«OPTICS». INTERVISTA AD ALICE RICCIARDI

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«Optics» (Inner Circle Music) è il nuovo album da leader di Alice Ricciardi. Ne parliamo con lei.

Alice, il tuo secondo album arriva dopo un bel podi tempo dal precedente «Comes Love» del 2008. Perchéhai lasciato passare tutto questo tempo?

E’passato molto tempo sì, devo dire che «Comes Love»  èstato un disco che mi ha permesso di farmi conoscere internazionalmente dandomi la possibilitàdi fare concerti in Italia e all’estero anche a distanza di anni dalla sua uscita. Non volevo però ripetermi e fare un altro disco di standard, quindi ho aspettato di aver qualcosa di diverso da dire. «Optics» e’stato pensato molto tempo prima della sua pubblicazione, ovviamente, dopodiché è stato registrato nel 2013 e pubblicato a fine 2014.

Parecchie novità, tra cui quello della nuova casa discografica, la Inner Circle di Greg Osby. Perché l’hai preferita alla Blue Note?

E’stato un’onore per me entrare a far parte della famiglia di Inner Circle Music diretta da uno degli artisti che stimo di più in assoluto, Greg Osby.Credo che non avrei potuto sperare di meglio. Purtroppo la Blue Note/Emi non produce più dischi in Italia già da qualche anno.

Cambio radicale anche nel combo che ti accompagna: Lussu, Bracco, Deidda e Valeri. Qual è la linea artistico-musicale che hai voluto disegnare?

Ogni disco ha una sua storia, con Pietro Lussu, mio partner nella vita e nella musica, ormai collaboro da diversi anni, come anche con Enrico Bracco, Dario Deidda e Marco Valeri. «Optics» ha sicuramente un suono più contemporaneo, è un lavoro più articolato e introspettivo che ho potuto sviluppare anche grazie alloro prezioso apporto.

Optics, il brano eponimo è scritto da te con Simona Premazzi. Un brano nato per caso o meditato, studiato?

Tempo fa chiesi a Simona di scrivere un brano per me, cosìmi fece ascoltare una prima versione di quello che sarebbe diventato Optics. Mi piacque subito, ma decisi di apportare alcune modifiche e di adattarlo in 3/4 per renderlo più “canzone”e per poter adagiare un testo in modo più naturale. C’èuna bellissima versione strumentale di Optics con Greg Osby al sax soprano nell’ultimo disco di Simona:«The Lucid Dreamer».

Hai creato una calzante liaison tra alcuni poeti statunitensi: Edward Estlin Cummings, Edna St. Vincent Millay, Emily Dickinson e la musica.

Pensando al jazz, quindi alla musica americana del Novecento, l’idea di introdurre opere di poeti americani del periodo è stata molto naturale. Inoltre Cummings ed Edna St. Vincent Millay, sono alcuni fra i miei poeti preferiti.Ive Heard An Organ Talk Sometimes,invece, è una composizione di Aaron Copland per voce e pianoforte secondo la tradizione europea liederistica e da camera su liriche di Emily Dickinson. Fa parte di Twelve Poems of Emily Dickinsone ho deciso di darle un’identitàd’ensemble trasformandola in una ballata folk.

Comunque, a parte i brani originali, una scaletta molto particolare, con delle scelte inconsuete. Come sei giunta a queste scelte?

Partendo dall’idea di Art Song (Aaron Copland) ho cercato di includere altre composizioni che per estetica e poetica considero anche esse Art Songs, come ad esempio A Flower Is A Lovesome Thing e Deep Song.

In questo disco metti in campo anche la tua impronta recitativa, che prima anche nelle tue collaborazioni, non traspariva. Cosa ècambiato in questi anni?

Avrò semplicemente fatto più esperienze, immagino. Anche trasferirmi a Roma èstato un cambiamento importante ad esempio, dal punto di vista umano e musicale.

