La forza discreta delle idee – Intervista con Ferdinando Romano

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Ferdinando Romano, foto di Fabio Morelli

Pubblicato lo scorso 24 aprile a cura dell’etichetta norvegese Losen Records, «Totem» è il primo lavoro come titolare del contrabbassista Ferdinando Romano. Nato a Benevento nel 1983 ma cresciuto in Toscana, Romano vanta una solida formazione classica maturata con il diploma presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze e il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. La sua formazione jazzistica è culminata con la frequenza del Master InJam di Siena Jazz. Già attivo da anni sulla scena jazzistica, Romano fa parte della Rainbow Jazz Orchestra diretta da Duccio Bertini. Come membro dell’Arcadia Trio – insieme a Leonardo Radicchi ai sax tenore e soprano, e Giovanni Paolo Liguori alla batteria – ha inciso e suonato in tour con il trombonista Robin Eubanks. Come certificato da «Totem», Romano è un fine compositore capace di esprimere questo talento anche in ambito classico-contemporaneo attraverso la realizzazione di alcuni lavori per ensemble da camera, orchestra e quartetto d’archi. La nostra conversazione ha preso spunto proprio da «Totem», in cui spicca un ospite prestigioso quale il trombettista Ralph Alessi.

 

Ferdinando, puoi illustrare i presupposti e la genesi di «Totem»?

«Totem» è il frutto di un percorso personale di scrittura e di ricerca che sintetizza le varie sfaccettature dei miei interessi musicali. Ho fatto parte di diversi progetti, ad alcuni dei quali ho contribuito anche con delle composizioni. Tuttavia, sentivo la necessità di fare qualcosa di mio, che mi potesse rispecchiare appieno. Le mie esperienze musicali sono molto variegate: classica, jazz, barocca, rock. Quindi, mi sono voluto lasciare andare a una scrittura che non si ponesse limiti stilistici, anche se ovviamente alcune influenze sono più evidenti e forti di altre. Non mi sono curato di cercare sonorità di tendenza, ho cercato soprattutto di soddisfare il mio gusto personale.

Hai inciso questo lavoro per un’etichetta norvegese da noi praticamente sconosciuta. Una scelta frutto di contatti internazionali e della proverbiale lungimiranza della scena scandinava? Oppure della mancanza di adeguate opportunità in ambito nazionale?

Non credo che in Italia manchino queste opportunità, almeno non relativamente alla mia esperienza. Si tratta soprattutto di una questione di scelte personali e di prospettive che si vogliono dare alla propria musica. Avendo vissuto per un periodo in Svizzera e avendo costruito nel tempo molti contatti internazionali, da subito mi sono dato come obiettivo la scelta di un’etichetta che avesse una visione internazionale, piuttosto che ristretta all’ottica nazionalistica. Inoltre, seguo da diverso tempo la scena scandinava e trovo che sia una fucina di grande creatività. Odd Gjelsnes, della Losen Records, lavora molto in quest’ottica e sempre a stretto contatto con gli artisti. Sono molto contento di questa scelta e, anzi, invito a scoprire il suo catalogo perché ci sono molti dischi interessanti. Il disco sta già ricevendo molto interesse fuori dall’Italia, per il momento in particolare nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nel Nord Europa.

Com’è avvenuto e come si è sviluppato il contatto con Ralph Alessi?

Ralph è uno dei miei artisti preferiti, dal punto di vista sia improvvisativo che compositivo. Quando ero già ad un punto avanzato di scrittura del disco, ho iniziato a pensare con sempre maggior convinzione che la sua sonorità sarebbe stata perfetta e così ho deciso di contattarlo e inviargli i miei brani. Ralph mi ha risposto subito con entusiasmo e da lì è nata la collaborazione. In studio si è creata una bella atmosfera rilassata e ci siamo divertiti molto, sia dentro lo studio che nei vari momenti passati insieme. Ralph è veramente un grande musicista.

Ferdinando Romano, foto di Damiano Xodo

Il gruppo che hai riunito per l’occasione comprende musicisti della generazione dei trentenni. Secondo te è corretto parlare di una nouvelle vague del jazz italiano, in particolare sotto il profilo creativo?

I musicisti che ho riunito sono tutte persone con cui si è creata una grande sintonia umana e creativa fin dal primo incontro. Con loro la mia musica va sempre nella direzione che ho concepito senza bisogno di troppe parole. Probabilmente la vicinanza anagrafica ha contribuito al nostro feeling. Siamo in una fascia di età in cui, pur essendo giovani, abbiamo maturato una certa esperienza e anche una personalità artistica. È difficile definire un movimento nel momento stesso in cui lo si vive, ma sicuramente i musicisti italiani delle nuove generazioni stanno creando un bel fermento artistico. Credo che ci siano molti gruppi che meriterebbero maggior attenzione. In questo periodo di lockdown sto ascoltando molta musica e sto scoprendo tantissime novità che vengono proprio da artisti italiani che non conoscevo a sufficienza. D’altronde, anche alcuni musicisti del mio gruppo li ho conosciuti musicalmente per la prima volta ascoltando i loro progetti.

