«Mi piace la musica nella quale succede qualcosa». Intervista a Federica Michisanti

Un’agenda ricca di impegni quella della bassista e compositrice romana, miglior nuovo talento nel Top Jazz.

2128
Federica Michisanti Ph: Emanuele Breda

Federica, come va con l’Horn Trio? Ci diresti come è nato?
Avevo da tempo in mente di far suonare i brani che compongo a strumenti che avessero un timbro più omogeneo tra loro, soprattutto le ultime composizioni che avevo cominciato a scrivere proprio con questa intenzione. Ho potuto sperimentarle inizialmente in un concerto a Valdarno jazz la scorsa stagione con Francesco Lento e Matt Renzi, che abitualmente torna in estate in Italia e con il quale avevo già suonato e registrato ISK con Trioness, finché poi non si è di nuovo trasferito negli USA. Visto che ero soddisfatta del risultato, ho voluto registrare un disco con la nuova formazione, ma ho pensato ad un musicista che potesse effettivamente suonare stabilmente nel trio e quindi ho chiamato Francesco Bigoni.

Con l’Horn Trio hai anche ricevuto un’ampia attestazione da parte della critica vincendo il Top Jazz come miglior nuovo talento. Cosa significa per te questo risultato?
Per me è un riconoscimento molto importante da parte di una rivista così prestigiosa come Musica Jazz e da parte della critica; mi riferisco sia al primo posto come nuovo talento sia al settimo posto ottenuto da «Silent Rides», il disco inciso con Horn Trio, tra i migliori dischi italiani. Rappresenta un premio agli sforzi fatti ed un forte stimolo a continuare sulla mia strada con impegno ancora maggiore. Questa attestazione da parte della critica ha rappresentato inoltre una grande opportunità di essere più visibile come artista. In finale, penso sia un nuovo punto di partenza da un gradino leggermente più in alto.

Quindi, rispetto al tuo Trioness è cambiata anche il tuo modo di concepire la musica?
Direi di no, l’essenza musicale è la stessa. Solo che pensavo che usare strumenti con un impasto sonoro omogeneo tra loro avrebbe dato ancor più valore alla musica, avrebbe fatto ulteriormente risuonare gli intervalli che uso, visto che i temi che scrivo speso sono articolati in diverse melodie che interagiscono. 

Parliamo dei tuoi sodali nell’Horn Trio. Perché hai scelto Francesco Lento e Francesco Bigoni?
Ho pensato a loro prima di tutto per il loro suono e fraseggio. Riuscivo ad immaginarli molto bene insieme pensando alla musica che avevo composto. Sono entrambi due musicisti che suonano a proprio agio sia su forme armoniche più o meno convenzionali, sia nell’improvvisazione estemporanea e che possiedono piena padronanza del proprio strumento, il che permette loro di sfruttarne ampiamente il potenziale timbrico.

concerto Michisanti trio 18-05-19
Ph: Francesco Dalla Pozza

Tra il Trioness e l’Horn Trio, c’è il Duoness. Quali sono gli obiettivi artistici di questi diverse formazioni?
Prima di tutto far sempre meglio, sia nella composizione di nuovo materiale che nella crescita come strumentista. Scrivere e suonare musica autentica, non la copia di uno stile o di una moda ma che corrisponda sempre ad una necessità interiore. In ciò, l’unico arbitrio è proprio il seguire queste necessità. Per quanto riguarda Horn Trio, inoltre, si realizzerà presto un obiettivo artistico anche più materiale e per me motivo di grande soddisfazione e contentezza, ovvero  la registrazione e pubblicazione nel corso della nuova stagione di un disco per Parco della musica Records.

Sembra che tu preferisca formazioni ridotte rispetto ai large ensemble. Quali sono i motivi di questa scelta?
Finora è venuto spontaneo così. Man mano che sperimento la composizione comunque mi stanno venendo idee per formazioni più estese.