La tua vita si divide tra lItalia e gli Stati Uniti. Quanto ha influito sulla tua musica questa doppia frequentazione e, in particolare, cosa hai attinto dagli Stati Uniti?

In realtà mi divido tra l’Italia e gli Stati Uniti solo ultimamente, sono stata parecchie volte a New York per concerti e registrazioni, ma ora grazie al visto artistico posso concedermi periodi di permanenza più estesi e produttivi. New York e’sicuramente una fonte inesauribile di ispirazione e stimoli, è un forte richiamo per musicisti da tutto il mondo i quali contribuiscono a nutrire la costante energia di questa città straordinaria. Avere la possibilità di esibirsi negli Stati Uniti è sempre un’occasione preziosa per mettersi alla prova, rischiare e capire molte cose per potersi migliorare.

Sempre a proposito degli Stati Uniti, quali differenze ravvisi con il sistema jazzistico italiano?

Il senso di comunitàin America, per quanto riguarda il jazz, si sa, e’molto radicato e produce molta forza. E’una comunitàche accoglie e ascolta, con interesse e rispetto, ogni musicista che abbia qualcosa da comunicare. E’una bella sensazione quella di non sentirsi soli, ed è molto importante sentirsi contestualizzati come musicisti. In Italia ci sono tanti straordinari musicisti e spero che un maggior desiderio di condivisione e partecipazione possa aiutare a creare una comunità realmente più unita.

Inizialmente hai studiato pianoforte, poi canto jazz. Come sei arrivata a questultima decisione?

Ho studiato violino e pianoforte complementare da bambina, ma probabilmente non era la mia strada, cosìverso i vent’anni ho iniziato a studiare canto ai Civici Corsi di jazz diretti da Enrico Intra e Franco Cerri a Milano. Non conoscevo il jazz in realtà, a casa mia si ascoltava musica classica per lo più, ma una volta scoperto, me ne sono innamorata e pur avendo iniziato molto tardi, ho cercato di recuperare il tempo perso attraverso l’ascolto di più musica possibile.

C’è qualcuno o qualcosa che ha influito maggiormente sulle tue scelte artistiche?

Le mie scelte sono state sempre molto personali, certamente sono costantemente ispirata dai miei idoli musicali e non solo e dall’amore e dal  rispetto che ho nei confronti della musica.

Quali rinunce hai dovuto effettuare in favore della tua carriera artistica?

Credo che potersi dedicare alla musica sia un grande privilegio, mi ritengo molto fortunata per questo. Il tempo dedicato allo studio, la ricerca, le piccole o grandi fatiche per cercare di costruire qualcosa sono delle risorse, fanno parte del percorso e non potrei mai farne a meno. A volte vivere periodi all’ estero da sola mi fa sicuramente sentire la mancanza degli affetti, degli amici, ma ho la fortuna di essere circondata da persone capaci di essere vicine anche da lontano, e le ringrazio per questo.

Chi vorresti ringraziare?

I musicisti con cui collaboro e che negli anni sono stati fonte d’ispirazione, le  persone che vengono ai concerti che con la loro presenza ed attenzione completano quello che vorrei comunicare, Greg Osby per aver creduto in me ed in questo disco e Ran Blake, per essere un grande e generoso Maestro.

Un episodio che rimane indelebile nella memoria di Alice Ricciardi.

Direi forse quando ho partecipato al Montreux Competition, perchéha innescato tutto quello che di bello sarebbe venuto dopo.

Quali sono i progetti ai quali stai lavorando e quali i tuoi prossimi impegni?

Vorrei registrare un altro disco, a breve questa volta. Spero. Faròalcuni concerti per promuovere il nuovo abum; a Luglio avrò  il piacere di registrare in Francia il nuovoprogetto del pianista Olivier Hutman con Gilad Hekselman, Olivier Temime, Darryl Hall e Greg Hutchinson.  Poi ripartiròper New York e nuove avventure.

Alceste Ayroldi