Jazz & Wine of Peace 2021, prima parte

Il festival friulano torna alla normalità con ben trenta eventi

309
Cormons, 24-10-2021 - JAZZ&WINE OF PEACE 2021 - Circolo Culturale Controtempo - Colore - Foto © 2021 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Cormòns, Teatro Comunale

Collio, varie sedi

Nova Gorica, Kulturni Dom

Gorizia, Teatro Verdi

21-23 ottobre

Organizzata come sempre dal Circolo Culturale Controtempo con passione e professionalità, la XXIV edizione di Jazz & Wine of Peace ha coinciso con il ritorno a una parziale normalità dopo diciotto mesi di rigorose restrizioni. In particolare, anche in virtù del recupero della capienza normale, si è registrato il ritorno del pubblico straniero (in gran parte composto da spettatori austriaci) che ha animato con interesse ed entusiasmo i numerosi eventi. Nell’arco delle quattro giornate (cinque, se si considera il concerto inaugurale del quartetto Broken Shadows giovedì 21 al Teatro Comunale di Cormòns) sono stati proposti ben trenta concerti, distribuiti in un ampio raggio del territorio del Collio friulano con un paio di consueti sconfinamenti in Slovenia. Tra questi vanno comunque inclusi i dodici eventi previsti dalla rassegna Jazz & Taste, curata da Eduardo Contizanetti.

BROKEN SHADOWS (Tim Berne: alto Chris Speed: tenore, Reid Anderson: contrabbasso, Dave King: batteria) – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

Al quartetto Broken Shadows, capeggiato da Tim Berne, è stato dunque affidato il compito di aprire la manifestazione. Come suggerisce il nome stesso, ispirato al Cd e al brano eponimi, il gruppo si prefigge di esplorare alcune pagine di Coleman, senza per questo trascurare alcuni altri artisti legati al grande Ornette o allo stesso Berne. La formazione ricalca il quartetto in cui Coleman aveva coinvolto Dewey Redman in New York Is Now!: Berne (sax alto), Chirs Speed (sax tenore), Reid Anderson (contrabbasso) e Dave King (batteria). Le esecuzioni sono alimentate dalla feconda dialettica tra Berne e Speed, fatta di contrappunti, controcanti, intrecci e dialoghi serrati, come nel caso di Street Woman o C.O.D.. Berne si cala perfettamente nelle geometrie dei temi di Ornette, sfruttandone il pregnante senso del blues. Una caratteristica, quest’ultima, che sa esprimere all’ennesima potenza in Dogon A.D., pietra miliare del suo maestro Julius Hemphill e magnifico esempio di call and response, lo schema di chiamata e risposta di matrice africana. Speed funge da contraltare efficace alla voce aspra e sanguigna dell’alto con un timbro tenue e un fraseggio obliquo che a tratti ricordano Warne Marsh. Anderson si rivela il vero motore del gruppo con cavata possente e frasi pregne di valenze melodiche, come nell’impressionante introduzione di Song for Che di Charlie Haden. King, suo partner abituale nei Bad Plus, gli si contrappone spesso con controtempi e figurazioni cangianti, producendo un drive contagioso sugli up tempo. In alcuni momenti l’operazione richiama «Spy vs. Spy» di John Zorn (1989), al quale Berne aveva partecipato, ma senza quelle tensioni tipiche della nevrosi urbana che lo caratterizzava.

DIMITRI GRECHI ESPINOZA “OREB” – Dimitri Grechi Espinoza: – Foto © 2021 Luca d’Agostino / Phocus Agency

L’abbazia romanica di Rosazzo viene spesso utilizzata per concerti di musica acustica che valorizzano il rapporto con lo spazio. Tuttavia, per riproporre il suo progetto Oreb per solo sax tenore Dimitri Grechi Espinoza ha dovuto impiegare un microfono collocato sulla campana dello strumento per adattarlo alla carenza di riverbero, elemento essenziale per la sua indagine acustica. Differentemente da altre analoghe circostanze, qui Grechi Espinoza ha indugiato meno del solito sulla dilatazione e l’espansione del suono, limitando le iterazioni e articolando di più il fraseggio, arricchito di connotazioni e sfumature più jazzistiche, sempre denso di armonici e talvolta impreziosito dall’uso del soffiato. Ovviamente, ma va da sé, senza mai perdere di vista una concezione melodica mai ridondante, anzi, spesso quasi spartana. Interessante notare come il sassofonista livornese abbia aperto e concluso la sua performance citando da par suo due standard consumati come In a Sentimental Mood e Stella by Starlight con un minuzioso lavoro di dosaggio e frammentazione dei nuclei tematici.

Il quartetto di Linda May Han Oh – Foto © 2021 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Alla guida del suo quartetto la contrabbassista Linda May Han Oh ha confermato di possedere doti non comuni dal punto di vista compositivo. Il repertorio è composto da composizioni originali, fresche e a volte multitematiche, che poggiano su impianti armonici raffinati caratterizzati da cambi di atmosfera e variazioni metriche. Al tempo stesso, le linee tematiche e gli spunti melodici – specie laddove Linda li vocalizza all’unisono col sax alto di Greg Ward – sono scorrevoli, gioiosi, spesso cantabili. Nel complesso queste costruzioni risultano coinvolgenti e godibili, ma più a livello cerebrale che emotivo. Nondimeno, nella loro essenza rivelano la personalità femminile dell’autrice. I momenti più significativi coincidono con i crescendo (e relativi diminuendo) in cui la voce dell’alto si inasprisce, facendosi quasi strozzata. Al piano Fabian Almazan spezza le gabbie armoniche e di conseguenza il batterista Ziv Ravitz può sprigionare l’estro creativo affrancandosi dal ruolo di implacabile metronomo.

