«Some Like It Liric» parla Jacopo Jacopetti

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di Alceste Ayroldi

«Some Like It Lyric» è il nuovo progetto musicale di Jacopo Jacopetti e Madelyn Renée. Ne parliamo con il sassofonista padovano.

Come è nato questo progetto?

Il progetto è nato da un’idea di Madelyn, che ascoltando un mio disco ha pensato che  sostituire la voce da tenore con il mio sassofono avrebbe potuto essere una novità. Così ci siamo trovati, abbiamo approfondito l’argomento e poi mi son dato da fare per individuare gli eventuali arrangiatori e per come affrontare il lavoro che si preannunciava complesso.

La signora Madelyn Renée ha dichiarato: «Seguo l’esempio di Pavarotti, voglio rendere più accessibile la lirica, come ha fatto Luciano grazie al pop». Invece, per lei Jacopo l’obiettivo qual è?

Conosco il pensiero di Madelyn  e devo dire che le sue parole sono state sicuramente traviate o forse riportate in modo non corretto in qualche altra intervista. In verità il nostro comune intento è stato quello di «vestire di nuovo» delle bellissime melodie molto famose, prese dal repertorio operistico, e riproporle con un’influenza e linguaggio jazzistico che riguardano più il vestito, cioè l’armonia, che le melodie stesse.

Sempre a tal proposito: secondo lei può essere il jazz il veicolo giusto per rendere la lirica più accessibile?

No, non lo credo. Però quello che è stato fatto è una cosa nuova almeno per quanto riguarda  organici grandi come la big band e l’orchestra sinfonica. E’ un progetto rischioso ma per questo ancor più stimolante. Credo che questo progetto non accontenterà né i puristi del jazz né quelli della lirica. Però queste sono due nicchie di mercato per cui noi ci rivolgiamo a quei curiosi di novità che non si fermano di fronte alle apparenze ma ascoltano con attenzione le nuove proposte. Alla fine comunque il disco risulta molto piacevole all’ascolto.

Il canzoniere scelto è variegato: Puccini, Mozart, Bizet, Donizetti, Delibes. Secondo quale criterio avete scelto le arie?

Le arie, tutte molto famose (per facilità commerciale) sono state scelte da Madelyn, me e gli arrangiatori Marcello Tonolo e Stefano Bellon, considerando anche le possibilità di arrangiamento delle stesse.

Come avete lavorato nella fase di arrangiamento?

Delle nove arie proposte  tre sono state arrangiate da Stefano Bellon per orchestra sinfonica di quarantasei elementi  e trio base; tre arrangiate da Marcello Tonolo per big band di undici elementi con trio base e tre da me per small band che può essere quartetto o quintetto con il compianto amico Marco Tamburini.

A suo avviso, c’è un autore della musica classica operistica che è più «jazz» rispetto ad altri?

E’ un opinione personale ma credo che Puccini , che ha nel suo repertorio brani operistici che mi arrivano prima al cuore che alle orecchie, sia il più «facile» da tradurre in jazz.

In questo lavoro l’improvvisazione quanto spazio ha avuto?

L’improvvisazione, che a parte l’introduzione a Sous  le dome epais  e un assolo in Una furtiva lacrima  e in Non più andrai di quel  fenomeno di Paolo Birro, riguarda solo i miei assoli ed interventi   di sassofono nei punti definiti in fase di arrangiamento.

Parliamo dei musicisti che vi accompagnano. Quali sono stati i criteri che ha adottato nello sceglierli?

La scelta del trio base formato da Paolo Birro al piano, Paolo Ghetti al contrabbasso e Stefano Paolini alla batteria è stata condivisa da tutti gli arrangiatori in quanto si tratta di un trio collaudato quindi ricco di quell’interplay necessario in ambito jazzistico.

Poi, c’è la big band diretta da Marcello Tonolo e la Belarus State Teleradio Symphony Orchestra di Minsk. Il connubio con queste due formazioni come è nato?

Una delle cose necessarie, per quanto mi riguarda, per lavorare bene in un progetto musicale è la conoscenza-amicizia e stima delle persone con cui affronto il lavoro. Marcello Tonolo, docente al conservatorio di Padova, è un amico decennale  con una grandissima esperienza nella scrittura per big band, per cui la mia fiducia è stata assoluta. Stefano Bellon, anch’esso mio carissimo amico ,docente al conservatorio di Trieste e arrangiatore dell’orchestra sinfonica mi ha presentato il maestro Pierluigi Destro che ha diretto l’orchestra sinfonica in quel di Minsk in Bielorussia. Siamo arrivati sin lì ovviamente perché il rapporto qualità/prezzo risulta conveniente, con buoni risultati finali. Nel disco comunque le due orchestre non suonano mai contemporaneamente.

