Il Midj e Simone Graziano: parla il neo vicepresidente del sodalizio dei musicisti di jazz

Intervista a Simone Graziano, da poco eletto vicepresidente dell'associazione italiana dei musicisti di jazz.

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Simone, cosa ti ha spinto a impegnarti con il Midj?
Ho incontrato Ada Montellanico durante una riunione di Midj ad Arezzo. Rimasi affascinato dalla determinazione e dalla lucidità con cui esponeva le sue idee. Dopo circa una settimana, ricevetti una telefonata di Francesco Ponticelli, ex vice presidente, nonché musicista con cui collaboro da svariati anni. Mi disse: «Simone, fai del bene alla collettività…candidati per Midj», risposta: «Manco morto!». Un mese dopo ero vicepresidente.

Quali sono le linee programmatiche che intendi proporre?
Midj si muove su due binari: da un lato la promozione e il sostegno dei musicisti jazz in Italia e all’estero, dall’altro il dialogo istituzionale al fine di veder riconosciuti i diritti dei lavoratori dello spettacolo. In questo anno e mezzo di lavoro abbiamo costruito davvero tante cose per promuovere e sostenere i musicisti di jazz: due bandi (2016 – 2017) per una  residenza italo – francese presso la Casa del Jazz a Roma assieme al festival Una striscia di terra feconda; un bando per una residenza presso l’istituto di Cultura di Copenaghen; un bando (L’Incontro) per un concorso di composizione  in collaborazione con Siena Jazz, cui seguirà una residenza di tre giorni presso le prestigiose aule di Siena jazz e un concerto il 24 luglio, durante i seminari estivi. Infine il bellissimo bando Air (artisti in residenza), ideato da Paolo Fresu: si tratta di un progetto di circa venti residenze sparse in tutto il mondo presso gli istituti di cultura italiani. Apriremo il bando verso la fine dell’estate. Midj inoltre partecipa alla realizzazione del Jazz Italiano per l’Aquila, sotto la direzione artistica di Paolo Fresu, è una giornata di raccolta dei fondi per tutte le zone terremotate, che quest’anno per il terzo anno consecutivo si svolgerà il 1 settembre a Camerino, il 2 ad Amatrice ed il 3 all’Aquila. Sotto il profilo istituzionale siamo riusciti per la prima volta nella storia del jazz italiano a portare un’associazione jazzistica all’interno del Senato. Durante le audizioni per la creazione della Legge sullo spettacolo dal vivo, siamo stati convocati per mostrare la nostra proposta di riordino dello spettacolo dal vivo. Altro aspetto altrettanto storico è che dopo tanti anni ci stiamo avvicinando al riconoscimento del diritto di Improvvisazione da parte della Siae.

Lo spirito del Midj è quello della coesione. C’è coesione tra i musicisti di jazz in Italia?
Penso che la coesione si crei attorno alla condivisione di idee e di progetti. Il fine che persegue Midj è proprio quello di aggregare i musicisti attorno a delle «battaglie» comuni come il riconoscimento del lavoro del musicista, il diritto ad ottenere la pensione, la semplificazione burocratica per chi fa spettacolo dal vivo (tanto per citarne alcune). In tal senso in questi quattro anni, l’associazione è passata da cento iscritti al primo anno a quasi settecento. Un amico musicista tornato da poco in Italia, dopo un lungo periodo olandese, mi ha detto di come si sentiva «stranamente» protetto all’idea di avere un organismo che si batteva per la tutela dei suoi diritti. Cosa inimmaginabile fino a qualche anno fa.

Quali sono i problemi irrisolti del jazz in Italia?
Sostanzialmente tutti quelli su cui noi ci battiamo e di cui ho parlato finora.

Quali, invece, quelli risolti?
Di risolto in Italia c’è solo il grande valore artistico dei musicisti e lo straordinario sviluppo tecnico-creativo che c’è stato negli ultimi anni. Di recente mi è capitato di insegnare in alcuni conservatori europei , raramente ho visto un livello creativo quale quello che noto oggi in Italia. Accanto a tale valore riscontro un gruppo di persone sempre più nutrito che è interessato a contribuire alla causa di Midj, a dedicare del tempo e delle energie per risollevare e  tentare di cambiare il sistema attuale.

