Ai confini tra Sardegna e jazz: K.Overall, T.Sorey, Burnt Sugar The Arkestra Chamber

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Ai confini tra Sardegna e jazz
Kassa Overall Trio - foto Rossetti-PHOCUS

Ai confini tra Sardegna e jazz, Sant’Anna Arresi, Piazza del Nuraghe, 8-9 settembre 2017

Dopo la rabberciata esibizione in stile rap della sera precedente, Kassa Overall ha presentato il suo trio jazz con Sullivan Fortner al piano e il 21enne Daryl Johns al contrabbasso. Batterista tecnicamente ferrato – brillante e incisivo sugli up tempo, meno efficace sui tempi medio-lenti – come leader Overall dimostra però di non possedere una precisa impostazione progettuale. Per giustificare l’etichetta new jazz già affibbiatagli non bastano due versioni di What’s New – la prima “disturbata” ad arte dai campionamenti, la seconda abbinata ad un rap – né il bel Love Theme From Spartacus di Alex North, correttamente eseguito. Né tantomeno influiscono le innumerevoli citazioni, spesso meri frammenti, incasellate in un flusso continuo: da Manteca di Gillespie fino a Airegin e St.Thomas di Rollins. Sia l’ispirazione che i materiali risultano fin troppo eterogenei e troppo ampia si rivela la forbice tra una commossa dedica a Geri Allen (con cui Overall ha collaborato) e una piatta, stridente interpretazione vocale di Jane B di Serge Gainsbourg. Peccato, perché il trio avrebbe risorse da vendere: Johns ha un fraseggio fluido e intraprendente; Fortner possiede una padronanza assoluta e una visione critica della tradizione, come testimonia anche il trattamento per solo piano di una Yesterdays ricca di dissonanze, frammentazioni e propulsione ritmica. Tuttavia, applicare a questa musica il termine new jazz significa solo generare equivoci.

Ai confini tra Sardegna e jazz
Kassa Overall – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
Kassa Overall Trio durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS

Sulla scia dell’esibizione in solo del giorno prima, Tyshawn Sorey ha condensato nel trio la lungimirante visione compositiva e il multiforme approccio all’improvvisazione che risentono tanto degli indirizzi intrapresi da Anthony Braxton, Roscoe Mitchell, George Lewis e Muhal Richard Abrams, quanto dei fermenti del secondo Novecento accademico (Cage, Feldman, Xenakis, Stockhausen). In totale sintonia con il pianista Cory Smythe e il 21enne contrabbassista Nicholas Dunston (subentrato a Chris Tordini e al primo concerto con il trio), Sorey accumula gradualmente cellule, privilegiando timbri e dinamiche arricchiti dalla variegata composizione del suo set: oltre alla batteria, bongos, vibrafono, glockenspiel e gong. La loro interazione procede per segnali, impulsi e richiami passando gradualmente e sistematicamente dal pianissimo al piano, per poi approdare al forte e al fortissimo. Sia nei passaggi rarefatti, di tipo puntillistico, che negli intensi crescendo (in cui il batterista si propone come degno continuatore dell’opera di Milford Graves) Smythe e Dunston manifestano assoluta unità di intenti. Il pianista con una sensibilità di tocco e una capacità di sintesi, anche in aree informali, che gli derivano dalla formazione e dalle frequentazioni in ambito contemporaneo. Il bassista con linee penetranti, pedali solidi e incalzanti, arcate che fungono da efficaci bordoni. Forse è proprio qui il nucleo vitale di quello che oggi alcuni definiscono new jazz.

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Tyshawn Sorey Trio – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
Tyshawn Sorey – foto Rossetti-PHOCUS

Ancora nel segno di Max Roach, fonte d’ispirazione dell’intera rassegna, ha impressionato ed entusiasmato l’esibizione della Burnt Sugar The Arkestra Chamber diretta da Greg Tate, che ha offerto rielaborazioni approfondite di brani tratti da uno storico trittico di album di Roach: «We Insist! Freedom Now Suite», «It’s Time» e «Percussion Bitter Sweet». Il nome della formazione evoca Sun Ra, col quale può essere solo lontanamente paragonata in virtù dei possenti collettivi, dei richiami all’Africa e di un apparato ritmico-armonico di grande efficacia propulsiva: Ben Tyree (chitarra), Bruce Mack (Fender Rhodes), Jared Nickerson (basso elettrico), Jason Di Matteo (contrabbasso), Chris Eddleton (batteria), Val Jeanty (elettronica). Sotto la conduzione di Tate, che nella gestualità si ispira a Butch Morris, l’orchestra propone una compiuta sintesi di elementi riconducibili a fonti diverse: il Davis di «Bitches Brew», per la continua circolazione di segnali tra ritmica, Fender Rhodes e fiati (Lewis Barnes alla tromba e Paula Henderson al baritono); il Quincy Jones degli anni Settanta, per l’equilibrio tra elementi africani e funk; Jimi Hendrix, nelle timbriche adottate da Tyree e dallo stesso Tate in alcuni scambi serrati. Di tutte queste componenti e dell’apporto di un quintetto vocale (Tamar-Kali, Karma Mayet Johnson, Shelley Nicole, Julie Brown e Mikel Banks) hanno largamente beneficiato gli estratti dal repertorio di Roach, a partire dal dittico Driva Man-Freedom Day impreziosito dal contralto sanguigno di Tamar-Kali. Shelley Nicole ha fatto rivivere l’enfasi declamatoria di Abbey Lincoln in una Lonesome Lover in cui riecheggiava l’afflato del gospel e degli spirituals, mentre a Julie Brown è stata affidata una versione molto misurata, quasi spartana, di Mendacity. Il quintetto vocale ha poi espresso tutta la sua potenza nella coralità di It’s Time. La vocalità ispirata all’Africa è stata invece esplorata da Karma Mayet Johnson con dovizia di nuances su un fitto tessuto poliritmico. Infine, lo strumentale Man From South Africa ha valorizzato in pieno la compattezza del collettivo e il suo potenziale ritmico-armonico.

Una formazione che rispecchia – come del resto quasi tutto il programma delle giornate precedenti – il rigore di un festival coraggioso, tra i pochissimi a promuovere le avanguardie secondo una linea progettuale ben precisa e per questo molto conosciuto all’estero. La direzione artistica e l’associazione Punta Giara dovranno però affrontare sfide importanti riguardanti i rapporti con le istituzioni e il territorio per garantirsi un solido futuro dopo trentadue anni di onorata militanza.

Enzo Boddi

Sul sito troverete la prima, la seconda e la terza parte delle recensioni dedicate ai concerti del festival Ai confini tra Sardegna e jazz

Ai confini tra Sardegna e jazz
Burnt Sugar The Arkestra Chamber diretta da Greg Tate – foto Rossetti-PHOCUS
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Burnt Sugar The Arkestra Chamber durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS
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Un momento di relax per Burnt Sugar The Arkestra Chamber – foto Rossetti-PHOCUS