GABRIELE BUONASORTE: TRA PRESENTE E FUTURO

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«Forward» (Nau Records) è il primo lavoro da leader del sassofonista dalle radici siciliane, ma oramai in pianta stabile a Roma. Un disco che ha colori differenti: jazz e funk soprattutto, ma anche quelli profondi del Mediterraneo e quelli più pungenti della musica contemporanea europea.

 Gabriele, al jazz come sei arrivato?

Ho scoperto tardi il jazz, rispetto alla maggior parte dei miei colleghi, jazzisti beninteso, e non è stato il primo amore. Ho infatti avuto una formazione classico-contemporanea, ho spaziato verso la musica etnica e popolare, attraverso le quali ho imparato a conoscere e suonare il tango, la musica brasiliana e altre sonorità. Ho spesso ascoltato jazz in quest’ottica etnica, affascinato dall’idea di contaminazione musicale che esso rappresentava, ma l’incontro vero e proprio è arrivato nell’estate del 2003, a Siena Jazz, è stata una folgorazione.

«Forward» è il tuo primo album da leader e dimostri subito un gran carattere: perché hai atteso così tanto?

In realtà non è il mio primo album da leader: il primo è stato «A New Gershwin Path» (Aveit, 2008), ma è il primo album con la mia musica, con il mio nome sopra, nel senso che nella precedente esperienza ero il leader ed arrangiatore del Gershwin Trio, oggi sono Gabriele Buonasorte e rischio in prima persona. Non credo di aver atteso tanto per questo disco, non lo considero un disco tardivo, penso invece di averlo fatto al momento giusto, dopo aver raggiunto la giusta maturazione come musicista e come uomo, ora sono pronto per dare davvero qualcosa.

Poi, l’incontro con la Nau: come è avvenuto?

E’ avvenuto sotto spoglie diverse, con me in qualità di direttore artistico di un teatro romano, mi sono imbattuto nella Nau, in Gianni Barone, nella sua visione della musica e del business musicale e ho deciso di fargli conoscere il Gabriele musicista, e ora eccoci qua.

Hai preferito lasciare in cantina il pianoforte: una scelta che già avevi maturato da tempo, oppure è nata in corso d’opera?

Il pianoforte non è mai in cantina, nel senso che tutte le mie composizioni nascono al piano, semplicemente per «Forward» cercavo un sound diverso, meno imbrigliato nelle regole armoniche, più libero di spaziare a livello improvvisativo, soprattutto per i due fiati, e incentrato sul groove, ritmo e libertà.

Il suono che ne fuoriesce è bello duro: era quello che volevi ottenere?

Assolutamente si, volevo un potente impatto sonoro e che i ritmi in esso contenuti sprigionassero una forte energia centripeta. Con questo voglio dire che il ritmo arriva prima di qualsiasi tema melodico o accordo e, conseguentemente, ha l’effetto di trascinare naturalmente  il pubblico nell’ascolto delle storie che racconto.

Parliamo del gruppo, anche degli interventi della brava violoncellista Susanne Hahn.

Susanne è una musicista straordinaria, dotata di grandissima sensibilità. L’ho conosciuta tramite amici musicisti comuni e più volte ci siamo soffermati a parlare della nostra comune attitudine alla libera improvvisazione estemporanea.

Quando è arrivato il momento di «Forward» ho subito pensato a lei, ho scritto per violoncello il tema di Iureca e le ho chiesto di improvvisare con noi liberamente su Anymore e Forward, le tracce più Free del disco, scelta risultata particolarmente felice. Ho conosciuto Angelo Olivieri e Mattia Di Cretico presso una nota accademia di musica romana dove siamo colleghi, e ho avuto diverse occasioni per duettare con loro in jam o saggi vari. Mauro Gavini suonava con Mattia in un altro progetto, mi è stato presentato da lui, ed il loro affiatamento è per me un enorme punto di forza.

E come compositore e arrangiatore ti sei cimentato anche con l’album d’esordio del cantante Luca Seta. Una bella sfida dover interpretare il pensiero musicale altrui.

Bellissima e stimolante sfida. All’inizio non è stato facile, sia io che Luca abbiamo due caratteri molto forti, e questo ci ha portato anche a scontrarci, ma sempre in maniera molto costruttiva. Lui era ed è molto legato ai suoi testi, come è giusto che sia, e io molto legato al mio modo emozionale di fare musica; nel momento in cui ho capito quello che Luca aveva dentro e che voleva comunicare, e ho cominciato ad emozionarmi, è stato un attimo: i brani sono nati uno dopo l’altro. Adesso quando andiamo sul palco insieme (cosa che in principio non era prevista, poiché negli arrangiamenti non avevo previsto il sassofono) siamo una forza, affiatatissimi, perché entrambi «cantiamo» i nostri brani.

Gabriele, bisogna guardare (o andare) avanti a cosa o a chi?

Ognuno di noi penso sia cresciuto seguendo dei modelli, io ho avuto i miei, ma non sono rimasto legato in maniera viscerale a essi, anzi presto ne ho preso le distanze ed ho iniziato a costruire la mia personalità musicale, il mio personalissimo modo di suonare. Penso, senza presunzione, che tutti gli artisti dovrebbero a un certo momento distaccarsi dal passato e guardare al loro presente, qualcuno devo dire già lo fa.

Dalla Sicilia a Roma: perché questa scelta?

La Sicilia è una terra meravigliosa, ma per crescere musicalmente ho dovuto lasciarla; la mia piccola e meravigliosa città (Siracusa) non ha mai offerto, purtroppo, stimoli né occasioni di maturazione. Dal punto istituzionale mi sono iscritto al conservatorio Santa Cecilia, dove mi sono specializzato e ho ampliato i miei studi, ma questo era il motivo per giustificare a casa la mia partenza; volevo solo mettermi in gioco in una realtà più grande, conoscere musicisti e fare esperienza. Il tempo mi ha dato ragione.

Da tempo ti dedichi alle colonne sonore e tale tua attitudine si ascolta anche in «Forward». Cosa racconti nel tuo disco?

Credo fortissimamente nell’associazione musica/immagine. Quando scrivo, quando suono, immagino sempre qualcosa e la racconto, a modo mio. Tutti i brani che ho scritto in «Forward», ma anche in precedenza, hanno una fortissima connotazione descrittiva, narrano momenti di vita vissuta da me o da altri, immagini precise, stati d’animo, e ogni volta che li suono li rivivo in prima persona. In particolar modo Scirocco (le lasagne estive di mia madre abbatterebbero chiunque), Funkamente ( racconta l’incedere incerto di mia figlia Alice), Pretentious ( il caos della grande città), Iureca (i vicoli di Ortigia ), Anymore (un mio personalissimo momento di rabbia adolescenziale).

A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Dopo un anno e mezzo di scrittura tra «Forward» ed «In viaggio con Kerouac» (di Luca Seta), adesso mi godrò finalmente il lavoro sul campo, andando in giro per l’Italia e non solo a presentare questi due lavori. I primi di gennaio una tournée  che toccherà Campania, Calabria e Sicilia; a febbraio un’altra in Lombardia e  a breve di nuovo in Campania e Calabria con Luca Seta. Prossimo obiettivo, ma tra un po’, un nuovo disco, internazionale, inizierò quest’estate. Per adesso voglio solo suonare.

A Ayroldi