ZLATKO KAUČIČ: “POGUM POGUMNIH / AUDACI CORAGGIOSI” – Foto © 2021 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Singolare figura di percussionista attivo da più di quarant’anni nell’ambito della musica improvvisata, Zlatko Kaučič conduce anche un’intensa e apprezzata attività didattica in una scuola di musica di Nova Gorica. Qui coltiva le potenzialità di molti giovani mettendo l’accento sulla libertà di espressione degli allievi, stimolati a sviluppare una voce e un’identità proprie. L’ensemble Kombo da lui riunito per l’occasione sotto la denominazione Audaci Coraggiosi/Pogum Pogumnih comprendeva una nutrita sezione ritmica composta da tre batterie più percussioni, basso elettrico e contrabbasso, tre chitarre. Agli otto giovani e bravissimi elementi del Kombo si aggiungevano tre navigati musicisti italiani: Flavio Zanuttini (tromba), Ivan Pilat (sax baritono) e l’ospite Marco Colonna (sax sopranino, clarinetti basso e in Si bemolle). Alternando parti scritte e passaggi improvvisati, Kaučič opera una direzione incisiva con gesti perentori ed espressivi, richiamando in parte il metodo di conduction ideato da Butch Morris. Così facendo, sollecita gli interventi e le contrapposizioni delle varie sezioni, e il dialogo tra due o più strumenti. Scatena poi collettivi concitati in cui si succedono passaggi informali, groove torrenziali, ritmi binari, incursioni nel free. Le tre eccellenti chitarre producono una gamma timbrica ricca di colori e venata di rock. A Zanuttini, Pilat e soprattutto a Colonna – che agisce prevalentemente al sopranino, con fraseggio corrosivo e timbriche puntute, taglienti – spetta il compito di squarciare le trame.

John Scofield: e Dave Holland – Foto © 2021 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Dell’atteso duo John Scofield-Dave Holland si è potuto apprezzare – dando ovviamente per scontato il magistero strumentale degli interpreti – il dialogo intimo e fervido tra due musicisti ben consci della tradizione, le cui tracce sono chiaramente riscontrabili nelle loro composizioni. Hangover, firmata da Scofield, è innervata da un sottile senso del blues palpabile nelle ricche inflessioni e sfumature timbriche della chitarra, che finiscono per comporre una narrazione vera e propria. Memories of Home, di Holland, si tinge di colori affini al country di Nashville, ma è proprio nell’esplorazione di semplici nuclei melodici che la poetica del duo si estrinseca al meglio. Dedicata a Ray Brown, ispiratore primigenio del contrabbassista inglese, Mr. B. emana e dispensa swing a piene mani. Not for Nothing e Homecoming esemplificano l’inclinazione di Holland per costruzioni ritmiche finemente e fittamente articolate, richiamando al tempo stesso quel respiro orchestrale espresso appieno nelle versioni eseguite con l’ottetto. Non a caso, il suo fraseggio fluido e plastico genera vere e proprie architetture anche nella dimensione raccolta del duo. Per parte sua, Scofield lascia intravedere l’impronta di Jim Hall nella capienti armonizzazioni e l’eredità del blues (B.B. King in primis) negli accenti e nelle inflessioni quasi vocali delle sei corde. Nessun ricorso al mestiere; piuttosto, la piena consapevolezza e padronanza di un enorme patrimonio di conoscenze.

Francesca Tandoi e Stefano Senni: – Foto © 2021 Luca Valenta / Phocus Agency

La rassegna Jazz & Taste richiama abitualmente l’attenzione su musicisti italiani meritevoli di maggior visibilità. Sotto questo punto di vista non mancano delle piacevoli sorprese. Ospite dell’azienda Borgo San Daniele di Cormòns, la pianista e cantante Francesca Tandoi – reduce da studi ed esperienze in Olanda –  ha proposto due brevi e piacevolissimi set in duo con il contrabbassista Stefano Senni. Dotata di uno stile pianistico scorrevole, swingante, armonicamente denso, ha arrangiato in modo arguto Tin Tin Deo di Dizzy Gillespie arricchendola di passaggi contrappuntistici e sviluppato su un brillante up tempo F. S. R. di Ray Brown. Come cantante provvista di una dizione elegante e ricca di sfumature ha trattato sagacemente Maybe You’ll Be There di Diana Krall, segnalandosi infine anche come compositrice di talento con Eternal Dusk e Wind Dance.

Elsa Martin – Foto © 2021 Luca Valenta / Phocus Agency

Nell’ambito della suddetta rassegna il museo dell’Enoteca di Cormòns ha accolto Elsa Martin in una performance solistica per voce ed elettronica. Nota per aver collaborato con Stefano Battaglia, la vocalist friulana mette in mostra una vocazione fortemente radicata nella propria cultura, segnatamente nella lingua e nella poesia. Nella fattispecie si è concentrata su testi della conterranea Novella Cantarutti e di Emily Dickinson. Con l’ausilio di campionamenti vocali, Martin crea dei loop sui quali conduce la propria particolarissima indagine vocale, ponendo l’accento sulle valenze fonetiche (e – perché no? – squisitamente musicali) della madrelingua friulana e dell’inglese. Così facendo, opera perfino sulle singole sillabe e i singoli fonemi, mettendo in luce un’ampia estensione, una vasta conoscenza di tecniche vocali attinte anche a culture extraeuropee e una sete di sperimentazione che però non sconfina mai nella pura alea. Caratteristiche, queste, che la collocano in una dimensione culturalmente ben definita, inducendo al tempo stesso anche paralleli (forse azzardati?) con le ricerche compiute da altre voci di diversa estrazione: Laurie Anderson, Lauren Newton, Maria João, Savina Yannatou, Joan La Barbara.

(continua)

 

Enzo Boddi