Da qui ai prossimi giorni ti aspetta un’intensa attività live. Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Suonerò principalmente con Horn Trio prossimamente. Questi sono per ora i prossimi appuntamenti: il primo settembre a L’Aquila al Palazzo Cappa – Cappelli (Corso Vittorio Emanuele) per Il Jazz Italiano per le terre del sisma; l’8 settembre a Matera per il festival Gezziamoci 2019, organizzato dall’ Onyx Jazz club; il 14 settembre al Firenze Jazz festival, presso la Sala Vanni; il 15 a Novara per EJC Fringe (organizzato da Europe jazz network e Novara Jazz) presso i Musei della canonica del Duomo di Novara; il 29 settembre a Cagliari per il Festival Forma e Poesia nel Jazz. Poi partiremo il primo ottobre per un tour in Africa, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione italiana e delle sedi di rappresentanza italiana nei paesi coinvolti nel tour (Sudafrica, Namibia, Kenya, Congo, Gabon ed Etiopia). E poi ancora il 23 novembre a Roma per il Roma Jazz Festival, presso la casa del jazz ed il 30 novembre a Milano presso L’Atelier Musicale; a dicembre all’Alexander platz con Trioness (con Simone Maggio al piano e, novità per il trio, Roberto Pianca alla chitarra); sto lavorando già al 2020 e suoneremo il 26 febbraio al Cockney London pub di Correzzola ed il 28 a Roma al Boogie jazz club, per una rassegna di concerti jazz.

Tu al basso, come ci sei arrivata?
All’università conobbi dei ragazzi che suonavano musica loro originale e che avevano bisogno di un bassista. Io suonavo un po’ la chitarra ma mi proposi per quel ruolo perché erano molto bravi e quindi mi sembrava un’opportunità per dare più spazio nella mia vita a un’attività che mi piaceva molto, cioè suonare. Il contrabbasso è arrivato più tardi, dopo aver scoperto il jazz e la musica improvvisata. Cominciai a sentire l’esigenza di un suono acustico, che sentivo più adatto a quello che avevo in testa.

Ti trovi a tuo agio più come bassista o come compositrice?
La composizione è una cosa che accade con molta facilità e penso che sia una mia caratteristica immediata, anche se l’ho scoperta molto dopo l’aver iniziato a suonare uno strumento. Nella musica che compongo ora mi trovo a mio agio anche come bassista, ma ho dovuto lavorare parecchio per suonare bene i miei brani. Ovviamente non si finisce mai di migliorare e di imparare aspetti nuovi del proprio strumento. Ma il percorso di studio della musica che scrivo mi ha permesso di crescere come bassista e di sentirmi a mio agio in questo ruolo, anche in progetti di altri musicisti.

A tal proposito, qual è il tuo concetto di musica?
Più che di concetto, parlerei di quello che mi colpisce quando ascolto musica e quello che cerco quando compongo. Mi piace la musica nella quale succede qualcosa. Quello che mi coinvolge della musica è l’impatto, l’intenzione ed il suono più che le singole note. Come dicevo prima, una corrispondenza a sensazioni interne dell’anima. Non esercizio di stile, non musica vuota.

Quali sono i musicisti che ti hanno maggiormente influenzata?
Posso parlare della musica che ho ascoltato, tanta e di generi molto diversi tra loro. Difficile dire con esattezza chi e come mi abbia influenzato. Per me sono stati tutti musicisti importanti, prima di tutto come nutrimento per l’anima. Perché la musica ho iniziato a studiarla da grande, ma ad ascoltarla quando ero molto giovane, a partire dai Led Zeppelin, i King Crimson, Jimi Hendrix, i dischi della Motown, Sting e i Police. Ho ascoltato molto i dischi dello storico trio di Bill Evans, alcuni dischi di Mingus, Wayne Shorter, oltre che di Ornette Coleman ed Eric Dolphy, Miles Davis, Paul Bley, Jimmy Giuffre, Jaco Pastorius…ma anche dischi di Duke Ellington, Oscar Peterson con Ray Brown, Ella & Louis, Billie Holiday. E Bach, Beethoven, Debussy, Ravel, Satie, Rachmaninov, Stravinskij; più recentemente Schoenberg e Berg.  

A parte i live, cos’altro è scritto nell’agenda di Federica Michisanti?
Prove e promemoria di telefonate o mail per l’organizzazione dei concerti. Tutte cose riguardanti la musica praticamente!  Devo dire che mi sta assorbendo molto in questa parte della mia vita.
Alceste Ayroldi