IL VIAGGIO DA «JAZZISTA» DI GINA SCHWARZ

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gina schwarz

Quando hai capito che la musica, e il jazz in particolare, sarebbero diventati la tua professione?

Quasi subito, da quando ho iniziato ad appassionarmi e impegnarmi nelle mie composizioni. E, da allora, comporre e improvvisare è diventato un’esperienza molto personale e riflessiva. Dopo aver iniziato a suonare la fisarmonica, all’età di otto anni, entrai n contatto con la musica contemporanea (per esempio, tante composizioni originali per fisarmonica), che poi ho anche studiato.In seguito sono rimasta folgorata dal suono del pianoforte e ho imparato a suonarlo, soprattutto nel repertorio classico. Ma il mio amore per ogni aspetto del jazz e l’attrazione magnetica per i registri più bassi degli strumenti mi ha portato a contatto con il contrabbasso. Da allora ho deciso di diventare professionista.

C’è un album o un artista che ti ha colpito così tanto da spingerti a diventare musicista?

Tanti, in verità. In particolare Peter Herbert, bassista austriaco che vive a New York. Con lui ho suonato e studiato e mi ha insegnato la profondità della musica, cosa che io cerco senza sosta. Il primo è stato lui, poi ho avuto l’opportunità di studiare a Boston con John Lockwood e a New York con Buster Williams, Cecil McBee e Dennis Irwin. Chi mi ha aiutato molto per migliorare la tecnica della mano sinistra è stato Ernst Weissensteiner, membro dell’orchestra sinfonica di Vienna.

Parliamo di «Jazzista»: come è nata l’idea e perché hai scelto un termine italiano?

E’ il mio terzo lavoro da leader, dopo «SchwarzMarkt» del 2006 e «Airbass» del 2008, e ho utilizzato composizioni del tutto nuove e altre che avevo già scritto in precedenza. Perché in italiano, dici? Ero in tour con George Garzone, che ha radici italiane, e avevo scritto un brano dal titolo Jazzista per “In The Zone-Tour”. Mi piace questa parola, perché rivela ciò sono realmente e, in qualche modo, sento di essere collegata alla cultura e alla musica italiana.

Tre parti e tre differenti stili musicali. E’ un viaggio attraverso diverse culture?

Nella prima parte si può ascoltare musica in 3/4, che è quella tipica viennese e legata alla fisarmonica: un sorso di musica classica che accende la sensazione di andare su una giostra viennese. Nella seconda parte – Milonga Luzia (dedicata a mia madre) – ho cercato di far coesistere il tango con il jazz più moderno. Di recente ho sentito Avishai Cohen: il suo stile afro-cubano mi ha influenzato parecchio e lo si può ascoltare nella terza parte, Santiago.

 Quasi inaspettato, arriva il suono del bandoneon.

Sono cresciuta con la fisarmonica (anche mia madre e mia sorella la suonavano) e quel suono mi ha seguito anche negli anni del conservatorio. Per questo ho voluto scrivere una suite per fisarmonica per questo album, ma dopo aver ascoltato tantissima e meravigliosa musica di Astor Piazzolla ho cambiato i miei piani e ho scelto il bandoneon.

Ma le tue influenze stilistiche restano diverse e molteplici.

Nelle mie nuove composizioni ho intrapreso un viaggio nostalgico. Nel corso della mia carriera di bassista sono stata influenzata da una grande varietà di stili musicali: dal jazz alla musica contemporanea, dalla classica al funk. Più di recente è spuntato anche il mio amore per la musica improvvisata, vista la mia collaborazione con il sestetto Bass Instinct di Vienna: un mix di musica scritta e improvvisata, tra il jazz tradizionale e l’avanguardia, che hanno aperto una nuova porta per le composizioni di «Jazzista», dove ho cercato di combinare tutte queste influenze, passando dal duo al settetto.

C’è qualcuno, in particolare, con cui vorresti collaborare?

Maria Schneider e Carla Bley.

C’è la speranza di vederti suonare in Italia?

Mi dispiace, ma ancora non saprei dire; anche se mi piacerebbe moltissimo. Al momento ho in programma un tour in Austria, Svizzera e Germania. Poi vorrei portare il mio lavoro in giro per il mondo.

A Ayroldi

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