Qual è il tuo approccio dal punto di vista compositivo? Parti da uno spunto melodico, una semplice frase dettata dal tuo strumento oppure ti siedi al piano per gettare le fondamenta della struttura?

Diciamo un po’ tutte e tre le cose. Un brano può partire da spunti che provengono da varie direzioni. Il più delle volte mi siedo al pianoforte, soprattutto per lavorare sulle armonie, sul contrappunto e sulle idee melodiche; poi sviluppo il brano su carta o al computer. Dipende anche da dove mi trovo nel momento in cui scrivo. Se sono a casa ho tutti i mezzi a disposizione. Se mi trovo fuori casa o in tour, butto giù le idee direttamente al computer, talvolta con risultati anche migliori. Uso anche un taccuino dove appunto idee musicali che mi vengono in mente, oppure spunti di arrangiamento che provengono da un ascolto appena fatto o da un concerto. Il mio strumento lo uso soprattutto per sviluppare le linee di basso che ho scritto, ma raramente come punto di partenza.

Forse dipenderà dalla presenza magnetica di Alessi, e anche dal flicorno di Tommaso Iacoviello in alcuni brani, ma a tratti si ha l’impressione che nella tua scrittura ci sia qualche traccia della poetica di Kenny Wheeler.

Sì, indubbiamente adoro la musica e la poetica di Kenny Wheeler. Ho divorato i suoi dischi e ho imparato molto sia dal punto di vista compositivo che dell’arrangiamento. Nella sua scrittura credo di riscontrare alcune influenze comuni con cui sento molta affinità, come il contrappunto vocale o i grandi compositori del Novecento. Il suo è un mondo che sto continuando ancora a scoprire. Indubbiamente poi il suono di Ralph – che tu giustamente definisci “magnetico” – e il bellissimo timbro di Tommaso al flicorno (che si può notare in particolare sul solo nella coda del brano Memories Reprise) rimandano a certe sonorità.

Ferdinando Romano, foto di Barbara Cardini

Sei anche membro della Rainbow Jazz Orchestra di Duccio Bertini, che lo scorso novembre ha presentato uno splendido lavoro di arrangiamento di celebri composizioni di Benny Golson, presente lo stesso autore. Com’è stata l’esperienza con Golson e cosa ti ha lasciato su un duplice piano professionale e umano?

Per me è stata una bellissima esperienza per cui ringrazio ancora Duccio. Suonare con una leggenda vivente come Benny Golson ti lascia sempre qualcosa di profondo. È incredibile come una persona della sua età abbia un’energia, un amore per la musica e un entusiasmo veramente invidiabili: una grande lezione di vita. Ci ha affascinato con i suoi racconti e le sue esperienze condivise con Art Blakey. Ero molto eccitato e anche un po’ nervoso all’inizio, perché suonare con lui i suoi brani mi sembrava incredibile. Poi il suo entusiasmo travolgente ci ha trascinato tutti nel flusso della musica.

Qual è il tuo retroterra musicale, a livello di formazione, ascolti, modelli, incontri ed esperienze “sul campo”?

La mia formazione accademica è soprattutto classica. Ho studiato al conservatorio “Cherubini” di Firenze – per un periodo anche composizione – e mi sono specializzato a Lugano con il grande maestro e amico Enrico Fagone, uno dei più stimati solisti internazionali (tra le sue collaborazioni stabili spicca quella con Martha Argerich). Lì ho avuto modo di conoscere musicisti di tutto il mondo e di ampliare le mie vedute. In Italia devo molto a Siena Jazz che mi ha selezionato per la seconda edizione di InJam, dove per circa sei mesi ho avuto la possibilità di suonare e scrivere musica insieme a Glenn Ferris e Logan Richardson. Da quell’esperienza è poi scaturito un disco prodotto da Siena Jazz. Gli ascolti che mi hanno influenzato sono molti. Adoro Bach, Prokof’ev e Stravinskij, Kenny Wheeler, Thelonious Monk, Dave Holland, Drew Gress, Bill Evans, solo per menzionare i primi che mi vengono in mente. Dal punto di vista delle esperienze sul campo, ogni volta che hai la possibilità di suonare con un grande musicista questo lascia indubbiamente un segno. Sicuramente una delle collaborazioni più belle è stata quella con il trombonista Robin Eubanks, con cui ho fatto un tour e registrato un nuovo disco con l’Arcadia Trio.

Ferdinando Romano con la Rainbow Jazz Orchestra (in primo piano Benny Golson). foto di Valentina Bellini

Dopo Alessi, c’è qualche altro musicista che vorresti coinvolgere nei tuoi progetti?

Sono molto contento della collaborazione con Ralph e mi piacerebbe portarla avanti anche nei prossimi lavori, così come per gli altri musicisti della band. Se dovessi in astratto pensare a dei musicisti con cui sarebbe bellissimo suonare, anche un solo brano, probabilmente menzionerei Fred Hersch e Nasheet Waits.

 

Enzo Boddi