Negli anni Ottanta lei ha fondato il primo gruppo che si è occupato del repertorio della musica leggera italiana: Italian Repertory. A distanza di anni, oggi sembra uno sviluppo che va sempre più consolidandosi, grazie anche al fatto che diversi autori della musica leggera italiana (e non) stiano cimentandosi nel jazz. I suoi intenti, però, erano differenti. In particolare, cosa la spinse a creare questo gruppo?

In effetti fu una magnifica esperienza con Gianni Cazzola, Marcello Tonolo e Piero Leveratto. L’idea, venuta originariamente a Gianni, era che oltre a brani originali da noi composti anche altri jazzisti scrivessero appositamente per noi. In un secondo momento aggiungemmo al repertorio pezzi presi dal mondo pop, naturalmente riarrangiati da noi.

Inoltre, anche alla luce della sua esperienza come musicista nell’ambito pop, cosa ne pensa dei cantautori o musicisti pop che oggi si orientano al jazz?

Mi pare che in generale la musica sia sempre più «totale», almeno  dal punto di vista del repertorio. Ci sono grandi jazzisti che alternano agli standard pezzi tratti dal repertorio  pop degli ultimi quarant’anni, che in fondo saranno i nuovi standard  ed anche molti artisti pop che includono nel proprio organico strumentisti che usano spesso il linguaggio jazz. Questo tipo di contaminazione mi piace molto ma l’importante secondo me è che l’identità dell’artista rimanga inalterata.

A tal proposito: quali sono a suo avviso i motivi per cui il jazz in Italia fatica a trovare il grande pubblico?

Il jazz in Italia è stato e rimane una musica per pochi. Va considerato che è un genere musicale che non fa parte della nostra cultura musicale di base, è nato negli Stati Uniti. Sicuramente le contaminazioni di cui si è parlato prima contribuiranno ad un allargamento della conoscenza di questo tipo di musica peraltro sempre più difficilmente etichettabile.

Lei ha collaborato con moltissimi musicisti di chiara fama. C’è qualcuno che le ha lasciato un segno più significativo?

Circa trentacinque anni fa, in seguito ad un seminario , ho collaborato col pianista americano Ran Blake (docente del Third Stream  Department  del  New England Conservatory di Boston) assistendolo in altri seminari. Con lui si ascoltava ogni tipo di musica dai canti popolari greci  a Stevie Wonder e questo mi ha allargato le vedute della musica «interessante». Da allora sono giunto alla conclusione (e non sono l’unico) che esistono solo due tipi di musica, quella buona e quella cattiva. Per me risulta comunque necessaria la componente emozionale senza la quale la musica, come forma d’arte, perde il suo aspetto più importante.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Attualmente ho vari progetti attivi: Un trio jazz, senza strumenti armonici, con Marc Abrams al contrabbasso e Valerio Abeni  alla batteria. Un quartetto con la splendida voce della cantante brasiliana Heloisa Lourenco, Marco Ponchiroli al piano e Paolo Andriolo al basso. Il repertorio vede autori del mondo latino americano (Brasile, Argentina, Cuba) ma anche brani originali e dove mi cimento anche alla chitarra classica. Abbiamo registrato nel 2014 un cd live al teatro del Pane di Treviso. Un gruppo etichettato come latin jazz che si chiama Morrocoy Band, con repertorio originale, con Ascanio Scano alle tastiere, Giuseppe Bertolino alla chitarra, Pasquale Cosco al basso, Valerio Galla alle percussioni e Marco Andrighetto alla batteria. Abbiamo appena registrato un disco con il grande percussionista portoricano Richie Gajate Garcia, «Nueva Luz». Infine il progetto con Madelyn Renée che è il più impegnativo. Abbiamo appena finito di riarrangiare i brani del cd per un organico più piccolo (quindici persone tra trio base ,archi ed ottoni) affinché si possa presentare questo bel  progetto dal vivo. Considerando i tempi non sarà facile trovare gli ingaggi ma a noi piacciono le imprese! Speriamo Bene.

Alceste Ayroldi