«Beige». Intervista ad Amalia Gré.

Dopo un silenzio discografico durato undici anni, la poliedrica artista pugliese pubblica un nuovo album. Ne parliamo con lei.

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Amalia, come nasce l’idea di «Beige» e perché questo titolo?
Il colore beige è un classico, come il jazz. È come il filo di scozia che mia nonna lavorava all’uncinetto, è come il trench di Burberry, intramontabile ma rivisitabile. Il jazz è sempre attuale, vivo ed elegante, ha energia creativa che viene fuori con l’esecuzione live, mai uguale una all’altra.

Un disco che riscopre la tua passione per gli standard jazz. Perché hai scelto proprio questi standard? 
Ogni brano ha un suo percorso: quasi tutti sono stati suonati per circa o oltre cinquant’anni, in migliaia di situazioni diverse, rimaneggiati e fatti propri da moltissimi musicisti. Nel periodo vissuto a New York, ho continuato la gavetta nei locali. Quando Betty Carter mi fece cantare al Blue Note, in platea c’era George Benson, che si alzò e venne a complimentarsi e a dirmi che ero “Great”!  È stato emozionante, ero basita! Ogni brano ha il suo perché univoco, una sua esigenza di esistere nel mio album.

Sono quelli che ti rappresentano meglio?
Quelli in «Beige» sono sicuramente quelli a cui mi sento più affezionata che non avevo già registrato, che mi porto dietro da sempre. Penso di averli fatti miei anche rispettando la tradizione. Ce ne sono altri che amo molto che inserirò durante i concerti come, per esempio, I Wish You Love.

Sono scelte che derivano dal tuo passato musicale? 
Di standard ne ho studiati tantissimi anche nelle classi di Barry Harris a New York, poi ho scelto le mie preferite. Quando una melodia ti cattura è come un innamoramento.

In particolare, il singolo è il mingusiano Good Bye Pork Pie Hat, il cui testo è opera di Joni Mitchell. Ti affascina di più la musica o il testo di questo brano? 
Inizialmente sono stata rapita dalla musica. E per quanto riguarda il testo della Mitchell mi è bastato fermarmi al primo chorus che già racchiude tutto: il racconto della declassificazione nella società, degli afroamericani e la questione razzista, un disastro ancora attualissimo. E ogni volta, tornando a New York, lo si sente ancora a pelle, nelle vene della città. Non penso di aver trovato brano che descriva meglio la condizione del musicista afroamericano.

Quali criteri hai seguito in fase di arrangiamento?
L’arrangiamento è stato un lavoro di ricerca svolto con Marco De Filippis. Sono partita da grooves con basso e batteria durante un inverno dolce in cui il batterista ogni mattina, con un viaggio impervio, ci raggiungeva da Roma in studio. Iniziavamo a lavorare la mattina presto in un bellissimo mood che si interrompeva quando, per onorare il mio ospite, preparavo sofisticati pranzetti. Lo facevo solo per lui, in realtà non amo molto la cucina, soprattutto nella quotidianità. Vorrei vivere in una casa senza cucina, nel mio prossimo capitolo. Abbiamo voluto essere essenziali lavorando all’armonia dei brani e registrarli in presa diretta. Non volevo che l’aggiunta dell’elettronica minasse il lavoro jazzistico, cioè interpretazione del tema, interplay e improvvisazione. C’era un bellissimo flow, che spero traspaia dall’ascolto dell’album.

Arrangiamenti che riscrivono, per certi versi, i brani che compongono il tuo disco. Qual è il brano che più ti rappresenta? 
Ho iniziato il mio percorso jazzistico dopo aver ascoltato Goodbye Pork Pie Hat. Mi ha rapita, è un brano che, come ho detto prima, va oltre…

Ci parleresti dei musicisti che ti accompagnano?
Con me Marco De Filippis suona il basso; lui partecipa alla mia musica da 30 anni, anche come fonico e cooproduttore. Siamo diversissimi ma troviamo, con il tempo, soluzioni che soddisfano entrambi. Anticonformista ed esigente, Marco Piali è il batterista, la sua bravura e la sua forte personalità emergevano già quando era molto giovane. Ha vissuto a New York e poi a Los Angeles. Adesso vive ad Orlando. Grossa maestria, profondità, sensibilità e creatività. Ex pugile. Michele Ranauro, pianista, elettronica etc. Grande personalità, esperienza, creatività e bravura. Io riesco a tenerlo a bada, ma non è facile. Artista esplosivo. Andrea Frittelli, chitarrista. Grande personalità e drive. La sua creatività e sensibilità naturale è molto sviluppata e non convenzionale. Ci stiamo iniziando a conoscere. Luciano Zanoni, pianista. Molto bravo e professionale. Ha capito esattamente le mie esigenze al volo. Paolo Iafelice, fonico mix e mastering, suoni, pads. È riuscito a trovare gli equilibri giusti fra le nostre esigenze da jazzisti e quelle dell’ascolto.

Amalia, il tuo disco precedente risale al 2008. Cosa è successo in tutti questi anni? 
In questi anni ho scritto moltissimo. Ho fatto un’altra figlia, e mi sono dedicata a suonare, studiare, dipingere, creare gioielli e vestiti.



Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Una presentazione dell’album a Roma prossimamente e nuovi concerti a breve. Seguiteci su Instagram @amaliagreofficial, su Facebook come Amalia Grè e sul sito Amalia.it.

A cos’altro stai lavorando?
In questo momento sto lavorando al mio nuovo album di inediti, contemporaneamente ai live di «Beige».
Alceste Ayroldi