Dopo oltre dieci anni, ecco il gran ritorno a Milano di Jesse Harris. Artista dalle mille sfaccettature, famoso per aver firmato il grande successo Don’t Know Why di Norah Jones (che gli ha permesso di conquistare un Grammy), il cantautore newyorkese è anche molto altro: appassionato di jazz, produttore, compositore per il cinema, oltre che compagno, sul palco, di numerosi musicisti (Madeleine Peyroux, Melody Gardot, Lana Del Rey, Maria Gadu e Vinicius Cantuaria, Petra Haden, per citarne soltanto alcuni).
Al Blue Note arriva con Jeremy Gustin alla batteria, Ricardo Dias Gomes al basso e Will Graefe alla chitarra. Nomi di un certo spessore, e in possesso di collaborazioni importanti come quelle con Marc Ribot, David Byrne, Caetano Veloso. Lo stesso trio ha recentemente pubblicato l’album «This Whole Emptiness», progetto sperimentale prodotto dalla neonata Timballo Records.
Il palco è al minimo dell’allestimento, solo il necessario e senza fronzoli: i quattro musicisti, dotati di un incantevole equilibrio, bastano a creare geometrie musicali che scaldano il cuore e creano uno spazio nella memoria tale da lasciare un ricordo duraturo. Il pubblico, infatti, segue con intenso interesse e partecipazione; e Harris, con un carismatico sorriso e qualche parola in italiano, innesca una rapida e forte sinergia con i presenti. In questa occasione viene presentato il recente disco «Songs Never Sung», una raccolta di brani originali escluso I’ve Got To See You Again, reso noto da Norah Jones, Without You, registrato in precedenza da Sasha Dobson e Lizz Wright, e You’ll Forget Me, scritto da Sasha Dobson e riproposto nel corso della serata.
Ad aprire la generosa e travolgente esibizione (circa due ore), Doesn’t Matter Anyway, lo stesso brano che, in apertura del disco, vede Bill Frisell alla chitarra). Dal medesimo album, sono riproposti anche Untouchable, Old Town, People Tell Me, Misunderstandings, It’s Not Too Late To Turn Back e It Must Be Nice. La scaletta prevede anche uno sguardo all’album del 2017 «Music For Chameleons», rievocato da brani quali Surfside, Taking My Time, Anything Was Possible.
Il mix di voce e strumenti ci lascia sospesi, cullati da una piccola e sottile magia che ci consente di godere ogni suono con la sicurezza di trovarsi sempre nel luogo giusto e con il giusto accompagnamento. Un luogo in cui la dolcezza e la leggerezza sintetizzano la notte per farne uno spettacolo godibile e coinvolgente. Lo dimostrano anche gli spettatori, che a fine concerto si assiepano per incontrare un Harris che, con tutti, si mostra sorridente e disponibile.
Non manca un breve spazio in solitudine riservato a Harris, che a metà concerto si esibisce in un siparietto chitarristico per proporre Don’t Know Why e You The Queen. Sono delicate carezze, così come delicati sono il suo tocco e la sua voce. Poi tornano anche Gustin, Gomes e Graefe, e i tre accompagnano Harris nella bellissima Nothing’s Gone But The Night, per poi proseguire nella seconda parte e completare un concerto dal tono ineccepibile e sereno.
Soukizy