Marcin Wasilewski Trio: «Sentivo l’esigenza di incidere un disco dal vivo perché penso che questa sia la natura del jazz.»

di Alceste Ayroldi

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Marcin Wasilewski Trio (foto di Bartek Barczyk)
Marcin Wasilewski Trio (foto di Bartek Barczyk)

Il trio guidato dal pianista e compositore polacco Marcin Wasilewski continua a incidere album di ottimo livello. Abbiamo chiesto al leader di ripercorrere la propria storia musicale e quella, molto articolata, del gruppo

Perché hai voluto incidere un live?
Ne avevamo già registrato uno verso la fine degli anni Novanta, in occasione di un concorso in Spagna al quale partecipammo. Il premio consisteva proprio nella registrazione di un cd, che però ebbe una diffusione solo locale. Sentivo l’esigenza di incidere un disco dal vivo perché penso che questa sia la natura del jazz; in studio c’è una differente atmosfera perché non c’è il pubblico e mancano quell’energia, quell’interazione che sono l’essenza della musica. Il pubblico è parte della performance, la situazione è decisamente diversa. Dal vivo hai solo una take, una sola opzione e non puoi sbagliare, mentre in studio hai tutto il tempo per ritoccare, controllare, registrare nuovamente; hai modo di registrare più versioni di un brano e scegliere quella che ritieni sia la migliore e puoi anche modificare la complessità del brano, la struttura dell’assolo. Durante il concerto è tutto più fresco, immediato e genuino. Voglio dire che amo anche il suono e ciò che si fa in studio: restano due diversi modi di accostarsi alla musica.

I vostri precedenti dischi sono stati pubblicati, rispettivamente, nel 2007, nel 2011 e nel 2014. Cosa avete fatto tra un disco e l’altro?
Abbiamo tenuto parecchi concerti, che ci hanno permesso di conoscerci meglio anche dal punto di vista umano. Altrimenti non riesci a migliorare te stesso, a scoprire degli aspetti interiori che sono fondamentali per un musicista. Per me ogni seduta di registrazione con Manfred Eicher è un giorno speciale, un vero evento: lavorare con lui è una grande sfida e noi ci prepariamo nel modo migliore per farlo, anche con i concerti.

Marcin Wasilewski Trio
Marcin Wasilewski Trio

A tal proposito, ECM è l’unica casa discografica per cui il tuo trio ha registrato. A tuo avviso, qual è il valore aggiunto di questa etichetta?
È proprio come dicevo prima: lavorare con Manfred Eicher è il valore aggiunto. La prima volta che incisi per lui rimasi colpito dal suo modo di comportarsi in studio. Non avevo mai incontrato, prima di allora, un produttore che collaborasse così strettamente con i musicisti. È importante sentire il suo approccio alla musica. Tomasz Stańko mi diceva sempre che sarebbe stato stupido non approfittare dell’esperienza e dei consigli di un produttore come Manfred, che ha collaborato con tanti grandi musicisti contribuendo al loro successo artistico.

Prima del Marcin Wasilewski Trio c’era il Simple Acoustic Trio. Quali sono le differenze?
In realtà è cambiato solo il nome perché è cambiato solo il batterista. Era un trio nato a scuola, da ragazzi. Eravamo, molto giovani e volevamo un nome che suonasse bene in inglese, così prendemmo spunto dalla band di Chick Corea. Solo che a Manfred non piaceva questo nome, perché non rappresentava bene la musica che suonavamo. Secondo lui, la nostra musica era tutt’altro che semplice! Così cambiammo il nome del trio e io ne diventai il leader, visto che sono anche autore di quasi tutti i brani.

Tra i lavori discografici del Simple Acoustic Trio c’è anche un album dedicato al compositore e pianista polacco Krzysztof Komeda. Cosa rappresenta per te Komeda?
Quando ho iniziato a interessarmi al jazz, grazie a mio zio che è un batterista, ho potuto ascoltare una gran quantità di registrazioni e tra queste, ovviamente, c’erano anche cose di Komeda, grande compositore e grande pianista: una leggenda del jazz in Polonia. Subito, quindi, mi procurai tutti i suoi dischi. Komeda ha influenzato tutto il jazz moderno e, probabilmente, può essere annoverato tra i padri del jazz europeo. In Polonia era – e lo è tuttora – considerato una star. Come sai, nella sua breve vita ha composto brani meravigliosi, oltre a colonne sonore di pregio come quelle per Roman Polański; il suo quintetto con Tomasz Stańko ha influenzato tutto il jazz europeo. La sua musica parla per lui.

