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10 dicembre 2013, Montreuil, Instants Chavirés
26 ottobre 2010: la Unit III sbarca agli Instants Chavirés per registrare il concerto che diventerà «Game Theory». Tre anni e quarantacinque giorni dopo, McPhee, Fred Lonberg-Holm e Michael Zerang sono tornati nello stesso luogo con sotto braccio decine di copie del disco (pubblicato lo scorso ottobre dalla polacca Not Two), andate a ruba nell’intervallo: segno lampante di quanto il folto pubblico abbia apprezzato la prima parte del concerto.
Rispetto a «Game Theory», ma anche a «Synchronicity» (2011), Lonberg-Holm ha accantonato l’elettronica, sottoponendo il suo violoncello a pesanti distorsioni (soprattutto nel secondo set) anche quando McPhee faceva, al tenore, il verso a Ben Webster. Il ricorso agli effetti, oltre ad accrescere i climax delle improvvisazioni, si è inserito in un discorso analogo a quello sviluppato in Ever Eat Anything Bigger Than Your Head, da «Game Theory»: ventidue minuti in cui la ricerca timbrica sposa continui cambi di clima.
Suoni lunghi e contrastanti, esplorazioni dei registri strumentali, stralci rumoristici (responsabili la pocket trumpet di McPhee e, in misura minore, il violoncello preparato) hanno dato forma a una serie di pannelli musicali diversi, senza che le tessiture ritmiche di Zerang (batt., perc.), partecipe attivo ai momenti di improvvisazione collettiva, venissero mai meno.
Il secondo tempo, in parte dedicato a Nelson Mandela, si è aperto con le parole «Freedom is a work in progress», già usate da McPhee in apertura di un’intervista del 2010. L’omaggio al leader sudafricano è passato attraverso l’elegia acustica (non priva di groove) di Lift Every Voice And Sing, un brano-manifesto della lotta per i diritti civili, prima che la Unit III si lanciasse in un’improvvisazione quasi assordante.
L Civelli