Lytton-Massaria-Prati a Firenze

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Paul Lytton, Andrea Massaria e Walter Prati, foto di Giuseppe Vigna

Cantieri Goldonetta, Firenze, 20 gennaio 2020

Protagonista già negli anni Settanta della vitale scena creativa inglese e, in senso lato, della musica improvvisata europea, Paul Lytton (classe 1947) è un batterista fuori dagli schemi e dalle convenzioni, difficilmente collocabile in categorie predefinite. Lo ha confermato nella sua prima apparizione fiorentina in trio con Andrea Massaria alla chitarra e Walter Prati al basso e all’elettronica. Un evento reso possibile, per una fortunata coincidenza di date e disponibilità, dalla collaborazione tra Cango (nella persona del coreografo Virgilio Sieni, che ne è responsabile) e 007 Studios.

Più che un batterista, si potrebbe definire Lytton un ricercatore sonoro, un abile e a tratti sciamanico sonorizzatore di eventi. Dal suo set abbastanza spartano – costituito da un rullante, una grancassa, due tom-tom, un charleston e due piatti (ride e crash) – Lytton trae prima di tutto una gamma timbrica estesa e variegata, ottenuta con l’ausilio di oggettistica varia e di un ampio spettro dinamico. Quindi, vi costruisce e sovrappone figurazioni spezzate, febbrili, disarticolate ad arte, paragonabili a sculture sonore (non a caso, scultoreo appare il gesto stesso) e capaci di trasmettere continui impulsi e stimoli ai colleghi.

Lytton, Massaria e Prati, foto di Giuseppe Vigna

L’azione collettiva del trio produce lunghe e sfaccettate fasi di improvvisazione pressoché totale, ma con rari passaggi parossistici. Piuttosto, l’alea e l’accettazione del rischio costituiscono i presupposti di un processo di ascolto reciproco in cui ognuno degli interpreti concentra al massimo lo sforzo per recepire e fare propri i segnali lanciati dai colleghi. Ne risultano meccanismi dialettici spietati nei quali ognuno deve mettersi a nudo senza orpelli o trucchi del mestiere. Ne derivano quindi combinazioni timbriche intriganti e audaci. I timbri secchi, sferzanti di pelli e metalli della batteria richiamano frasi o grappoli di note della chitarra: appuntite e stridenti come lame. Parallelamente, interagiscono efficacemente con il picchiettio, lo sfregamento e il percuotere impressi alle corde del basso che Prati – da autentico specialista dell’elettronica (e tra l’altro membro con lo stesso Lytton dell’ElectroAcoustic Ensemble di Evan Parker) – sa camuffare abilmente con il supporto di vari pedali, trasformandolo a tratti in un altro strumento.

Uno storico trio. Da destra: Evan Parker, Barry Guy e Paul Lytton – foto di Caroline Forbes

Inutile stare qui a stabilire col bilancino da farmacista quanto questa operazione possa essere ancorata alla (o debitrice della) improvvisazione radicale che si diffuse in Europa negli anni Settanta distinguendosi nettamente dal free storico di matrice afroamericana. Tanto vale invece tenerne in debita considerazione l’onestà intellettuale riscontrabile nell’agire, nel rapporto fisico con lo strumento e nel gesto stesso, veicolo dell’atto creativo.

Enzo Boddi