«4Hands Piano». Intervista doppia a Cettina Donato e Stefania Tallini

Quattro mani e un pianoforte per l’album delle due artiste italiane, che contiene solo brani originali, pubblicato dall’Alfa Music. Ne parliamo con loro.

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Stefania Tallini e Cettina Donato

Solitamente tra pianiste (e pianisti) c’è una solida competizione. Perché avete voluto creare questa sinergia?
S.T. Per me la cosa più importante è sempre la musica e il progetto musicale e difronte a questo ogni cosa passa in secondo piano, quindi anche l’eventuale rischio di questo genere, ma che in realtà non si è mai verificato, mi sembra.
C.D.  E’ stata un’idea di Stefania: ha ascoltato dei miei album e ha chiesto al nostro discografico (Fabrizio Salvatore di AlfaMusic insieme ad Alessandro Guardia) di metterci in contatto. Così un giorno, trovandomi a Roma, ho incontrato Stefania e mi ha proposto di creare un duo pianistico jazz a 4 mani. Molto insolito nel jazz perché solitamente troviamo grandissimi pianisti in duo ma con due pianoforti. Quella del duo con un pianoforte ci è sembrata un’ottima idea perché è nuovo e insolito nel suo genere. Nessuna competizione tra me e Stefania. Lei è molto più brava di me!

Per i concerti non siete troppo «impegnative»? Mi spiego: il pubblico che legge l’advertising del vostro concerto, con due pianiste e un unico pianoforte potrebbe allertarsi e pensare che sia un concerto troppo minimalista… cosa rispondete in proposito?
S.T. Credo che in realtà sia il contrario, il duo a quattro mani – che tra l’altro nel jazz non esiste – sicuramente genera molta curiosità, proprio per questo.
C.D. Chi ci conosce sa che non siamo minimaliste! Il pianoforte ha abbastanza tasti da poter essere suonati nelle maniere più interessanti e creative! E comunque sì, siamo ad ogni modo impegnative!

Suonate a quattro mani. Per farlo ci vuole una significativa empatia. La vostra si è formata da subito avete dovuto lavorarci?
S.T. Sì, direi che l’empatia c’è stata da subito, sin dalla prima volta in cui ci siamo incontrate, ancor prima di suonare insieme. E questo ha favorito poi il lavoro prettamente musicale e di “organizzazione” delle quattro mani sulla stessa tastiera.
C.D. Una caratteristica fondamentale di un musicista è quella di saper ascoltare l’altro. Condividere il pianoforte è senz’altro più impegnativo per questione di spazi ma questo rende il progetto ancora più interessante perché spesso accade che per dare spazio l’una all’altra avvengono scambi di mani e ritmi sovrapposti che a me sembrano molto interessanti e inoltre scambi di posto in cui l’una prende il posto dell’altra. Insomma, abbiamo un bel da fare! E le risate non mancano mai.

Un repertorio, almeno quello sul cd, fatto di vostre composizioni, senza neanche uno standard. Pensate che possa essere un’arma vincente o possa provocare l’effetto boomerang?
S.T. Nella mia carriera ho sempre registrato dischi contenenti musica mia e non ho mai avuto problemi in tal senso, anzi, è stata proprio quella l’arma vincente – se così vogliamo chiamarla – che ha definito sempre più la mia personalità artistica. Quindi, anche in questo caso, non è stata una novità il fatto di registrare mie composizioni per il 4Hands. Comunque nei live in realtà ci sono un paio di piacevoli sorprese…
C.D. Per i miei concerti eseguo sempre mie composizioni e anche Stefania so che fa come me quindi se il pubblico che ci segue si fosse stufato prima probabilmente ci avrebbe già abbandonato. Tuttavia, ai nostri concerti eseguiamo anche arrangiamenti di autori celebri.

Se vi fosse stata la possibilità di inserire uno standard-cover, quale brano sarebbe stato?
S.T. St. Thomas. Secondo me funzionerebbe a quattro mani e sarebbe divertente.
C.D. Beh, ci piacciono diversi compositori, non escluderemmo il repertorio classico contemporaneo ma anche il brasiliano o la musica leggera italiana. Sicuramente nostre trascrizioni di composizioni classiche. 

Undici brani in tutto: vince Stefania con sei sue composizioni, contro le cinque di Cettina. La scelta è stata motivo di lite?
S.T. No, in realtà la cosa è stata che avendo pensato ad un duo a quattro mani mi sono subito attivata per scrivere, perché mi incuriosiva un tipo di scrittura del genere e semplicemente ho composto subito i brani, mentre Cettina, per vari motivi li ha scritti dopo.
C.D. Nient’affatto. Stefania ha cominciato a scrivere prima di me le composizioni presenti nel nostro album, mentre io mi sono limitata a equilibrare i sapori dei suoi brani scrivendone altri diversi avendo, così, una eterogeneità musicale più fruibile all’ascolto.