C’è un modello di sistema jazzistico, in Europa o nel mondo, al quale vorresti fare riferimento?
Il primo che mi viene in mente ovviamente è quello francese dove sono tutelati  tre diritti  su cui noi ci stiamo ancora battendo: riconoscimento del musicista come lavoratore con diritto alla pensione raggiungibile con quarantadue versamenti annui (non con centoventi come in Italia per vent’anni consecutivi); diritto al sussidio di disoccupazione (intermittance) che si ottiene dopo aver versato per un anno regolarmente i contributi per quarantadue prestazioni; riconoscimento del diritto di improvvisazione che consente al musicista che improvvisa su uno standard di ottenere una percentuale sui diritti destinati all’autore del brano (diritto riconosiuto dalla Sacem fin dal 1982!).

Quali sono i rapporti tra il Midj e le organizzazione festivaliere?
Midj dialoga fortemente con I-Jazz che è l’associazione dei festival jazz italiani. Negli ultimi anni il rapporto si è intensificato perché riteniamo il dialogo con gli organizzatori fondamentale per migliorare il sistema musicale italiano. L’organizzatore è il nostro primo interlocutore e credo che solo lavorando assieme si possano colmare le tante falle del sistema. Due anni fa ad esempio, abbiamo organizzato un concorso per i gruppi emergenti, dal nome We-Insist, in cui ai tre gruppi vincitori abbiamo dato la possibilità di girare in alcuni tra i principali festival del circuito di I-Jazz.

L’estate è sempre un florilegio di festival e di rassegne di jazz in tutto lo Stivale, però non sempre sono presenti musicisti italiani, ma si privilegiano musicisti d’oltreoceano per motivi di «cassa». E’ un problema da porre agli organizzatori o al pubblico? Cosa intende fare il Midj per sensibilizzare il pubblico verso il jazz?
Il problema dell’esterofilia, in particolare americana, non è legata solo a motivi di una maggiore capacità attrattiva verso il pubblico dei musicisti d’oltreoceano, ma affonda le sue radici in accordi italo-americani che consentono all’organizzatore di non pagare contributi (ex-Enpals) al musicista americano. In sostanza accade che un gruppo italiano per assurdo costa di più di un gruppo americano. Detto ciò Midj non ha deciso  di porre dei limiti al numero di americani che possono suonare in un festival, bensì stiamo creando un catalogo dei gruppi italiani da sottoporre a I-Jazz, chiedendo che nei festival da loro organizzati sia prevista una quota contenente tali progetti.  Il fine secondo me non è escludere ma includere: accanto ai musicisti americani è importante dare rilievo alle tante realtà italiane straordinarie  ma che hanno poca visibilità. Vi faccio un esempio: sarò co-direttore artistico per il  Musicus Concentus di Firenze, nella prossima edizione della rassegna dal nome A Jazz Supreme. Per tale edizione abbiamo pensato di far aprire i concerti degli artisti più noti da gruppi di musicisti italiani under 30, al fine di far avvicinare le diverse tipologie di pubblico: da un lato il pubblico più abituato al jazz tradizionale potrà ascoltare e conoscere ragazzi che portano un’innovazione del linguaggio, dall’altro il pubblico più giovane che seguirà i ragazzi under 30, potrà conoscere dal vivo i gruppi che hanno fatto e stanno facendo la storia del jazz (ci saranno Claudia Quintet, Human Feel, Gianluca Petrella ecc.)

Tre domande (o tre proposte) che vorresti porre all’attuale ministro della cultura italiano…
La prima proposta sarebbe l’abbattimento delle distinzioni tra i generi e delle categorie musicali: a poco senso parlare oggi di enti lirico-sinfonici, musica contemporanea popolare, attività concertistiche ecc. sono categorie istituite con legge risalente alla fine degli anni Sessanta. Lo scenario odierno è ben diverso e se c’è qualcosa di buono nella diffusione globale della musica è proprio la caduta dei generi musicali. La seconda sarebbe sostenere e valorizzare all’estero la Musica jazz italiana tramite degli export office, che si occupino di creare una rete con i festival internazionali al fine di consentire ai  gruppi italiani una visibilità all’estero. La terza proposta è una riforma del sistema scolastico che preveda un insegnamento serio della musica  anche all’interno delle scuole primarie. Penso che solo così potremo creare un pubblico per il futuro.
Alceste Ayroldi