che, durante la lavorazione del disco, tenevo sempre sott’occhio, anzi orecchio. Durante gli innumerevoli ascolti dei brani cercavo di sentire la musica soprattutto «nella pancia». Credo che quando si ha una sezione ritmica che invita a muoversi su di essa, ascoltare le melodie degli strumenti solisti diventa più naturale e piacevole.

Quanto del tuo disco, elettronica a parte, è dedicato all’ improvvisazione e quanto è il risultato della scrittura?

Suddividerei in parti uguali. L’improvvisazione interviene soprattutto all’inizio, creando la prima scintilla intorno a cui il resto si andrà a formare, e nella parte conclusiva quando si eseguono gli assoli. In mezzo c’è la scrittura, a fissare, concretizzare, bilanciare, sintetizzare.

 Il fatto che tu sia un ingegnere aerospaziale incide sulla tua concezione di musica?

In maniera piuttosto indiretta, direi. Alla fine ognuno di noi è il risultato non riproducibile delle proprie esperienze, nessuna esclusa.

 A proposito: è nato prima Luca Pietropaoli musicista o Luca Pietropaoli ingegnere?

In origine fu il musicista. Già all’età di quattro anni sognavo di diventare strumentista, giocando con un flauto a improvvisare su qualsiasi disco mia madre mettesse sul piatto del giradischi. Una passione rimasta per un po’ inespressa, salvo poi esplodere in maniera convinta all’età di 19 anni, proprio quando cominciavo l’università. Il musicista è rinato con l’ingegnere.

 Se ti dovessero chiedere che genere musicale suoni, che cosa rispondi?

Temo sempre questa domanda. Perché non sono mai riuscito a trovare una risposta che mi soddisfacesse. Credo che le definizioni di genere musicale siano più efficaci a posteriori, specie se si tratta di musica di ricerca. Ci vuole un po’ per assimilare un disco e poterlo indentificare. Jazz? World? Electronic? Aspettiamo e vediamo in quale sezione «Outside the Cave» verrà catalogato.

 Hai un musicista di riferimento?

Sopra a tutti, Jon Hassell. Per la sua sapienza musicale, per la sua lucidità di analisi, per il continuo rinnovarsi, per il contributo all’arte del nostro Occidente grazie alla sinergia con altre culture, per il suo non essere star. Lo scorso luglio l’ho conosciuto di persona, in occasione di un concerto all’aperto interrotto per un temporale improvviso. Venti minuti di musica, venti minuti in cui sono stato portato in un luogo immaginario misterioso e meraviglioso. Inimitabile.

 E nel campo delle altre arti, chi è il tuo preferito e perché?

Avendo parlato di memorie del sottosuolo, di dostoevskiana estrazione, rimarrei nel campo della letteratura e direi Albert Camus. L’etranger rimane un gioiello di prosa minimalista; La chute un monologo quanto mai attuale sulla futilità del narcisismo.

Quali obiettivi ti sei posto e quali sono i tuoi prossimi impegni?

Il mio è un obiettivo senza un termine: continuare a studiare e comporre. Il mio elisir di lunga vita, la mia personale strada per rinnovarmi e non restare vittima delle invitabili delusioni che la vita ci porta. Nell’immediato, ovviamente, c’è il desiderio di promuovere «Outside the Cave», soprattutto nella dimensione dal vivo su palchi suggestivi, svelando a chi ne abbia curiosità i tesori in esso custoditi.

Alceste Ayroldi