Larry Brown: Southern Man

Ritratto dell'ex pompiere del Mississippi, un vero scrittore che ha fatto innamorare lettori di qualità

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Larry Brown - foto Art Meripol
Copertina di Big Bad Love, pubblicato nel 1991

Quando si parla dello scrittore Larry Brown (1951-2004), si citano il blues, Ernest Hemingway, William Faulkner, Raymond Carver e il Mississippi. A Venezia, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2013, è stato presentato Joe, film che David Gordon Green e Gary Hawkins hanno tratto da un suo romanzo. Scrittore poco conosciuto dalle nostre parti, Brown ha tra i suoi lettori più fedeli Bob Dylan, Alejandro Escovedo, Jim Dickinson, Vic Chesnutt, Tom Waits e Steve Earle. Dal 2004 al 2010 non è stato un gran bel periodo, perché di amici se ne sono andati in quattro. Chi tradito dal cuore e chi dalla voglia di farla finita. Larry Brown per primo e poi tutti gli altri che gli sono stati vicino. Così, uno dopo l’altro, lo hanno seguito Jim Dickinson (famoso produttore e musicista), Vic Chesnutt (il cantautore scoperto da Michael Stipe dei REM e diventato amico di Bill Frisell, di Howe Gelb e di Kurt Wagner dei Lambchop), oltre a Barry Hannah (autore di Mezzanotte e non sono ancora famoso), che anni prima aveva fatto molto per far conoscere Brown come scrittore. Poi a Brown era andata bene e s’era messo a correre da solo, infilando in fretta un bel po’ di roba tra il suo primo racconto per Easyrider e il suo ultimo romanzo per la Free Press. Tanti articoli, racconti e altre storie che in breve tempo gli avevano radunato attorno una sorta di congrega di fissati, innamorati del suo lavoro. Semplici lettori, musicisti, colleghi e pure qualche attore. Come Arliss Howard e Debra Winger, che avevano deciso un giorno di portare al cinema Big Bad Love. Un pugno di racconti che Brown aveva pubblicato all’inizio della sua carriera e che, a leggerli la prima volta, Howard ci aveva quasi perso la testa, tanto gli erano piaciuti. Tra Hollywood e Brown c’era già stato qualcosa, comunque. Niente di così importante, perché allora forse i due s’erano solo annusati, ma questa sembrava finalmente la volta buona. C’era la Winger a produrre e Howard alla macchina da presa. Sullo schermo i due erano anche Marilyn e Barlow, i protagonisti della storia, e si pensava allora che avrebbero saputo portare in sala un bel po’ di gente. Solo che dopo il primo weekend il film aveva incassato meno di 6000 dollari, e la critica c’era anche andata giù pesante.

Copertina di Facing the music, una raccolta di racconti pubblicata nel 1988

Comunque sia andata a finire, quello che stupisce ancora è che gente innamorata di Brown, come Tom Waits e Steve Earle, si fosse messa in coda per dare al film qualche sua canzone. Waits era arrivato con degli inediti e con lui c’erano anche Earle, R.L. Burnside e Junior Kimbrough. Brown li avrebbe ringraziati tutti. Pure Bob Dylan, mai visto durante le riprese ma che per l’occasione aveva prestato Everything Is Broken a Burnside, che nel film l’aveva fatta sua con Buddy Guy. Lo stesso Dylan che un paio d’anni prima s’era preso una pausa di qualche giorno, durante il suo tour con Paul Simon, per fare un salto a Oxford, Mississippi, a casa di Jim Dickinson. Per salutarlo e chiedergli di Brown, perché sapeva  che  i due erano vecchi amici. Solo che Dickinson non ci voleva credere che Dylan glielo chiedesse davvero. «Larry Brown?» s’era stupito. «Vuoi dire quell’ubriacone che se ne sta sempre dove suonano i miei compari? E come fai a conoscerlo?» Sapeva benissimo che il suo amico scrittore s’era allontanato solo un paio di volte da quei posti dov’era nato nel 1951 e dove poi aveva ambientato quasi tutte le sue storie. Da Facing Music a Fay.
Un paio di libri Brown li aveva dedicati anche ai reduci del Vietnam, che aveva assistito quand’erano tornati a casa, e ai ricordi del padre che aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, ma tutto il resto l’aveva dedicato solo a Oxford e ai suoi dintorni. Da lì fino a Memphis.  Storie di persone normali. Con problemi che Brown conosceva bene, per esserci cresciuto assieme. Racconti di gente che tira avanti a fatica. Sola e senza un lavoro. Che vive alla giornata e col bicchiere in mano. Che non si sente mai sconfitta e che, tra un round e l’altro, chiede solo di prendere fiato. A Dylan queste storie erano piaciute molto ma non solo a lui, visto che prima del suo arrivo a Oxford s’era già fatto vivo qualcuno in cerca di Brown. C’era stato Charlie Jacobs che suonava nei Tangents, e da Memphis erano arrivati Vic Chesnutt e Alejandro Escovedo che poi gli avrebbe dedicato Tula ma che intanto aveva chiesto a Brown di accompagnarlo in giro, a suonare assieme. Cosa che, tempo dopo, gli avrebbe chiesto anche Ben Weaver, mentre i figli di Dickinson, dall’amico del padre, si sarebbero fatti scrivere le note di copertina del loro primo disco. Quello «Shake Hands With Shorty», firmato dai North Mississippi Allstars e che, uscito dagli studi della Zebra Ranch, avrebbe scalato in fretta le classifiche.