Come vi siete suddivise i compiti nelle esecuzioni? Chi inizia, chi completa, chi termina?
S.T. Le combinazioni in tal senso si alternano a seconda dei brani. A volte ci scambiamo anche di posto durante l’esecuzione e tutto questo sicuramente rende particolarmente vivo il duo, non statico. 
C.D. Iniziamo insieme, proseguiamo insieme, terminiamo insieme.. o almeno, ci proviamo!

Qual è il brano dell’altra che ti piace di più?
S.T. Persistency, perché è un brano “storto” (come piacciono a me a volte) e perché amo improvvisare sul giro blues del tema. Ci divertiamo molto quando lo suoniamo.
C.D. Minor Tango. E’ veramente difficile!!

Siete entrambe meridionali. Ritenete che il vostro disco sia mediterraneo?
S.T. Penso che ciò da cui si proviene dà sempre un colore alla propria musica, quindi sì, forse sì. Io sono calabrese, ma ho vissuto in Calabria solo i miei primi 4 anni. Però vengo comunque da una famiglia che ha respirato il Sud, profondamente, e sento che questo mondo fa parte di me. Questo duo è stato un po’ il “ponte musicale” sullo Stretto: fra la mia Calabria e la Sicilia di Cettina.
C.D. Non saprei. Forse sì, forse no.

A proposito di Mediterraneo e delle drammatiche vicende dei migranti. Da artiste, qual è la vostra posizione al riguardo?
S.T. Io sono molto, ma molto rattristata da tanto odio, insensibilità, ignoranza, pregiudizio che contraddistinguono l’Italia, in questi ultimi anni (e non solo l’Italia, comunque). Da artista penso – oggi più che mai – che sia necessario dare alla musica anche un senso sociale, perché essa ha in sé una forza potente: quella di unire le persone, di eliminare le differenze, di rendere belle le diversità, anziché considerarle “nemiche”. La musica è “democratica”, nel più profondo senso del termine. E il jazz forse lo è più di ogni altra musica.
C.D. Credo che stiamo attraversando un periodo molto buio, in Italia e, in generale, nel mondo. Per quel che riguarda il mio Paese, credo che ci intrattengano con la favola dell’immigrato nascondendoci i veri problemi del Paese come la sanità, l’istruzione, la ricerca, i trasporti e tante altre tematiche che non approfondirò qui. L’odio nei confronti del diverso e dello straniero, di chi non si conforma al convenzionale, è dilagante e fa leva sull’ignoranza della gente che preferisce essere guidata da uomini mediocri riluttanti all’arte, alla cultura, al buon senso. E’ giusto assicurarsi di non fare entrare criminali tra chi chiede aiuto ma lasciare uomini, donne e bambini in mezzo al mare mi sembra esagerato (volendo usare un eufemismo!). Il vero problema dell’Italia non e’ determinato dai migranti come vogliono farci credere nascondendoci i veri e gravi problemi in cui versa l’Italia. Dovremmo fare in modo di scalzare i mediocri da posti che in passato sono stati occupati da politici autentici, qualsiasi fosse il loro schieramento politico, politici che questi signori di oggi e di qualche anno addietro non sono neanche degni di nominare.

In due brani, poi, ci sono altrettanti ospiti: Gabriele Mirabassi in A Veva  e Nini Bruschetta come voce narrante in Amuri miu, sul testo di Antonio Caldarella. La domanda per Stefania è: perché hai scelto proprio Gabriele Mirabassi? Per Cettina, invece, hai composto il brano seguendo il testo, oppure il testo è arrivato quando il brano era finito?
S.T. Ho scelto Gabriele Mirabassi perché è ormai parte della mia vita musicale, oltre ad avere con lui anche una grande amicizia, dopo tanti anni. Ho registrato con lui due album e il modo in cui sa interpretare la mia musica è meraviglioso.
C.D. Il brano Amuri Miu è stato composto successivamente alla lettura della poesia di Antonio Caldarella. Da diverso tempo collaboravo con Ninni Bruschetta e avevamo fatto uno spettacolo teatrale (in cui lui era regista e io direttore d’orchestra, arrangiatrice, compositrice e pianista insieme all’orchestra) dedicato alle opere di Caldarella. Successivamente ho approfondito lo studio dei suoi scritti e sono stata particolarmente colpita dalla poesia dalla quale la mia composizione prende il titolo. Il testo esprime la dolcezza e la tenerezza di un amore senza il quale nulla può avere vita, un amore necessario ed essenziale. Un amore che è tutto: affermazione e negazione. L’interpretazione del testo da parte di Ninni Bruschetta, è da Maestro e rende esattamente il senso di ciò che il testo vuole esprimere.

