LUCA PERCIBALLI E GLI SLANTING DOTS

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Luca Perciballi è il chitarrista degli Slanting Dots, un trio di giovani e coraggiosi musicisti che ha appena pubblicato il suo primo album, «Unfold». Lo abbiamo intervistato.

Slanting Dots: a chi è venuto in mente questo nome?

E’ sempre difficile trovare un nome per un progetto! Per fortuna in questo caso ci è venuta in aiuto la mia ragazza che, osservando le mie partiture manoscritte, si è accorta della mia peculiare maniera di segnare le teste delle note sul pentagramma: piccoli puntini obliqui, appunto. Il nome ci è subito piaciuto, visto che allude anche ad una situazione di precarietà che ben si addice alla nostra musica.

Come vi è venuto in mente di suonare assieme?

Ho la fortuna di conoscere da sempre Alessio Bruno e di aver diviso con lui la maggior parte della mia avventura musicale e umana: il nostro primo incontro risale alle scuole elementari, quindi suonare assieme ci è sempre parso naturale. Invece Gregorio Ferrarese è stato mio compagno di corso al conservatorio Arrigo Boito di Parma che, in diversi modi, abbiamo frequentato tutti e tre.

Siete nati nel 2007: perché avete lasciato passare sei anni prima di pubblicare il primo album?

C’è voluto molto per sintetizzare in un corpus organico tutte le influenze e le diverse inclinazioni. Ci siamo presi tutto il tempo necessario per poter curare il nostro suono come gruppo e soprattutto le nostre dinamiche interne. Ovviamente il carattere originario di laboratorio di ricerca che il trio ha assunto dalla sua formazione ci ha permesso di accumulare un’enorme quantità di musica scritta nel corso degli anni, ma «Unfold» nasce da alcuni brani scritti nel biennio 2011-2012 proprio con l’idea di realizzare la nostra opera prima.

Come avete incontrato la Nau?

L’incontro con Gianni Barone della Nau è un perfetto esempio del provvidenziale colpo di fortuna: dopo aver realizzato una prima registrazione del materiale abbiamo contattato diverse etichette. Tra le risposte positive quella della Nau  ci ha convinto per serietà e potenza della sua linea editoriale. Credo che Nau rappresenti una delle realtà più meritevoli di riconoscimento oggi presenti in Italia.

Quanto spazio concedete per l’improvvisazione e quanto, invece, è scritto?

Direi che entrambi gli aspetti hanno uguale rilevanza nella nostra  musica: mi interessa che i due elementi riescano a coesistere in modo organico. A un primo ascolto il disco può sembrare una raccolta eterogenea di diverse situazioni ma vive di una grande coesione interna a livello strutturale: in primis tutti gli elementi formali e tecnici su cui abbiamo deciso di lavorare costruiscono una fitta rete di relazioni che attraversa tutti i brani, rendendo il lavoro coerente. L’altro elemento di unione è il suono del trio, perché abbiamo trattato il gruppo come un vero e proprio personaggio nella trama del disco, costruendo situazioni che avrebbero potuto innescare determinati meccanismi interni alla formazione. Il titolo dell’album è nato parlando con Gianni Barone: dopo tutto questo lavoro sotterraneo era giunta l’ora di rendere manifesto il risultato cui eravamo giunti.

Gli Slanting Dots hanno collaborato anche con Marc Ducret.

Sicuramente aver suonato all’interno di ParmaJazz Frontiere con il trio di Marc Ducret, nostro grande ispiratore,  è tra le soddisfazioni che ricorderemo per sempre. Dobbiamo ringraziare Roberto Bonati, direttore del festival e nostro insegnante al conservatorio, per averci permesso di realizzare un piccolo sogno.

E’ un trio che in futuro potrà allargarsi?

La natura particolare del trio e la sua conformazione umana e musicale lo rendono una creatura un po’ autoreferenziale, che acquista senso nel suo stesso essere. Non escludo la possibilità di collaborare con altri musicisti interessanti, cosa che è già successa con Emiliano Vernizzi in occasione dell’Ah-Um Milano jazz festival 2008.

Il tuo passato musicale ti ha portato in Olanda.

Il mio periodo di studio in Olanda è stato una conseguenza diretta dell’insoddisfazione per l’ambiente musicale in cui vivevo: dopo aver terminato il mio ciclo di studi sentivo l’esigenza di cambiare aria. Trovarmi in una realtà con risorse economiche e didattiche impensabili per il nostro Paese mi ha consentito di perfezionare la mia formazione, mettendomi a confronto con musicisti e studenti di tutto il mondo. E’ stata la molla che mi ha fatto riconciliare con me stesso e con la mia attività musicale.

Qual è stato l’avvenimento che ti ha segnato?

Sicuramente il grande rapporto di amicizia e stima musicale con Butch Morris. L’ho incontrato per la prima volta al festival di Sant’Anna Arresi proponendogli un’intervista per la mia tesi di laurea. Dalla sua entusiastica reazione è scaturita una meravigliosa serie di incontri e collaborazioni, feste e telefonate improvvise da New York!

Quali sono gli altri tuoi impegni musicali?

Un altro progetto cui tengo è Fragile, duo di improvvisazione con il pittore Mattia Scappini. Abbiamo lavorato anni all’elaborazione di un vocabolario che ci permettesse di dialogare pur mantenendo le specificità di due mezzi così diversi quali musica e pittura, e siamo arrivati alla configurazione attuale dello spettacolo, che si avvale di live electronics e strumenti di pittura autocostruiti. Pubblicheremo il nostro primo lavoro nel 2014, sempre per la Nau: un’edizione limitata in vinile abbinata a una serigrafia originale di Scappini. Il progetto ha anche una sua controparte orchestrale in cui mi cimento nella conduction. Sto lavorando anche alla preparazione di alcuni concerti in solitudine.

A Ayroldi