92 giorni, l’unico titolo di Brown pubblicato in Italia (da Mattioli 1885); un racconto lungo che resta uno dei suoi capolavori

Insomma Dylan era arrivato tardi all’appuntamento, anche se poi avrebbe recuperato in fretta perché di lì a poco avrebbe quasi infilato una riga intera dello scrittore nella sua Sugar Baby. «Plenty of places to hide here», si ascolta in «Love And Theft», «if you wanna hide ‘em bad enough»: mentre tredici anni prima, in Facing the Music, Brown aveva già scritto «Lots of places to hide things, you want to hide them bad enough». Ancora qualche anno, comunque, e per «Together Through Life» Dylan avrebbe scelto anche la foto di Bruce Davidson. Quella già usata da Brown per la copertina di Big Bad Love. Lo stesso libro che Howard aveva voluto portare a Hollywood e che in coda ha «92 giorni», uno di quei racconti che Brown ha usato spesso per mettere a nudo il suo cuore. Poche pagine per raccontare come, all’epoca, usasse ammazzare il tempo nell’attesa che qualche casa editrice gli desse retta. Brown aveva cominciato a scrivere quando faceva il pompiere per l’Oxford Fire Department. Un mucchio di racconti, che però gli tornavano sempre indietro. Quando infine gliene accettarono qualcuno, Brown pensò che forse poteva tentare di diventare uno scrittore sul serio. Così s’era licenziato, aveva divorziato dalla moglie e si era chiuso in casa per scrivere e basta. Solo che poi non era andata un granché bene. Le storie che vendeva erano poche. Molte di più erano le lettere di rifiuto che gli arrivavano dagli editori e spesso con su scritto: «Buono, riprovaci». «Che voleva dire?» si lamentava allora Brown. «Buono, ma non abbastanza per essere pubblicato? Qualcuno avrebbe anche potuto impiccarsi, per una stronzata del genere». La voglia di scrivere, però, non gli passava e così continuava a starsene chiuso in casa a lavorare. Ascoltando musica e bevendo birra. A trovarlo passavano ogni tanto la madre o qualche amico, col quale poi se ne andava in giro a sbronzarsi. Senza mai saltare un bar e cacciandosi nei guai. Le volte che tentava di allontanarsi da quei posti non ce la faceva mai perché beveva sempre troppo e con l’auto finiva fuori strada. Ma la mattina dopo era già seduto alla macchina per scrivere, per battere ancora una nuova storia. Sempre in attesa di farcela e di sfondare. Di questo racconta 92 giorni. Di come a Brown scorresse la vita sotto i piedi, aspettando che prima o poi il postino gli portasse una buona notizia. Quella capace di strapparlo al fallimento e ai suoi giorni tutti uguali. Sempre con pochi soldi in tasca e un sacco di conti da pagare. Andò avanti così per sette anni. Fino a quando, nel 1988, gli pubblicarono Facing The Music e le cose iniziarono a cambiare.

Da Joe, romanzo del 1993, e stato tratto nel 2013 un film interpretato da Nicolas Cage

Nel giro di cinque anni Brown arrivò in libreria altre quattro volte, mentre il suo nome prese velocemente a girare nel mondo della musica e poi più su, fino a Hollywood. Dove Jeremy Horton, nel 1997, gli offrì una piccola parte in 100 Proof. Qualche anno ancora e, mentre al cinema arrivava Big Bad Love, a casa di Brown si presentò Gary Hawkins. Un giovane cineasta che, qualche anno prima, aveva girato un documentario su Harry Crews, lo scrittore del Sud tanto amato da Lydia Lunch e da Kim Gordon dei Sonic Youth. L’idea era quella di girare qualcosa su Brown. Tempo un anno e sarebbe uscito The Rough South of Larry Brown. Novanta minuti sullo scrittore di Oxford, con la colonna sonora curata da Vic Chesnutt.
Tra tanta musica, cinema e lettori, sembrava che la vita di Brown fosse ormai tutta in discesa. Solo che, nel novembre del 2004, lo trovarono in casa, morto d’infarto. Al suo funerale si presentarono in tanti. Vigili del fuoco, scrittori e musicisti. Amici come Jim Dickinson che, due anni dopo, se ne sarebbe uscito con «Fishing With Charlie & Other Selected Readings». Un disco dove si sente il vecchio produttore e musicista leggere le pagine di alcuni dei suoi scrittori preferiti. Da Brown a Jack Kerouac, da Nick Tosches a Michael Ondaatje. Quello stesso anno, Terry Kinney girò anche Kubuku Rides (This Is It), da un breve racconto di Brown sull’alcolismo, ma fu soprattutto la musica a ricordarsi dello scrittore. Come quando Alejandro Escovedo, Vic Chesnutt e tanti altri incisero assieme «Just One Time: Musical Tribute to Larry Brown» riunendo alcune delle canzoni che lo scrittore amava ascoltare quando se ne andava in giro in auto o che la sera suonava a casa. Ecco allora i North Mississippi Allstars con Glory e Dickinson con I’ll Remember You di Dylan, Chesnutt con Fish e lo stesso Brown con Don’t Let the Door. Poi, prima ancora che Dylan usasse la celebre foto di copertina, Tim Lee e i Walnut Surprise se ne sarebbero usciti con un paio di canzoni dedicate allo scrittore. Cosa che, con Tula, avrebbe fatto anche Alejandro Escovedo.
Intanto avevano cominciato a morire Dickinson e gli altri. Chesnutt e Hannah. I vecchi amici di Brown. Qualcuno più giovane, come Gary Hawkins, sarebbe rimasto per scrivere la sceneggiatura di Joe, dall’omonimo romanzo del nostro Larry Brown. Tempo un anno, e ci avrebbe pensato David Gordon Green a farne un film con Nicolas Cage. Ultimo capitolo, per il momento, della saga di questo scrittore tanto amato da Hollywood e dalla musica ma che, dalle nostre parti, non è ancora riuscito a decollare.

Pike Borsa

Larry Brown e John Grisham – foto Art Meripol