Quando avete deciso di collaborare, avevate in mente qualche duo del passato?
S.T. No, in realtà no, perché nel jazz non esiste un duo a quattro mani, come invece nella musica classica. In genere gli esempi jazzistici sono sempre a due pianoforti.
C.D. Io no.

Chi sono i vostri riferimenti musicali?
S.T. Bill Evans: per il tocco, per il feeling, per la poesia del suo modo di suonare e comporre. Chet Baker, per il meraviglioso senso della melodia e l’essenzialità. Whyne Shorter, per il suo andare sempre al nucleo più profondo della musica; Villa-Lobos e Tom Jobim: per la compiutezza compositiva ed espressiva. Bach: per l’architettura e l’intensità della sua concezione musicale “orizzontale”. Chopin, per lo struggimento delle sue composizioni.
C.D. Bach, Mozart, Chopin, Herbie Hancock, Miles Davis. Dei veri e propri fari.

Chi sono, invece, i vostri riferimenti nelle altre arti?
S.T. Van Gogh su tutti e Picasso; José Saramago, Baryšnikov, Michelangelo Antonioni.
C.D. Beh, mi piace molto la Storia dell’Arte, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Modigliani. Avrei una lista infinita. Il balletto è magico, ho lavorato come pianista accompagnatore per qualche anno per il balletto di Boston. Magia pura. Per il cinema, mi farei letteralmente uccidere per Quentin Tarantino e Tim Burton! I compositori di musiche da film, poi, Alan Silvestri che mi ha diretto nel periodo in cui ero studente al Berklee College, ricordi indelebili. Maria Schneider che passava dalle nostre aule di Jazz Composition, chi se la scorda più!

Mi verrebbe voglia di farvi una domanda scontata: il mondo del jazz è troppo androcentrico?
S.T. Lo è nella misura in cui è la storia stessa del jazz che si è sviluppata in un mondo prettamente maschile. Agli inizi della mia carriera (alla fine degli anni Novanta) le donne jazziste si contavano sulle dita di una mano e c’era anche una certa diffidenza nei confronti delle musiciste (a meno che, sempre per storia, non fossero cantanti). Poi se in più erano anche compositrici e leader di gruppi solo maschili, era ancora più strano. Oggi vedo invece nuove generazioni di musiciste ben inserite nel mondo del jazz e questo mi fa molto piacere.
C.D. Può darsi ma è anche vero che le donne del Jazz, seppur poche, non passano inosservate!

Cosa è scritto, rispettivamente, nell’agenda di Cettina Donato e cosa in quella di Stefania Tallini?
S.T. Io mi accingo a registrare un nuovo disco di brani inediti, con quello che considero il trio “della mia vita”, ciò che ho sempre sognato di avere e che fa volare in alto la mia musica. Il batterista è il grandissimo Gregory Hutchinson, considerato tra i più grandi del mondo. E al contrabbasso un altro straordinario musicista, Matteo Bortone. Poi ho un progetto in duo con un violoncellista (Primo Violoncello in diverse importanti orchestre italiane), con il quale suoniamo un repertorio classico che comprende musica del Novecento e anche alcune mie composizioni. E poi altre cose nell’aria… vedremo.
C.D. In questo momento sto rispondendo alle tue domande da un aereo diretto da Helsinki a Copenaghen per poi andare a Boston per un concerto. Sulla mia agenda c’è scritto: sii felice facendo ciò che ami e onorando la tua famiglia e i tuoi amici. E i tuoi gatti!

Siete due musiciste che conoscono anche le scene di altri paesi. Cosa manca all’Italia per far diventare il jazz, l’improvvisazione una musica alla pari delle altre?
S.T. Io penso che in Italia – ma non voglio generalizzare, ovviamente – è proprio il senso della cultura e dell’arte che ormai manca, perché si è perso un po’ il senso della bellezza. Un giorno hanno chiesto al grande pianista Maurizio Pollini perché i giovani dovrebbero ascoltare la musica d’arte (e lui nell’intervista parlava anche del jazz, come tale). Pollini ha risposto: “semplicemente perché la bellezza fa bene”. Ecco, questo spessore umano e culturale, manca in certa Italia di oggi.
C.D. Non manca nulla, soltanto un po’ più di attenzione alla cultura, in generale, da parte di tutti. Con la cultura sazi la pancia e la mente. Altroché!!
Alceste Ayroldi