«IF I HAD MY WAY I’D’VE BEEN A KILLER». INTERVISTA A VALENTINA MONTI 1/2

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«If I Had My Way I’d’ve Been A Killer» è un progetto teatrale e discografico su Nina Simone, frutto della sinergia tra Valentina Monti, Dagmar e Diber Benghi e Corrado Gambi della compagnia teatrale La Luna crescente con il Combo jazz club di Imola. Ne parliamo con la vocalist Valentina Monti. Questa è la prima parte dell’intervista.

Valentina, merita qualche chiarimento il rapporto tra il Combo Jazz Club e la compagnia teatrale della Luna Crescente.

Il Combo jazz club è un’associazione culturale nata a Imola trent’anni fa per promuovere la musica improvvisata e non solo. E’ una realtà importante sul nostro territorio che oltre ad organizzare festival come Cassero Jazz e Dozza Jazz ha svolto negli anni il ruolo di centro aggregante per musicisti e appassionati di jazz. Noi tutti (io, Dagmar, Diber Benghi e Corrado Gambi) siamo soci di questa associazione. La compagnia Teatrale della Luna Crescente è invece una compagnia di Imola che gestisce il teatro Comunale di Dozza e che da anni collabora con il Combo jazz club. Una volta deciso di realizzare questo progetto su Nina Simone l’abbiamo proposto al Combo Jazz Club che cura la direzione artistica di Dozza Jazz. Il progetto ha convinto, e hanno deciso d’inserirlo nella rassegna come produzione originale e, successivamente, di produrre il cd.

«If I Had My Way I’d’ve Been A Killer» è anche uno spettacolo teatrale?

Il progetto è nato come spettacolo musicale-teatrale, da realizzarsi quindi su un palcoscenico con una particolare scenografia e l’ausilio di filmati d’epoca, fotografie e tracce registrate di interviste relative a Nina Simone ma non solo. Il disco è nato successivamente come trasposizione sonora, il più fedele possibile, del tutto: per questo sono presenti anche brani recitati. Nel disco abbiamo avuto il piacere di registrare alcuni interventi di musicisti che nello spettacolo teatrale non sono presenti: Maurizio Piancastelli alla tromba e Roberto Rossi alla batteria e percussioni.

C’è già stata una «prima»?

Sì, è andato in scena al teatro comunale di Dozza il 6 aprile del 2013 per la rassegna Dozza Jazz, all’interno del cartellone regionale Crossroads – Jazz & Altro in Emilia Romagna.

Ma il vostro quartetto ha una personale denominazione?

No, questa formazione è nata appositamente per questo spettacolo teatrale-musicale e ne prende il nome. Io, Dagmar Benghi e Diber Benghi ci conosciamo da anni, siamo legati oltre che professionalmente anche da una lunga amicizia che ci ha portati negli anni a condividere esperienze musicali sia nell’ambito del jazz, dove abbiamo suonato in duo, trio o quartetto, che in formazioni blues e pop. Corrado Gambi, della compagnia teatrale della Luna Crescente, è un amico e un bravissimo professionista che si è unito a noi in questa avventura che da subito ha preso i tratti di uno spettacolo a tutto tondo, che unisse immagini, racconti e suggestioni alla musica.

In quale contesto e con quali obiettivi nasce la vostra idea?

Ascolto e apprezzo la voce e la musica di Nina Simone da sempre, da quando mi sono avvicinata al canto. Da tempo avevo il desiderio di creare un progetto musicale che fosse un tributo a lei, al suo genio e alla sua personalità. Inizialmente pensavo ad una formazione insolita, con pochi strumenti che facessero uso di elettronica e sonorità diverse dalle originali per riproporre i successi di Nina, dagli standard che lei amava di più come I Loves You Porgy alle cover come I Put A Spell On You, fino ai brani scritti da lei. Così, assieme a Diber e Dagmar ho cominciato una prima stesura degli arrangiamenti. Nel frattempo però documentandomi a fondo sulla vita e la personalità di Nina Simone leggendo biografie, cercando filmati (documentari, interviste, concerti live) mi sono convinta ad abbandonare l’idea iniziale e ad esplorare tutto quel repertorio, meno conosciuto ma assolutamente più interessante, di brani scritti interamente da lei. Una serie di brani dove il testo è sicuramente la componente principale attorno alla quale ruotano arrangiamenti legati al blues o a forme circolari e ipnotiche (come Four Women o la sconosciuta Flo me la, brano interessantissimo in cui Nina Simone cerca di ricreare sonorità africane inventandosi di sana pianta un linguaggio africano, potremmo dire un «africano-maccheronico». Questa Africa immaginata, sentita come terra di origine ma sconosciuta è uno degli aspetti che mi ha colpito di più di Nina Simone). Tornando alla scelta del repertorio, di brani scritti interamente da Nina, mi sono trovata di fronte un elenco che al novantanove per cento era formato da testi che trattavano la tematica della lotta per i diritti civili, o che comunque erano stati scritti in quel periodo e ne erano influenzati. Così è nata l’idea di questo spettacolo, dove il contributo di Corrado Gambi è stato fondamentale per la scelta dei filmati, delle foto che vengono proiettate durante lo show e del materiale recitato. La regia dello spettacolo teatrale è la sua.

Per quanto attiene la genesi del disco, quali sono state le maggiori difficoltà nella fase di arrangiamento e/o composizione o di preparazione?

Abbiamo da subito cercato di creare arrangiamenti che si discostassero da quelli originali e l’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di superare la componente più prettamente «pop» presente in alcuni brani della Simone. Già la formazione insolita senza sezione ritmica ha aiutato nell’intento. Alcuni brani erano strutturati in maniera circolare, ipnotica: questo è stato accentuato il più possibile utilizzando loop station e creando cellule ipnotiche ripetitive che allo stesso riportassero ad una concezione africana della musica ed enfatizzassero i testi dei brani.  Questo carattere africano latente in ogni brano è stato portato alla luce e dove non fosse presente è stato ricreato con arrangiamenti ad hoc come quello di To Be Young Gifted And Black. Altrove invece, come ad esempio in Mississippi Goddam, la struttura e l’arrangiamento originali del brano sono stati rispettati: il testo straziante accostato alla musica divertente stile vaudeville era già una trovata geniale.

Alceste Ayroldi

(prima parte)