foto di Bartek Barczyk
Marcin Wasilewski Trio (foto di Bartek Barczyk)

In «January» ci sono due brani dedicati al cinema: Cinema Paradiso e The Young And The Cinema. Per te è molto importante creare immagini attraverso la tua musica?
Sì, è molto importante per me creare immagini, come dei quadri, dei film. La musica e le immagini sono collegate tra loro. Amo il cinema, così quanto la musica. Amo la musica di Ennio Morricone, in particolare quella del film Mission.

Il tuo trio è attivo da parecchio tempo. Come si è formato?
È successo circa venticinque anni fa… Sarebbe una lunga storia, ma cercherò di farla breve. Con Michał Miśkiewicz, il batterista, la collaborazione è successiva, perché il Simple Acoustic Trio è più vecchio, era nato all’incirca una trentina di anni fa. Più o meno verso i tredici anni ho iniziato a interessarmi al jazz, anche se studiavo e ascoltavo musica classica. Però decisi di provare a suonare jazz, grazie anche al sostegno di mio zio e di mio padre. All’inizio non avevo un insegnante che mi seguisse ed era difficile iniziare a suonare una musica che mi piaceva molto, ma che non avevo mai studiato.
Comunque, Sławomir Kurkiewicz (che all’epoca studiava il violino) provò a cimentarsi con il basso elettrico e io gli chiesi di iniziare a suonare degli standard, quelli più semplici. Non avevamo ancora un batterista, così domandai a un altro compagno di classe, che suonava la fisarmonica e aveva un padre e un fratello appassionati di jazz, di mettersi alla batteria; ma lui era anche un eccellente pianista, molto più bravo di me e, quindi, toccò a me suonare la batteria! Per riassumere: nel primo trio io ero alla batteria, il batterista suonava il pianoforte e Slawomir il basso elettrico. Poi mostrai al pianista-batterista cosa significasse suonare la batteria con swing e il trio, finalmente, si ricompose nell’originale formazione che avevo pensato. A quel punto chiesi a Slawomir di passare dal basso elettrico al contrabbasso: lui era un violinista sui generis, perché odiava il violino! E, nonostante all’inizio avesse qualche difficoltà, vista la differenza di dimensione tra gli strumenti, imparò a suonare il contrabbasso. In quell’estate frequentammo diversi corsi e workshop per perfezionare la nostra tecnica. Suonammo in trio e in quartetto per qualche tempo, anche con un sassofonista, ma dopo un paio di anni la band si sciolse. Poi, proprio in uno di questi workshop incontrammo Michał Miśkiewicz, con il quale legammo fin da subito. Lui è più giovane di noi e viene da una famiglia di jazzisti: il padre Henryk è un ottimo contraltista, molto popolare da noi, e la sorella Dorota è violinista e cantante. Quando Michał decise di unirsi a noi iniziai a pensare che il trio poteva avere un futuro. Conoscemmo quasi subito Tomasz Stańko (io avevo diciotto anni e Michał sedici), che nel 1994 ci ingaggiò per un concerto; nel frattempo, dopo il liceo, iniziammo a frequentare i corsi universitari di jazz. La nostra collaborazione con Stańko proseguì, tanto che finimmo per diventare il suo gruppo stabile. Lavorando al suo fianco abbiamo imparato tantissimo e siamo cresciuti a vista d’occhio. Di sicuro Stańko ha influenzato il mio modo di intendere la musica, anche dal punto di vista compositivo; d’altro canto quando ho iniziato a suonare con lui ero poco più di un ragazzino, quindi era logico che collaborare con un musicista del suo livello mi spingesse a trarre ispirazione dal suo stile e dalla sua poetica. Nonostante tra noi vi fossero oltre trent’anni di differenza, in musica parlavamo la stessa lingua, e questo ha consentito al trio di crescere. È stata un’esperienza fantastica poter suonare con un musicista così importante e così versatile. Tomasz ci ha trasmesso la sua più grande intuizione: essere liberi il più possibile, sia come musicisti che come compositori.

