
Giardino del Torrione di Santa Brigida, Empoli 18 luglio 2017
Dopo il concerto di McCoy Tyner di due settimane fa, l’esibizione degli Oregon rappresentava senza dubbio l’altro evento di spicco dell’ottava edizione della rassegna empolese, organizzata dall’associazione Empoli Jazz in collaborazione con il Centro Studi Musicali “Ferruccio Busoni” e il Music Pool. Forti della recente pubblicazione per CamJazz di «Lantern», trentesima incisione di un sodalizio che dura da quarantacinque anni, Ralph Towner e Paul McCandless – membri fondatori del quartetto – dimostrano di avere ancora frecce al loro arco in termini di creatività sul piano compositivo, sostenuta come sempre da un indiscutibile magistero strumentale.
Pur rispondendo sostanzialmente ai principi estetici che l’avevano ispirata fin dall’inizio, l’attuale musica del gruppo si sforza di guardare avanti senza concessioni al passato, come confermato dall’assenza di brani del vecchio repertorio. Certamente, chiunque fosse rimasto ancorato all’impatto innovativo provocato negli anni Settanta da dischi come «Distant Hills», «Winter Light», «Together» (con Elvin Jones), «Friends» e «Violin» (con il grandissimo e troppo prematuramente scomparso Zbigniew Seifert), ora potrebbe rimanere perplesso o addirittura deluso.
L’originale connubio tra retroterra classico-contemporaneo, armonie e improvvisazione di matrice jazzistica ed elementi di ispirazione etnica – che in seguito avrebbe spinto alcuni a definire a sproposito gli Oregon anticipatori della world music – si è col tempo condensato (ma non suoni come una diminutio!) in una perfetta sintesi formale, prevalentemente orientata verso l’equilibrio del collettivo e una qualità adamantina del suono. Quasi tutti composti da Towner, i temi di «Lantern» poggiano su capienti impianti armonici e dinamiche progressioni, e godono di uno svolgimento fluente e compiuto anche nelle sezioni riservate all’improvvisazione.

Del Towner chitarrista continuano a stupire la nitidezza del tocco, la pulizia e la logica con cui articola il fraseggio e la capacità di costruire sapienti armonizzazioni. Al piano conferma di possedere affinità con Jarrett e radici evansiane, mentre al sintetizzatore riserva un ruolo marginale, per fondali e pennellate di colore. Vero e proprio finalizzatore, McCandless utilizza con efficace parsimonia la sua gamma di ance: sax soprano e clarinetto basso negli sviluppi più jazzistici, corno inglese e oboe nei passaggi in equilibrio tra camerismo e retaggio folk, un flauto etnico nelle improvvisazioni di ispirazione popolare. Da una ventina d’anni con Oregon, Mark Turner è un colorista raffinato e discreto nell’impiego sia del set di percussioni che delle componenti della batteria. Infine, inorgoglisce gli amanti del jazz italiano la presenza di Paolino Dalla Porta, contrabbassista dal suono sontuoso e dal fraseggio sciolto e dialettico, capace di gustose invenzioni melodiche e perciò interlocutore ideale per lo stesso Towner. Una vera lezione di musicalità, anche per quegli spiriti ameni che fino a poco tempo fa attribuivano ai contrabbassisti italiani “carenze e problemi di intonazione”.
Enzo Boddi

