ICP Trio featuring Han Bennink & CLGEnsemble – Torino Jazz Festival – 27 aprile 2019

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Il vero incipit del Torino Jazz Festival 2019 non è stato in realtà il concerto di cui stiamo per parlarvi, ma una lucente discussione sulla musica – e di fatto sul suo spessore e significato – chiamata a essere la presentazione del più recente lavoro fotografico di Roberto Masotti, “Jazz Area”. Nella bella e opportuna sala del Circolo dei Lettori, insieme all’autore erano presenti due autorevoli studiosi di comunicazione e filosofia della musica, Peppino Ortoleva e Carlo Serra, che essendo autentici appassionati jazzofili e persone estremamente obiettive hanno offerto a questo incontro parecchi spunti e una certa ironica vivacità, molto apprezzata dal pubblico. Auspichiamo quindi molti altri eventi come questo, così colto e sorridente a un tempo.

Concerto che inizia la serie (così nutrita da aspirare all’ubiquità), quello che sancisce l’incontro tra  l’incontenibile batterista Han Bennink – insieme ai suoi conterranei olandesi Wolter Wierbos al trombone e Ernst Glerum al contrabbasso – e  il CLGEnsemble di cui racchiudere l’attività nei caratteri consentiti non è affatto facile. Nasce come un centro diurno per ospiti disabili psicofisici, diviene nel tempo e sotto il coordinamento del batterista torinese Dario Bruna una realtà musicale tra le più composite e straordinarie, con l’obiettivo di coinvolgere musicisti professionisti con i quali poter ottenere un risultato completamente esemplare tra musica e disabilità: o della bellezza della musica insieme al suo profondo valore terapeutico. Si sono già esibiti con Mauro Ottolini, Gianni Gebbia, Roberto Cecchetto, Julia Kent e con  il chitarrista irlandese Christy Doran. Ora era il turno di Bennink, che sul palco del Piccolo Regio ci è sembrato entusiasta e leggermente più misurato del solito, naturalmente tenendo conto dei suoi standard: nella parte del gigione stavolta mette il fido Wierbos, che si aggira sulla scena producendo suoni con la sola coulisse, si avvicina a tutti i musicisti da destra a sinistra del palco giocando con le note, mescola temi classici e passaggi sghembi, note stridenti e meravigliose che sorprendono gli esperti e lasciano qualche bimbo in platea a bocca aperta.

Bennink, Wierbos, Glerum, Merlo

Perché questa forse è la chiave: i bimbi giocano ognuno producendo il proprio baccano, e poi tutti i rumori si uniscono e a volte diventano suoni, e clangore di metalli come la lamiera agitata a tempo sul palco, e campanelli e un suono lontano di tromba o lo sproloquio ovattato e magico delle note sotto i martelletti del vibrafono. Il baccano insomma diventa improvvisamente un’armonia, e volendo genera pure una discussione sapiente sulle dinamiche, come è regolarmente avvenuto una volta usciti dal teatro a fine concerto.

La teatralità di Bennink non delude comunque quel pubblico che è presente solo per aspettarsi questo, e il suo piedone anche questa volta si contrappone tra le bacchette e il rullante, l’impeto lo costringe ad abbandonare la postazione e percuotere il pavimento, il tavolo, un musicista e qualunque superficie gli si presenti davanti, ma ci è sembrato in questo caso consapevole della particolare performance. Quindi induceva all’applauso presentando continuamente i musicisti, si avvicinava talvolta a uno di loro con un gesto paterno, contrappuntava con impegno gli interventi poetici (letti dal giovane Luca Merlo) e la sua ritmica travolgente si stemperava nella punteggiatura equilibrata della batteria di Bruna. Solo nel finale, nel buio del palco e con il parterre che non voleva saperne di andare via, ha preso un tom e uno sgabello, si è seduto sul proscenio e si è finalmente lasciato andare a tutto il repertorio compreso le bacchette lanciate in ogni dove (e proprio chi scrive una volta ne ha ricevuta una in testa).

Strepitoso Wierbos e anche Glerum, maggiormente contenuto ma dal suono perfetto, e poi Ramon Moro alla tromba elettronica, Monica Fenu al coordinamento tecnico con Francesca Bruna, Alberto Danzi, Vincenzo Marando e il notevole vibrafonista Salvatore Milazzo. Completano l’Ensemble William Benfante, Adriano Collutra, Giacomo Coste, Antonio Quindici, Marco Scraffiotti.

Nel foyer, tutti veramente entusiasti, cerchiamo di fermare quell’omone di Bennink che corre a destra e a sinistra per allentare la tensione. Ci riesce solo un illustre collega, che cerca di affascinarlo con la promessa di un buon bicchiere: “Guarda Han, ti offro il miglior vino piemontese, si chiama Grignolino”  “What?!? Grugn…Ging..Gring..Grong…Barolo!” Finisce così con una gran risata il primo concerto del TJF.

Lorenza Cattadori