(foto di Tomasz Sikora)
Marcin Wasilwski Trio (foto di Tomasz Sikora)

In «Spark Of Life» c’è stato un ospite: il tenorsassofonista Joakim Milder. Era un tentativo di allargare il trio?
Volevamo avere un’altra voce. Questo album è per metà in trio e per metà in quartetto con Milder. La sua partecipazione non è stata invasiva: Joakim è stato molto attento a rispettare i nostri schemi musicali senza mai forzare né cercare di guadagnarsi la scena. Il suo suono era completamente in sintonia con il nostro modo di vedere la musica.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?
In generale ciò che accade nella vita. Scavo nell’essenza dell’uomo. Ricordo che quando avevo sette anni e studiavo pianoforte non smettevo mai di esercitarmi. Oggi sono entusiasta di poter esprimere me stesso attraverso questo meraviglioso strumento. E anche il pianoforte è per me fonte di ispirazione, così come il collaborare con Manfred Eicher, l’aver potuto lavorare con Tomasz Stańko ma anche musicisti come Jan Garbarek, Joe Lovano, Jon Christensen, Arild Andersen, Al Foster: mi ritengo fortunato nell’averli incontrati.

Chi è il pianista che preferisci?
Ce ne sono tanti, in verità. Keith Jarrett, Bobo Stenson, Paul Bley, McCoy Tyner, Brad Mehldau, Chick Corea, Red Garland, Thelonious Monk, Bud Powell, Oscar Peterson.

Marcin Wasilewski Trio
Marcin Wasilewski Trio

Fryderyk Chopin?
Ah, lui non l’ho mai sentito suonare! Però posso dire che adoro le esecuzioni di Maurizio Pollini, in particolare quelle degli Studi.

In qualche modo la tua musica è influenzata da questo grande compositore?
Non molto, anche se conosco e ho studiato le sue opere. Le mie influenze sono jazzistiche, così come derivano dalla tradizione musicale polacca. Abbiamo provato anche ad arrangiare alcuni lavori di Chopin ma la cosa non funzionava. Sicuramente da noi la sua musica ha ispirato molto di ciò che è accaduto dopo.

Sei influenzato dalla musica folk polacca?
Non tanto, anzi direi di no, perché è una musica che appartiene a una generazione precedente alla mia, è più vicina a chi è nato dopo la seconda guerra mondiale. Va anche detto che nella zona della Polonia dalla quale provengo – il voivodato della Pomerania Occidentale – il folk non era particolarmente ascoltato. Mi sento più influenzato dalla musica classica occidentale: Bach, Beethoven, Mozart, Brahms, anche perché l’ho studiata quanto il jazz.

Marcin Wasilewski Trio «Live»
Marcin Wasilewski Trio «Live»

Il momento attuale, dal punto di vista politico, culturale ed economico, non è molto semplice. Qual è la tua opinione?
Anche in Polonia accade lo stesso. C’è un sentimento profondo di patriottismo e di sovranismo che non coincide con le mie idee artistiche, perché la mia musica vuole valicare tutti i confini. Noi viaggiamo tantissimo ed essere un patriota per me significa essere una brava persona, fare bene il proprio lavoro ed essere tollerante con le minoranze, aiutare i deboli e le persone che ne hanno bisogno. Non sono felice di ciò che sta succedendo oggi in Polonia, perché il nostro governo è populista e vuole distruggere la struttura europea. È tutto così difficile e sono spaventato da ciò che potrebbe accadere. Purtroppo stanno anche cercando di cambiare la Costituzione. La situazione economica attuale, invece, è sicuramente favorevole per la Polonia, perché siamo un mercato nuovo e siamo diventati oggetto delle attenzioni dei capitalisti. Il guaio è che tutto quel che è accaduto da noi durante la seconda guerra mondiale sembra già essere stato dimenticato. E ho paura che la situazione sociale possa diventare impossibile da gestire.

E questa situazione sta influenzando anche la scena jazzistica polacca?
No, la situazione del jazz in Polonia è molto buona. La gente vuole ascoltare jazz, quindi ci sono diversi club e diversi festival e nascono sempre molti nuovi gruppi.

La tua prossima frontiera musicale?
Ci stiamo preparando a registrare il nuovo album in agosto. Non posso ancora dire molto, ma ci sarà sicuramente un ospite.

Alceste Ayroldi

[da Musica Jazz, luglio 2019]