
Lana Meets Jazz, giunta all’ottava edizione, è un appuntamento musicale a misura d’uomo. La collocazione in un borgo alle porte di Merano, l’alimentazione umana data dallo stretto rapporto con la scuola musicale, sorretta dall’energia e dall’entusiasmo di Helga Plankensteiner e Michael Lösch, che della rassegna sono anche gli ideatori, ha portato fin dalla prima edizione a una risposta eccellente da parte di un bacino di pubblico molto vario nella sua composizione, dove agli appassionati si mescolano le famiglie degli allievi e gli stessi studenti. Questa tendenza virtuosa è andata consolidandosi nel corso degli anni, fino a raggiungere il notevole successo di affluenza dell’edizione 2019.

Dal concerto di apertura, con il trio Rymden di Bugge Wesseltoft, Dan Berglund e Magnus Öström, fino al conclusivo appuntamento con l’Ensemble Sweet Alps di Michael Lösch, il tutto esaurito nelle varie cornici del festival è stato costante. Una dimostrazione di stima davvero fondamentale per il piccolo festival, che si regge sull’impegno ammirabile di poche persone e che merita considerazione e sostegno, in un momento non certo facile per la programmazione musicale in Italia.

Dopo il prologo del 13 aprile, con un’inedita edizione del quintetto Barionda, quattro sax baritoni e batteria, dove figuravano, in luogo dei membri originari Javier Girotto e Florian Bramböck, i baritoni di Klaus Dickbauer e Massimiliano Milesi, l’apertura del 30 aprile è stata affidata all’ensemble The Disaster, con alcuni allievi della Scuola di Lana affiancati dal batterista Paolo Mappa. Il trio di recente formazione Rymden, in serata, ha attratto un pubblico che ricordava con affetto le avventure del compianto Esbjörn Svensson. Abbinata a Wesseltoft, la coppia ritmica del pianista svedese dà luogo a un organismo ben sintonizzato, che proprio nel nome del gruppo, “spazio”, e nel titolo dell’album registrato lo scorso anno, “Reflections and Odysseys”, indica la chiave su cui si sviluppano le logiche del trio. Momenti di riflessione timbrica dilatata si alternano a episodi fortemente marcati dall’elemento ritmico, che spesso fanno l’occhiolino a certo rock progressivo anni Settanta. Operazione tutto sommato piacevole, anche se in difetto di vera originalità e oltremodo generosa nella durata, di un’ora e mezza abbondante.

La mattinata successiva è stata marcata dalla presenza della chitarra, con il trio Almamanouche, ben focalizzato sulla memoria di Django e dello swing parigino, e sull’incontro a due chitarre e contrabbasso con il veterano e sbarazzino Ulf Wakenius, in sostituzione dell’annunciato e infortunato Philip Catherine. L’abbinamento del suo approccio spigoloso e dinoccolato con il morbido fraseggio bop del germanico Paulo Morello ha presentato un interessante contrasto. Il tardo pomeriggio del primo maggio è stato degnamente celebrato nella piazza di Lana, con il rodato ensemble Odwalla di Massimo Barbiero, organico che sa coniugare l’energia dei poliritmi africani con le sofisticate trame dell’avanguardia colta, con il canto e la danza, trovando il modo di calamitare l’attenzione del pubblico di piazza. Come è consuetudine, il festival si è trasferito per una serata nello storico Hotel Laurin di Bolzano, dove ormai da più di venticinque anni si tiene una apprezzata rassegna jazz settimanale. In scena la musica del quartetto francese Extended Whispers: evocatrice come una colonna sonora, in bilico tra le dense figure del pianoforte di Jean-Christophe Cholet e le sfumature timbriche sottili della fisarmonica di Didier Ithursarry e del flicorno di Matthieu Michel. L’Ensemble Sweet Alps di Michael Lösch, che comprendeva tra gli altri il trombettista Fulvio Sigurtà, il sassofonista Michele Polga, il fisarmonicista Vince Abbracciante, il batterista Nelide Bandello, ha chiuso il festival con musica di forte impatto emotivo, basata sull’originale elaborazione di alcuni Lieder di Gustav Mahler.
Giuseppe Segala
